Il mondo dello spettacolo e la sua subordinazione alla morale

da | CULTURE

Oggi lavorare nello show business è un sogno condiviso, ieri motivo di sdegno. Come è cambiata la percezione dei lavoratori dello spettacolo?

Oggi fare l’attrice, la modella o la ballerina è il sogno di ogni bambina. Sogno apprezzato e, molto spesso, incoraggiato da amici e famiglia. Avere una figlia che fa la modella piuttosto che l’attrice è motivo di vanto per famiglia, amici e conoscenti. In passato, però, le cose sono state un po’ diverse. Fino a non moltissimo tempo fa, si parla della prima metà del ‘900, il mondo dello spettacolo era visto con sdegno dalle buone famiglie. Soprattutto per quanto riguarda il genere femminile. Fare l’attrice significava, molto spesso, non avere fissa dimora, girare il lungo e il largo per teatri e non poter onorare i doveri di moglie e madre imposti dalla società. Tutto ciò favoriva, dunque, la visione delle lavoratrici dello spettacolo in maniera negativa.

In linea di massima lavorare come attrice o, in certi casi, come modella era come fare la prostituta secondo la morale comune. Anche perchè era richiesto loro, in diverse occasioni, di esibire il corpo in abiti molto succinti. In modo da invogliare il pubblico maschile ad andare al cinema o a teatro. Vale lo stesso discorso anche per il mondo della danza non accademica. Essere una ballerina o un’attrice classica in un grande teatro come La Scala di Milano era chiaro motivo di orgoglio. Ma lavorare per compagnie più sperimentali o esibirsi in danze meno canoniche era mal visto dalla società. Racconta questa realtà la serie televisiva “The Marvelous Mrs. Maisel“. Che narra le difficoltà di un’esordiente attrice comica nell’America degli anni ’50. Valutata da amici e famiglia come una poco di buono.

Con il tempo l’alta società ha compreso il valore, più o meno intellettuale, delle professioniste dello show business e il pregiudizio si è spostato verso la classe media. La definizione di donna indipendente e dinamica nell’élite della società è stata accolta, ma la classe operaia ha faticato ha comprenderne lo spessore. Molto speso perchè legata a valori molto tradizionali. SI parla di un tempo, tra gli anni ’40 e ’50 del ‘900, in cui le poche famiglie operaie che riuscivano a far studiare un figlio sceglievano il maschio.

Alle femmine era imposta la cura della casa e della famiglia. Così vedere una figlia che voleva intraprendere una carriera diversa dalla sarta o dalla maestra diventava motivo di vergogna. A raccontarlo è una pellicola del 1952 di Luciano Emmer: “Le ragazze di Piazza di Spagna”. Un esemplare spaccato della provincia romana del tempo in cui una ragazza in procinto di cominciare una brillante carriera da modella viene fermata dai pregiudizi del quartiere.

Sembrano passati 1000 anni, ma non è così. Arrivati agli anni ’60 le cose sono cambiate. Fare l’indossatrice o l’attrice era diventato il sogno di tutte le bambine. Per non parlare degli anni ’80 e ’90 quando le modelle, per esempio, erano le icone per eccellenza. Le big sx erano diventate anche più famose delle attrici e considerare queste professioni come mestieri per poco di buono era assolutamente anacronistico. La morale comune è cambiata in relazione al successo straordinario di queste professioni diventate mestieri aspirazioni e, molto spesso, irraggiungibili in cui una su mille ce la fa.

Cosa è rimasto oggi di questo pregiudizio?

A soffrire ancora di questa morale è, molto spesso, il mondo della danza. Ove per danza non s’intenda grandi teatri e compagnie blasonate. Piuttosto generi più spinti e veicolati in luoghi meno istituzionali. Si parla delle ballerine da discoteca o delle showgirl televisive, figura oggi praticamente sparita. Su di loro ancora si cela il giudizio di una società che le definisce come ragazze facili. Arrivate in quella posizione percezione hanno accettato compromessi o favori di genere sessuale.

Il mondo della danza, in questo caso a tutti, i livelli vive anche un pregiudizio legato al genere. Ciò riguarda i ballerini uomini spesso considerati, necessariamente, omosessuali. In particolare quando si parla di balli come la danza classica o contemporanea. Meno in ambienti come i balli latini o l’hip hop e le danze Urban.In linea di massima un uomo che si approccia al mondo della danza è subito giudicato per il suo orientamento sessuale. Questo è motivo, molto spesso, di bullismo tra i ragazzini che, frequentemente, abbandonano le scuole di danza per evitare l’esclusione sociale.

Insomma dietro le luci dei riflettori c’è un mondo di pregiudizi e sguardi sdegnanti da parte di una società molto spesso invidiosa delle libere scelte di persone che non accettano le costrizione autoimposte dalla morale collettiva. Morale che, per altro, come abbiamo analizzato, cambia molto velocemente. Un giorno dissacra e l’altro glorifica.

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