Secondo un rapporto realizzato da un’università britannica lo scorso anno il mercato europeo si serve di abbigliamento o materie prime tessili prodotte dagli schiavi Uiguri in Cina.
È scioccante la realtà rivelata dal rapporto “Tailoring Responsibility: Tracing Apparel Supply Chains from the Uyghur Region to Europe”. Condotto in collaborazione tra l’Uyghur Rights Monitor, l’ Helena Kennedy Center for International Justice presso l’Università di Sheffield Hallam e l’Uyghur Center for Democracy and Human Rights. Secondo lo studio, infatti, marchi noti in Europea (non solo Fast Fashion) rischiano di rifornirsi di materie prima come cotone e PVC prodotte con il lavoro forzato degli Uiguri, in Cina.
Cosa succede nella Repubblica Popolare Cinese?
Prima di vedere il report è bene fare una panoramica su quanto sta succedendo in Cina. Gli Uiguri sono infatti una minoranza dci religione musulmana presente sul territorio cinese. In particolare nella regione nord ovest della Cina: lo Xinjiang, dove costituiscono il 46% della popolazione. Tra il governo cinese e gli Uiguri, storicamente, non corre buon sangue. Dai prima del ‘900, infatti, gli Uiguri tentano, con scarsi risultati, di creare uno stato indipendente. Il governo cinese però continua a reprimere le loro rivolte. Dal 2001, con la lotta mondiale al terrorismo islamico, le attività di repressione sono state incrementate raggiungendo il culmine nel 2009.
Nel 2017 il governo cinese ha avviato un programma tramite il quale i cittadini Uiguri disoccupati vengono trasferiti dove è necessaria la manodopera. Programma definito dalla Cina come uno “strumento di riduzione della povertà”. In realtà questo sistema ha tutte le sembianze di un meccanismo di schiavitù. Gli Uiguri vengono, infatti, trasferiti con la forza e privati di ogni proprietà per essere costretti in fabbriche a produrre abbigliamento contro la loro volta.
La produzione del cotone
All’interno della regione Uigura si produce il 23% della fornitura globale di cotone e il 10% del PVC mondiale. L’80% del cotone cinese è prodotto nella regione Uigura. Va da sé che una grandissima quantità di vestiti e calzature di tutto il mondo rischi di approvvigionarsi di materia prima prodotta con sistemi di schiavitù mascherata. Proprio di questo si occupa il report sulla responsabilità sartoriale.
Il report indaga ben 39 marchi e, nello specifico, tre grandi aziende cinesi che hanno legami con il programma di trasferimento della manodopera. E che lavorano per marchi venduti in Europa. Tra le aziende cinesi ci sono Zhejiang Sunrise, Beijing Guanghua e Anhui Huamao. Tre enormi produttori di cotone che si riforniscono in fabbriche legate al programma di riduzione della povertà del governo cinese. Tra i marchi venduti in Europa legati a queste aziende non solo brand di fast fashion come Zara ed H&M che si macchino dell’ennesimo crimine. Anche brand di fascia alta o medio alta, come, per esempio Hugo Boss, Ralph Lauren e Burbery sono legati a questo sistema. Infatti i tre brand citati si riforniscono dalla società Smart Shirts di proprietà di Zhejiang Sunrise.
Quanto evidenziato dal rapporto britannico è particolarmente preoccupante. Altrettanto preoccupante è la possibilità che in Europa arrivino questi prodotti di fronte ad una generale ignoranza. Attraverso raggiri e strategie tutto questo sfruttamento, come sempre, passa in sordina e tutti diventiamo complici inconsapevoli di quanto succede. L’Unione Europea pare stia discutendo su una strategia per frenare questo sistema. Manovra già messa in atto dagli USA che vogliono che venga dimostrato che i prodotti importati dalla Cina non vengano realizzati tramite il lavoro forzato.