Freeda: Il digital marketing secondo Andrea Scotti Calderini

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Costruire un brand nel digitale oggi significa sapersi reinventare continuamente. Andrea Scotti Calderini lo ha fatto passando dalla gestione dei talent ai media, dalla TV al digital business, fino alla creazione di Freeda, il brand che ha ridefinito la comunicazione per le nuove generazioni.

Tra aneddoti su Naomi Campbell, Gerry Scotti e Michelle Hunziker, visione imprenditoriale e il dietro le quinte di un’azienda in ascesa, Scotti Calderini ci racconta cosa significa lavorare con le celebrity, gestire un team e anticipare il futuro.

Il segreto? Ascolto, adattabilità e passione. E magari un po’ di strategia, perché nel mondo dei media nulla è lasciato al caso.

Hai lavorato a stretto contatto con molte personalità famose. C’è qualche aneddoto divertente che vuoi raccontarci?

Nel corso della mia carriera ho avuto l’opportunità di collaborare con tantissimi talent e artisti. Ho iniziato lavorando nelle agenzie di rappresentanza e management, poi con Fremantle e Mediaset ho seguito programmi come X Factor, lavorando fianco a fianco con i giudici. Ho avuto la fortuna di collaborare con Maria De Filippi, Davide Parenti (ideatore de Le Iene), Michelle Hunziker e tanti altri. Con Freeda, il rapporto con i talent è diventato ancora più strategico, sia a livello editoriale che nello sviluppo di brand.

Di episodi curiosi ne ho vissuti parecchi! Uno dei più surreali riguarda Fashion for Relief, un evento benefico organizzato da Naomi Campbell. Il mio compito era gestire la sua agenda con la stampa, ma il problema era… che Naomi arrivava sistematicamente in ritardo. Non parlo di qualche minuto, ma di 5, 6, anche 7 ore! Io ero giovanissimo, alle prime esperienze, e passavo ore ad aspettare, senza poter dire nulla.

Un altro ricordo riguarda Gerry Scotti. Il mio cognome è Scotti Calderini e quando ci siamo incontrati nel backstage di un programma, mi ha detto ridendo: ‘Chissà quante volte ti scambiano per un mio parente!’. Io, senza pensarci troppo, ho risposto: ‘Più che tuo cugino, mi scambiano per tuo figlio!’. Ci siamo fatti una bella risata.

E poi c’è Michelle Hunziker, con cui abbiamo costruito Goovi. Abbiamo vissuto momenti di confronto intenso – a volte anche acceso – ma sempre stimolante. Michelle è una professionista straordinaria, poliedrica e piena di energia. Ogni volta che lavoriamo insieme imparo qualcosa di nuovo, sia quando stiamo sviluppando un progetto, sia quando ci troviamo semplicemente a bere una birra in un bar.”

Qual è la qualità più importante che deve avere oggi un leader nel settore dei social media e del digital business?

Senza dubbio, l’ascolto. Un buon leader deve saper ascoltare davvero, comprendere i diversi punti di vista e prendere decisioni ponderate, non solo basandosi sulla propria esperienza, ma anche sui feedback che riceve.

Poi c’è la capacità di adattarsi e reinventarsi. Il digitale è un mondo in continua evoluzione: se ti aggrappi troppo a un successo passato, rischi di diventare irrilevante. Bisogna essere pronti a mettersi in discussione e sfidarsi continuamente, senza però cadere nell’overthinking, che può diventare un freno alle decisioni.

E infine, la passione. Se non ami quello che fai, diventa tutto più difficile. La passione è ciò che ti spinge a innovare, a superare le difficoltà e a trovare sempre nuove prospettive.”

C’è una figura professionale a cui ti ispiri particolarmente?

Ce ne sono tante. All’inizio della mia carriera, una figura fondamentale è stata David Brown, il mio primo datore di lavoro, che è stato una figura genitoriale, guida per me. Poi ho sempre ammirato David Fuller, il manager che ha lanciato le Spice Girls, David Beckham, gli One Direction e che ha creato American Idol, un format rivoluzionario.

Nel mondo della produzione, ho avuto la fortuna di lavorare con Lorenzo Mieli e Gabriele Immirzi, due grandi produttori televisivi, e con Andrea Scrosati, che ha portato X Factor su Sky dalla Rai e ha contribuito alla nascita di Gomorra, una persona che ha avuto il coraggio di promuovere la cultura italiana nel mondo.

Più recentemente, ho trovato ispirazione in Stefano Sala, CEO di Mediaset e Publitalia, e in imprenditori come Jens Grede, co-founder di Skims e Saturday Group. La cosa bella è farsi ispirare da tante persone diverse e poi costruirti il tuo percorso, non potrai mai essere loro – perché non lo sarai mai – ma farti ispirare, ascoltarle e poi creare il tuo percorso personale, questo credo sia fondamentale. Poi c’è Bob Iger, CEO di Disney, che ha rivoluzionato il brand negli ultimi 25 anni.”

