Un’inchiesta di un’ONG inglese, le nuove proposte di legge dell’Unione europea e lo sbarco in borsa di Shein. Tra passi avanti e passi indietro le cose nel fast fashion stanno cambiando.
Che sia per motivazioni economiche, di salute o di patriottismo pare che il mondo si stia pian piano accorgendo degli innumerevoli danni che colossi come Zara, Shein, H&M e tanti altri, comportano. Numerose sono le inchieste che rivelano, non solo gli spregevoli retroscena del fast fashion, ma anche tutto ciò che ne deriva. Dai problemi ambientali alle conseguenze sugli stessi compratori e sullo stato di salute dei mercati locali fagocitati da multinazionali estere di proporzioni gargantuesche.
Le scoperte del governo sudcoreano
Un’indagine, condotta dalle autorità sudcoreane di Seul e pubblicata sul quotidiano portoghese Jornal de Notícias, rivela alti livelli di sostanze tossiche nei prodotti venduti da Shein. Le autorità di Seul hanno analizzato, in principio, 8 prodotti. Nello specifico oggetti in finta pelle come scarpe per bambini portafogli e cinture. Le analisi hanno svelato l’elevata presenza di diverse sostanze tossiche nei prodotti, in particolare fatati, una sostanza chimica usata per ammorbidire la plastica.
Secondo quanto riportato un paio di scarpe conteneva addirittura livelli di ftalati superiori di 428 volte rispetto al limite consentito. Una sostanza combattuta in Europa dal 1979 le cui restrizioni aumentano sempre di più in simbiosi con le ricerche scientifiche che ne evidenziano gli effetti negativi. Pare infatti che gli ftalati siano collegati allo sviluppo di alcune malattie come diabete, asma, disturbi di fertilità e variazioni nel sistema endocrino.
Fino ad ora le autorità coreane hanno analizzato 93 prodotti di cui circa la metà contenenti sostanze tossiche. Per dovere di cronaca è necessario dire che Shein ha risposto positivamente alla richiesta di ritiro dei prodotti mossa dalla Corea del Sud dichiarando: “Quando veniamo a conoscenza di qualsiasi reclamo contro i nostri prodotti, rimuoviamo immediatamente il prodotto dal nostro sito web per estrema cautela mentre conduciamo le nostre indagini“.
La verità dietro il cotone “etico”
Un’inchiesta dell’ONG investigativa inglese Earthsight svela atroci retroscena circa la produzione del cotone utilizzato dai grandi brand del fast fashion e certificato come etico. “Fashion Crimes, i giganti europei della vendita al dettaglio legati allo sporco cotone brasiliano” è il titolo dell’inchiesta che si occupa della produzione brasiliana di cotone utilizzato da Zara e H&M.
La produzione di cotone è da legare a due grosse aziende brasiliane: SLC Agrícola e il Gruppo Horita. I due colossi operano nello stato occidentale di Bahia, una parte del prezioso bioma del Cerrado. Grande savana tropicale che ospita il 5% delle specie del mondo. Il luogo sta subendo una continua e preoccupante deforestazione per dare spazio all’agricoltura su scala industriale. Proprio qui viene prodotto il cotone utilizzato dal gruppo Zara e da H&M che viene certificato come etico da Better Cotton, il più grande sistema di certificazioni del cotone nel mondo.
Sono circa 800mila le tonnellate di cotone prodotte in Brasile come “cotone etico” e macchiate di crimini ambientali e umani. La deforestazione messa in atto da questi colossi infatti non ha un esclusivo impatto ambientali. Le conseguenze si sono riversate anche sulle comunità tradizionali che vivevano in simbiosi con la natura all’interno del Cerrado. Gli abitanti hanno infatti dichiarato di aver subito intimidazioni, spesso da uomini armati, per convincerli ad allontanarsi.
Tutto questo è passato in sordina sotto la certificazione di cotone etico promossa da Better Cotton. Facendo così vacillare anche il sistema delle certificazioni complice di una terribile operazione di greenwashing, proprio quello che dovrebbe combattere.
La proposta di legge dell’Unione europea
L’Unione europea muove una nuova proposta di legge circa l’imposizione di dazi doganali sui prodotti d’impostazione cinese a basso costo. Fino ad ora i dazi sui prodotti d’importazione erano imposti solo quando la cifra superava i 150€. Ciò ha permesso la crescita di e-commerce come Shein, Temu ed Aliexpress fautori di una concorrenza sleale rispetto al commercio locale visti i prezzi estremamente vantaggiosi.
Seguendo il modello della proposta di legge francese, sulla tassazione del fast fashion, l’UE si muove nella stessa direzione. Alcune indiscrezioni del Financial Times rivelano che l’Unione europea vorrrebbe eliminare la soglia dei 150€ per disincentivare l’acquisto di prodotti low cost che subirebbero un aumento di prezzo causato dai dazi doganali.
Una proposta che pare non spaventare affatto Shein che si dichiara indifferente rispetto a questa scelta. Secondo il portavoce del colosso, infatti, il suo successo in Europa non dipende affatto dalle agevolazioni di cui ha sempre beneficiato. Nel frattempo il Regno Unito viaggia su tutt’altro binario. Il governo inglese infatti vuole aiutare il colosso del fast fashion nella sua imminente entrata in borsa. Nello specifico Keir Starmer, Primo Ministro Inglese, ha incontrato i dirigenti di Shein confermandogli il supporto della nazione circa la continua espansione dell’azienda e l’avvio nell’attività in UK.
Insomma per ogni piccolo passo avanti in fatto di consapevolezza e legislatura se ne fa uno indietro che, però, di contro, vale come un milione in avanti.
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