Ultime, non tanto nuove, dal fashion system: la moda in crisi

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Dinamiche economiche e cambiamenti

Nel panorama odierno, la moda non è più mera espressione estetica, ma riflesso di dinamiche economiche e culturali complesse. Titoli che dicono: “è ancora il gioco delle poltrone, moda in crisi“. Recentemente, il mondo del fashion è stato scosso da cambiamenti significativi ai vertici delle maison più prestigiose. Sabato De Sarno ha lasciato la direzione creativa di Gucci, una notizia che ha sollevato interrogativi sul futuro del brand fiorentino. Allo stesso tempo, Marco Gobbetti non è più CEO di Ferragamo, decisione presa dopo risultati finanziari deludenti nel quarto trimestre del 2024.

Questi avvicendamenti ai vertici delle case di moda italiane evidenziano una crisi di identità e leadership. Le maison, un tempo baluardi di creatività e innovazione, sembrano ora vacillare sotto il peso delle aspettative del mercato globale. La domanda sorge spontanea: la moda italiana sta perdendo la sua anima?

Crisi internazionale

Nel frattempo, il panorama internazionale non è da meno. La New York Fashion Week ha visto il debutto di Veronica Leoni per Calvin Klein Collection, una sfilata che ha suscitato dibattiti tra gli addetti ai lavori. Leoni ha proposto una collezione che oscilla tra minimalismo e provocazione, cercando di ridefinire i canoni del brand americano. Ma la vera domanda è: questa ricerca di novità è autentica o è solo un tentativo disperato di attirare l’attenzione in un mercato saturo?

In Europa, la London Fashion Week, come a Copenaghen, ha messo in luce nuovi talenti, ma anche qui emerge una certa dissonanza. Mentre alcuni designer cercano di rompere gli schemi, altri sembrano intrappolati in una ripetizione sterile di tendenze passate. Perciò la moda è in crisi? La moda europea, un tempo faro di innovazione, rischia di diventare una caricatura di se stessa.

E poi c’è il fenomeno delle collaborazioni. Desigual ha rinnovato la sua partnership con il brand americano Collina Strada, lanciando una capsule collection che sarà disponibile dal 20 febbraio. Queste collaborazioni sono davvero espressione di sinergie creative o rappresentano solo strategie di marketing per mascherare una mancanza di idee originali?

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In questo contesto, non possiamo ignorare il ruolo dei media e delle celebrità. Sanremo 2025 è alle porte, e già impazzano le speculazioni sui look che vedremo sul palco dell’Ariston. Ma la moda deve davvero piegarsi alle logiche dello spettacolo, riducendosi a mero intrattenimento?

La moda, nella sua essenza, dovrebbe essere espressione di cultura, arte e identità. Ma oggi, osservando questi eventi, sorge il dubbio che stia perdendo la sua direzione, smarrendo quei valori che l’hanno resa grande. È tempo di una riflessione profonda, di un ritorno all’autenticità, prima che la moda diventi solo un’ombra di ciò che era.

Il settore della moda affronta un’era di cambiamenti

New York Fashion Week 2025 ha aperto i battenti sotto una nevicata simbolica, quasi a rappresentare il gelo che sembra aver investito il mondo della moda. Non siamo neppure a metà febbraio e già un’ondata di cambiamenti nei vertici creativi e direzionali delle maison di lusso ha travolto l’industria, evidenziando un momento di turbolenza senza precedenti.

La caduta degli dei 

La notizia che più scuote è l’uscita immediata di Sabato De Sarno come direttore creativo di Gucci, un fulmine a ciel sereno annunciato da Kering. La collezione Autunno/Inverno 2025 sarà curata dal “design studio” interno, mentre la casa fiorentina è già alla ricerca di un sostituto. Questo cambio segna un ulteriore scossone in un brand che, dopo l’era Alessandro Michele, fatica a trovare una visione stabile e convincente per il suo futuro.