Come è nata l’idea di Freeda?

Il momento. Stavo prep me lo ricordo benissimo. Stavo lavorando per Stefano Sala, preparavo una presentazione per Mediaset sui nuovi modelli di business nel digital media e sul futuro dell’editoria online. Nel frattempo, Gianluigi Casole, il mio socio e co-fondatore di Freeda, stava facendo una ricerca simile per un fondo di investimento per cui lavorava.

Una sera, intorno alle 22:30, ci siamo trovati nel suo ufficio per confrontarci. Guardando i dati, ci siamo scambiati uno sguardo e ci siamo detti: ‘Dobbiamo farlo anche noi.’ Tornando a casa in motorino, continuavamo il brainstorming a ogni semaforo. Era un flusso ininterrotto di idee, ci sembrava tutto così chiaro.

Il giorno dopo ci siamo chiesti: ‘Ok, come la rendiamo concreta?’ Ci sono voluti mesi per trovare il coraggio, ma alla fine abbiamo deciso di lasciare le nostre carriere per lanciare Freeda.

Qual è l’età media del team di Freeda?

Si aggira intorno ai 28-30 anni, ma è molto varia. Nell’executive team ci sono professionisti più esperti, dai 40 anni in su, mentre nella linea manageriale siamo tra i 28 e i 35 anni. Abbiamo anche giovani di 20 anni e colleghi di 50, perché credo moltissimo nella contaminazione tra generazioni: i più giovani portano freschezza, nuove prospettive e il coraggio di sperimentare, mentre l’esperienza aiuta a evitare errori e a dare solidità alle decisioni. Per me, questo equilibrio è fondamentale.

Come si crea un ambiente di lavoro sano, basato sulla condivisione e non sulla competizione?

Creare un ambiente lavorativo sano è una delle sfide più complesse in assoluto. All’inizio, quando un’azienda è ancora agli esordi, la vivi come una tua creatura, quasi fosse un figlio. E come ogni genitore, all’inizio fai fatica a delegare: ogni decisione, ogni azione che non rispecchia la tua visione ti pesa. È un processo psicologico inevitabile, ma col tempo devi imparare ad accettare che, crescendo, un’azienda passa tra molte mani, interne ed esterne, e non puoi pretendere che tutti facciano esattamente quello che faresti tu.

Ci sono però alcuni elementi fondamentali che aiutano a costruire un team coeso e una cultura aziendale sana.

Il primo è la cultura dell’ascolto e del feedback. Bisogna creare un ambiente in cui chi lavora con te si senta libero di esprimere opinioni, di dare e ricevere feedback senza timore. Il feedback è un regalo: puoi accettarlo o meno, ma se non esiste un confronto aperto, si finisce per alimentare dinamiche negative e non costruttive.

Il secondo è la presenza. Io sono sempre presente, in azienda o da remoto. La leadership non è solo prendere decisioni strategiche, ma anche essere un punto di riferimento. Le persone apprendono per osmosi, osservando i comportamenti degli altri. Se vuoi che la tua azienda abbia certi valori, devi incarnarli tu per primo.

Il terzo è la selezione. Il fit culturale è tanto importante quanto le competenze. Ho visto persone con un curriculum straordinario fallire perché non si adattavano alla cultura aziendale, mentre altre, con meno esperienza, esplodere e crescere in modo esponenziale perché avevano il giusto mindset. Se un ambiente è costruito sulle persone giuste, la sinergia nasce in modo naturale.

E poi c’è un ultimo punto: bisogna accettare che creare una squadra coesa è difficilissimo. Non sempre si trova l’equilibrio perfetto, ma con ascolto, presenza e una buona selezione, si può creare un ambiente in cui le persone non lavorano solo per raggiungere obiettivi, ma perché si sentono parte di qualcosa di più grande.

Come immagini Freeda tra dieci anni?

Dieci anni è un orizzonte temporale lunghissimo, ma spero che Freeda Media continui a essere un punto di riferimento, restando rilevante e autentica per il suo pubblico. Vorrei che la nostra divisione di marketing services si espandesse sempre di più a livello internazionale, diventando un asset strategico per le aziende con cui collaboriamo.

Inoltre, credo molto nel potenziale dei nuovi brand. Dopo il successo di Goovi con Michelle Hunziker, mi piacerebbe replicare questo modello in altri settori e con nuovi talenti, anche su scala globale. Il futuro di Freeda è nel continuare a innovare e costruire qualcosa che lasci il segno.”

Foto: The Innovetion Group