Storia di Valentino: l’unico San Valentino di cui abbiamo bisogno 

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Nel giorno degli innamorati ADLMag racconta l’incredibile storia dell’unico Valentino degno di essere chiamato Santo: l’imperatore Valentino Garavani.

La moda l’ha incoronato imperatore, John Fairchild, storico direttore di WWD, l’ha ribattezzato the sheick of chic: stiamo parlando di Valentino Garavani, l’unico Valentino degno dell’appellativo di Santo. È l’11 maggio 1932 e, nella provincia pavese, nasce Valentino Clemente Ludovico Garavani inconsapevole che sarebbe diventato la più grande firma dell’eleganza mondiale. Fin da piccolo la sua attitudine alla bellezza fu lampante, a Milano seguì un corso da figurinista e, a soli 17 anni, si trasferì a Parigi per imparare l’arte della moda. Studiò all’Ecole des Beaux-Arts e alla Chambre Syndicale de la Couture Parisienne con compagni di banco come Yves Saint Laurent e Karl Lagerfeld. “Due ragazzini sconosciuti come me” racconta il signor Garavani. Dopo aver lavorato per l’alta moda parigina, nel 1959, si trasferì a Roma per aprire il suo atelier personale, ma Parigi gli rimase nel cuore. 

Valentino Garavani alla sua ultima sfilata

Grazie all’appoggio di un facoltoso amico del padre apri il primo atelier in via Condotti, ma gli abiti erano troppo costosi e il progetto non decollò. L’amico del padre ritirò il suo supporto e la griffe venne salvata da Giancarlo Giammetti. Studente di architettura romano 6 anni più giovane del signor Garvani. Si incontrarono il 31 luglio 1960 al Cafè de Paris per non lasciarsi mai più. Giammetti si interessò al lavoro dello stilista e diventarono soci (nella vita e in affari) aprendo, insieme, Maison Valentino. Giammetti si occupò di tutto il commerciale e della parte finanziaria creando attorno alla maison romana una corazza indistruttibile che permise al signor Garavani di fare le uniche tre cose per cui si riteneva competente: “disegnare un vestito, decorare una casa e intrattenere le persone”. 

L’eleganza si tinge di rosso

Se oggi non c’è occasione mondana in cui manca un abito rosso lo dobbiamo all’imperatore. Valentino aveva una vera e propria ossessione per il colore rosso. Questa sua fissazione per la tinta nacque quando, da ragazzo, vide una donna dai capelli grigi vestire un abito di velluto rosso  all’Opera di Barcellona. “Fra tutti i colori indossati dalle altre donne, mi è sembrata unica, isolata nel suo splendore. Non l’ho mai dimenticata. Penso che una donna vestita di rosso sia sempre meravigliosa, è la perfetta immagine dell’eroina” spiegò il couturier. Il colore fu così ricorrente nelle sue collezioni che l’azienda americana Pantone registrò la sfumatura, si tratta del Pantone 2035 UP, consegnato alla storia come l’inconfondibile Rosso Valentino

Valentino fa innamorare il jet set

Nella Roma della dolce vita il nome di Valentino si faceva strada tra il jet set. Tra le prime attrici a comprare un abito bianco firmato dallo stilista ci fu la splendida Liz Taylor, a Roma per le riprese di Cleopatra. Seguì, nel 1962 la prima sfilata d’alta moda a Palazzo Pitti. Ma l’anno della svolta fu il 1964 quando, dopo una sfilata a New York, Jacqueline Kennedy, reduce dall’assassinio del marito, comprò sei abiti in bianco e nero di Valentino da indossare durante l’anno di lutto. La Kennedy, da sempre vestita dall’americano Oleg Cassini, portò la griffe romana al successo americano vestendo, da quel momento in poi, quasi esclusivamente Valentino. 

Jaqueline Kennedy in Valentino

Nel 1968 arrivò l’altro grande successo del signor Garavani: la White collection. In controtendenza con lo spirito rivoluzionario della fine del decennio, che privilegiava stampe colorate e psichedeliche, Valentino presentò una collezione sui toni del bianco, beige e avorio. Un momento diventato icona per il mondo della moda. La stessa Jacquline Kennedy, all’insaputa del signor Garavani, scelse uno di questi splendidi abiti, realizzati con tessuti da 2mila dollari al metro, per il suo matrimonio con l’imprenditore greco Aristotele Onassis. In quegli anni Valentino vestì tutta l’alta società, il jet set era firmato dalla griffe romana che stava conquistando il mondo. Perfino Audrey Hepburn, musa di Givenchy, si fece fotografare da Gian Paolo Barbieri per Vogue Italia vestita dall’imperatore.

La scalata di Valentino

Negli anni ’70 Giammetti comprese la forza delle seconde linee e delle licenze portando Valentino ad uno step successivo. Nel 1970 uscì la prima linea di pret-a-porter, , nel ’78 il primo profumo, l’anno dopo la linea denim e, nel 1986 la collezione giovanile che portava il nome del carlino preferito del signor Garavni: Oliver. Alla fine degli anni ’80 la griffe contava ben 50 licenze che portarono il nome dello stilista fino in Giappone. Non c’era, e non c’è tutt’ora, red carpet o qualunque occasione mondana senza Valentino. Da Anne Hathaway a Giulia Roberts, da Nicole Kidman e Kate Winslet tutte le star indossano Valentino. Sul finire degli anni ’90 l’azienda venne venduta al gruppo HdP di Gianni Agnelli per poi passare nelle mani del gruppo Marzotti Appareal. 


L’ultimo Imperatore

Nonostante i cambiamenti direzionali e le questioni finanziarie Valentino continuò a rimanere chiuso nel suo studio a disegnare magia mentre, come sempre, Giammetti teneva in piedi il marchio. Arrivò poi il 2007 e l’imperatore decise di ritirarsi dalle scene. La sua ultima sfilata fu sensazionale: era il gennaio del 2008 e, a Parigi, al museo Rodin, sfilava una collezione in total red che è entrata negli annali della moda. Dopo il signor Garavani la griffe è passata nelle mani di Alessandra Facchinetti, per poi vivere la gloriosa era Pierpaolo Piccioli, anticipata dalla collaborazione con Maria Grazia Chiuri. Oggi la direzione della Maison è stata affidata ad Alessandro Michele che sta portando avanti il suo progetto estetico non senza critiche. Nonostante tutto Valentino rimane nella cultura come un faro di eleganza mondiale tutto italiano, unico custode del buon gusto in un mondo che viaggia su altri binari.

Insomma oggi, domani e per sempre: lunga vita all’imperatore!

Foto: Pinterest