Anche il capitolo Ferragamo non brilla di luce propria. Marco Gobbetti, CEO uscito con un pacchetto di liquidazione da 4,5 milioni di euro, lascia alle sue spalle un’azienda che ha perso il 66% del valore azionario durante i suoi tre anni di mandato. Il suo tentativo di rilanciare il marchio italiano, un tempo sinonimo di eleganza e artigianalità, non ha trovato il consenso né del mercato né dei consumatori.

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Nuove scommesse

Nel frattempo, il panorama europeo assiste all’ascesa di nuovi leader e a cambiamenti che potrebbero avere un impatto significativo. Serge Brunschwig, già esperto di lusso e moda, è stato nominato CEO di Jil Sander. Tuttavia, la sua nomina si accompagna a voci insistenti che vedono i designer Luke e Lucie Meier pronti a lasciare il brand dopo la prossima sfilata. Brunschwig non avrà solo questa sfida da affrontare: ricoprirà anche il ruolo di Chief Strategy Officer per il gruppo OTB, un conglomerato che recentemente ha nominato Glenn Martens direttore creativo di Margiela, affiancandogli la leadership già esercitata su Diesel. Tuttavia, Diesel è attualmente senza un CEO, una posizione vacante da sette mesi dopo l’uscita di Eraldo Poletto. Tutto questo configura una rete complessa e frammentata di ruoli e leadership.

A proposito di moda in crisi: un’altra uscita di scena ha fatto rumore. Kim Jones ha lasciato Dior Homme, ponendo fine a un sodalizio di otto anni che aveva trasformato il brand in un colosso del menswear, sfruttando abilmente il boom del lusso durante la pandemia. Il prossimo capitolo di Jones rimane avvolto nel mistero, ( i rumors lo danno da Burberry ) ma la sua partenza sottolinea un settore che non esita a rimescolare le carte, talvolta con esiti imprevedibili.

Un’Industria in crisi di identità

Questi avvicendamenti non sono meri episodi isolati, ma sintomi di un settore sempre più insicuro e disorientato. L’industria del lusso, un tempo guidata da una visione creativa forte e da leadership carismatiche, sembra ora soffrire di un modello di business che non è più sostenibile. La pressione costante per produrre crescita e margini elevati si scontra con un mercato saturo, un consumatore sempre più attento e una competizione spietata.

La moda di oggi è intrappolata in un circolo vizioso: deve mantenere il suo status di aspirazione, ma al tempo stesso deve adattarsi a un mondo che evolve più rapidamente che mai. I licenziamenti e i cambi al vertice spesso sembrano punire individui per il fallimento di un sistema intero. Maison come Gucci e Ferragamo si trovano a essere espressioni simboliche di questo dilemma: come trovare un equilibrio tra tradizione e innovazione, tra autenticità e profittabilità?

La fine di un’era?

La domanda che emerge da questo panorama tumultuoso è semplice ma inquietante: la moda sta perdendo la sua anima? I cambiamenti al vertice non sembrano portare soluzioni strutturali, ma solo riparazioni temporanee che mascherano una crisi più profonda. Gli avvicendamenti creativi e strategici, per quanto necessari, non possono risolvere da soli un’industria che rischia di essere schiacciata dalle sue stesse ambizioni.

Eppure, nella moda come nella vita, il caos è spesso preludio di nuove possibilità. Questi sconvolgimenti potrebbero essere l’inizio di una trasformazione che porterà a una maggiore consapevolezza e a modelli più sostenibili, sia creativamente che economicamente. Per ora, però, l’impressione è quella della moda in crisi. Crisi nera. Il settore rimane in bilico, sospeso tra il desiderio di cambiamento e il timore di perdere la propria identità.

In un mondo che cambia a velocità vertiginosa, forse è tempo che la moda si fermi e rifletta. Non per cercare la perfezione, ma per ritrovare quell’essenza che l’ha sempre resa unica: la capacità di emozionare, ispirare e trasformare.

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