Il suo aspetto stravagante fu custode di una mente dallo spirito riflessivo. Isabella Blow rimane ancora oggi l’enigma più affascinante della moda.
Il suo nome di famiglia si traduce in “soffio”. In effetti, non vi è parola che descriva al meglio Isabella Blow del suo stesso cognome, specchio del suo spirito. Effimera ma presente, gracile ma monumentale. Le vesti eccentriche sono state scudo per il suo animo fragile, il caschetto nero un tratto distintivo, gli stravaganti cappelli firmati Philip Treacy la sua assicurazione sulla privacy, nonché fedeli compagni di viaggi e sventure. Una vita folle ed una fine drammatica: è questa la storia di Isabella Blow, la fashion editor più enigmatica della moda.

Issie
Isabella Blow nasce il 19 novembre del 1958 a Londra, in un ambiente familiare così corrotto da costringerla alla fuga sin da giovanissima. Un fratello minore venuto a mancare fin troppo presto, il divorzio dei genitori, l’abbandono della madre. Isabella, o Issie, si occupa di un’infinità di lavori differenti per potersi permettere anche solo di sognare una vita al di fuori di quelle mura. E ci riesce. Vola a New York, studia arte cinese alla Columbia University, poi entra in contatto con la moda per la prima volta lavorando al fianco di Guy Laroche. Con un piede ormai ben saldo nel fashion biz, un efficace gioco di passaparola le farà conoscere grandi nomi come Anna Wintour e André Leon Talley, e le donerà il privilegio di poter chiamare amici artisti del calibro di Andy Warhol e Jean-Michel Basquiat.


La sua personalità tenue ma esplosiva si fa poi sempre più strada in quel mondo fatto di passerelle e lustrini, che pur non sapendolo ancora, le sarà in debito in eterno. È infatti grazie a Blow che modelle come Stella Tennant o designer come Philip Treacy si ritrovano sotto l’abbagliante luce dei riflettori, trovandovi il successo.
Ma la scoperta più travolgente dell’acuta talent scout, arriva solo nel 1992. È in quell’anno che si reca alla cerimonia di chiusura della Central Saint Martins School of Art. Si siede sui gradini di una sala gremita di persone, e da lì, tra una testa e l’altra, s’innamora della collezione di uno degli studenti: Alexander McQueen. Isabella acquista tutti i pezzi della linea per 5,000 sterline. Dà così vita al leggendario brand, e a un legame indissolubile, che unirà i due anche nel tragico destino.

Quegli imponenti cappelli, come il reticolato di Swarowski, il Lobster Hat, o lo strutturale copricapo in pizzo nero, mascheravano magistralmente un doloroso vuoto di sottofondo, colmato poi nel maggio 2007. La vita di Blow si interrompe diciotto anni fa dopo diversi tentativi di suicidio. Un sipario oscuro si chiude all’improvviso su un palcoscenico che fino ad allora sembrava mettere in scena un sogno fatto di stravaganza e mondanità.
« Mi dicono: “Oh, posso baciarti?”. Io rispondo: “No, grazie mille”»
Ad accompagnare la sua uscita di scena il giorno del suo funerale, una celebrazione del dramma: sei imponenti cavalli neri precedono il feretro ricoperto da candidi fiori bianchi. Alcuni amano ancora ricordare come arrivò “fashionably late” (elegantemente tardi) alla sua stessa cerimonia. E se è vero che c’è un aldilà, Isabella vi è arrivata preparata: il suo amato cappello-galeone firmato Treacy è con lei anche quel giorno. Così che possa baciare il meno possibile anche ovunque lei sia.
Sì, perché la motivazione che l’ha spinta un’intera vita a coprirsi il capo con enormi strutture, è proprio quella. In un’intervista con Tamsin Blanchard del 2002, Issie racconta infatti che amava indossare le ingombranti creazioni del designer irlandese perché grazie alle loro dimensioni poteva tenere tutti lontani da sé. «Non voglio essere baciata da tutti, voglio essere baciata dalle persone che amo», disse. Non sappiamo se il fashion system abbia esasperato le sue sofferenze, o se invece abbia ritardato il suo gesto estremo a suon di creatività e nuove idee, che a Blow non mancavano mai. Chissà che non sia stato proprio il sistema moda a baciarla fin troppo poco.
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