C’è qualcosa di profondamente ancestrale nel colpo di fulmine. È istintivo, viscerale, una reazione che precede la parola e la ragione.
Come scrive Roland Barthes in Frammenti di un discorso amoroso, è un atto che non si spiega, ma che si sente con una chiarezza che annienta ogni dubbio: “Ti amo, e non so perché. Ma so che non posso non amarti.”
La mente non ha tempo di analizzare, il cuore ha già scelto.
In un mondo che ci educa all’autocontrollo, all’analisi costante, al calcolo di ogni possibilità, il colpo di fulmine è un cortocircuito meraviglioso. Non ha piani, non ha difese. È un incontro che disarma, destabilizza, scompiglia tutto. Ed è proprio questa imprevedibilità a renderlo così autentico, così puro. Forse è per questo che ci spaventa così tanto.
La nostra società moderna ha trasformato le relazioni in strategie, le emozioni in contenuti da condividere. Dove il primo approccio è filtrato da uno schermo, dove persino il tempo dell’amore è diventato immediato, schedulato, ottimizzato. Eppure, c’è ancora qualcosa che sfugge agli algoritmi: quella vertigine, quella scarica che corre lungo la schiena e ti dice che è successo qualcosa, anche se non sai bene cosa.
“Non si ama qualcuno perché è perfetto. Si ama nonostante il fatto che non lo sia.”
Scriveva Jodi Picoult


Ma cosa accade quando l’amore si manifesta prima ancora di conoscerlo davvero? Quando l’incontro è così immediato da sembrare irreale, eppure così vivido da non poter essere ignorato?
Il colpo di fulmine è un evento raro, quasi mitologico. Dostoevskij scriveva che “l’amore arriva come un ladro nella notte”, e Tolstoj, con Anna Karenina, ci ha insegnato che uno sguardo può contenere una vita intera. Jane Austen, nelle sue pagine, ci ha mostrato come l’attrazione possa nascere prima ancora che la ragione la riconosca. Secondo i romantici, era destino. E per i filosofi, un mistero. Per gli scrittori, l’unica forma di verità possibile in un mondo che mente.
Baudelaire parlava di “una scintilla nell’aria”. Barthes lo definiva “una folgorazione dell’immaginario”. Per i Greci era un riconoscimento dell’anima, una ferita d’amore che si apre con uno sguardo.
Eppure, nel nostro tempo così disilluso, così saturo di relazioni liquide e da algoritmi che tentano di predire i sentimenti, il colpo di fulmine sembra quasi un concetto d’altri tempi.
E allora la domanda è una sola: esiste ancora il colpo di fulmine, o lo abbiamo sepolto sotto la paura di sentirci vulnerabili? In un tempo che ci vuole lucidi, scegliere di lasciarsi andare è un atto di coraggio. Oggi l’amore sembra dover passare attraverso una serie di controlli di qualità.


Ci chiediamo:
“Mi stimola intellettualmente?”
“È emotivamente stabile?”
“È in linea con i miei valori?”
Sembra quasi che anche l’amore debba superare un colloquio. Ma il colpo di fulmine, no. Non ha pazienza, non aspetta nessun esito. È irragionevole, brucia le regole, sfida ogni equilibrio.
E proprio per questo, ci mette davanti a noi stessi: alla nostra capacità di sentire, di lasciarci sconvolgere, di non avere tutte le risposte. Perché non si tratta solo di trovare la persona giusta. Si tratta di avere il coraggio di riconoscerla. Anche se arriva troppo presto, se ci spaventa. Anche se ci toglie il fiato.
E allora forse, il colpo di fulmine non è scomparso. È solo in attesa che qualcuno smetta di cercare l’amore nei posti giusti e inizi a riconoscerlo nel momento sbagliato.
Nel caos di uno sguardo. Nella vertigine di un incontro che scardina tutto.
Artwork: Marika Vinci