Nel magico regno di Hollywood, dove gli incantesimi si intrecciano con gli scandali, più di quanto accada in un tipico copione firmato Shonda Rhimes. Gal Gadot, attrice israeliana e star globale, si ritrova a interpretare la Regina Cattiva nella nuova rivisitazione live-action di Biancaneve.
Ma anziché celebrare il suo carisma regale e la sua esperienza sul grande schermo, il dibattito si è trasformato in una schermaglia mediatica combattuta, stoccata dopo stoccata, su X (ex Twitter).
Non si discute più se Gal Gadot sia la più bella del reame, ma se sia moralmente idonea per il ruolo. Il suo “crimine”? Essere israeliana ed aver svolto, come previsto dalla legge del suo Paese, il servizio militare obbligatorio.
In un mondo sempre più diviso, Hollywood è diventata lo specchio distorto di un sistema dove, cinema e politica, continuano ad andare di pari passo, facendosi condizionare dalle esigenze e dal pensiero dei consumatori. Un circolo vizioso in cui ogni scelta di casting sembra dover passare il vaglio di tribunali mediatici, pronti a calare la scure.

Un matrimonio di cristallo
Non è una novità che Hollywood sia diventata un microcosmo, dove si riflettono tensioni sociali e politiche, ma il caso di Gal Gadot alza l’asticella del paradosso. Non si discute il talento, la presenza scenica o la capacità di trasformarsi nel personaggio, ma l’ideologia personale e, in questo caso, l’identità nazionale. Come se un attore dovesse presentare un certificato di purezza geopolitica prima di accedere al set (sembra di essere tornati all’era del Green Pass, o peggio ci sentiamo, a quella evergreen proprio come la Green Card).
Questa tendenza a politicizzare il mondo dell’intrattenimento ha radici profonde, ma sta raggiungendo livelli preoccupanti. In un momento in cui l’arte dovrebbe unire -come è sempre stato- diventa invece terreno fertile per divisioni e polarizzazioni. Si chiede agli attori di incarnare un’idea di moralità assoluta che spesso nemmeno le istituzioni riescono a sostenere.

Si, Vostro Onore!
I social media hanno trasformato il pubblico in giudice, giuria e boia. Ogni decisione – dal casting alla sceneggiatura – è sottoposta a un esame pubblico spesso privo di contesto e moderazione. Il caso di Gadot è emblematico: l’attrice è diventata il bersaglio di critiche che nulla hanno a che vedere con la sua professione. Si dimentica che il suo lavoro è interpretare un personaggio, non essere l’incarnazione del vessillo della sua comunità.
Eppure, in questa versione digitale degli Hunger Games, il confine tra attore e personaggio si sfuma, trasformando ogni scelta artistica in un’occasione per intavolare dibattiti ideologici e alimentare la polemica fuffa. Ma è giusto attribuire a Hollywood il compito di risolvere questioni geopolitiche globali? E, soprattutto, che fine fa l’arte quando viene messa in secondo piano rispetto alla morale?

Gal Gadot: ruolo regale, polemica mondiale
Che lo si voglia o meno, Gadot è chiamata a ricoprire un’ulteriore veste oltre che quella di attrice. È diventata il simbolo delle contraddizioni di Hollywood. Da un lato, un’industria che si vanta di essere progressista e inclusiva; dall’altro, una macchina che sembra cedere sempre più al giudizio del “popolino” sacrificando l’arte sull’altare del politicamente corretto.
E mentre aspettiamo l’uscita di Biancaneve per vedere se la sua Regina Cattiva sarà all’altezza delle aspettative, una cosa è certa: nessuno specchio potrà regalarci il lusso di sfuggire al tribunale dell’opinione pubblica. Nemmeno quello più magico di tutti.
Da: Millo & Frank