Sacro e Pop-fano: l’ironia firmata AB81

da | CULTURE

Esiste una linea sottile tra il sacro e il profano, ma Alessio Bruno – in arte AB81 – l’ha completamente ignorata. Preferendo saltarci sopra con colori sgargianti e un pizzico di ironia pop.

In un mondo dove la Regina Elisabetta può diventare un’icona quasi sacra e Frida Kahlo una musa universale. Alessio ha trasformato la sua passione per la cultura pop in un fenomeno artistico che non si prende mai troppo sul serio, ma che è impossibile ignorare.

Le sue “Popfaces” sono ovunque, dal feed di Instagram ai salotti più chic, mescolando il kitsch con il sublime. Ma cosa lo ispira davvero? E come si passa dal lavorare in un’agenzia pubblicitaria a diventare l’artista che fa riflettere e sorridere in un colpo solo?

In questa intervista, Alessio ci racconta il suo viaggio nel mondo del pop, dove icone sacre e volti celebri diventano protagonisti di un nuovo culto: quello dell’arte che si diverte a essere POP.

Alessio, la tua arte è riconosciuta per il suo stile unico. Raccontaci un po’ del tuo percorso: come sei arrivato a essere l’artista pop che conosciamo oggi?

Voglio subito precisare che non mi sento un “artista”. Questa parola mi suscita sempre imbarazzo perché penso che gli artisti siano altri, persone che hanno tracciato con il loro essere una strada. Come ad esempio la mia artista preferita, Frida Kahlo. Detto questo, il mio percorso “artistico” è iniziato in modo spontaneo e naturale, posso definirlo come un gioco. Lavoravo in un’agenzia pubblicitaria a Torino, dove ogni progetto, per quanto creativo, era legato a specifici obiettivi nel soddisfare le richieste del cliente.

È stato proprio in quel contesto che ho sentito la necessità di esprimere la mia creatività in modo più libero, senza regole. Così ho iniziato a creare per il semplice piacere di farlo, giocando con forme, colori e volti iconici della cultura pop. Le mie prime opere sono nate quasi per gioco, trasformando figure della moda, della musica e del cinema, come Jessica Fletcher, la Regina Elisabetta, Naomi Campbell, in Santini Pop.

Da lì è nata l’idea delle POPFACE. Un connubio di elementi che richiamano l’estetica delle immagini sacre (sono pugliese, e l’immagine sacra in qualche modo fa parte della mia cultura) in chiave contemporanea.

La pop-art ha radici storiche forti, ma tu hai saputo darle un twist moderno. Come ti sei avvicinato a questo stile e come lo hai fatto tuo?

La Pop Art mi ha sempre affascinato per la sua capacità di trasformare oggetti quotidiani in icone visive. Mi sono avvicinato a questo stile proprio perché unisce il mondo dell’arte a quello della POP CULTURE, rompendo le barriere tra l’alto e il basso. Come detto prima, mi sono avvicinato a questo stile in modo molto naturale. Forse perché ho avuto la fortuna di nascere negli anni ’80 e ho vissuto a pieno gli anni ’90, anni che mi hanno formato e indubbiamente ispirato. Sono stati anni estremamente creativi e liberi di espressione, dalla moda alla musica al cinema, e tutto questo ha sicuramente influenzato il mio percorso creativo.

Da dove nasce l’ispirazione per le tue ‘popfaces’? Qual è il processo creativo che ti porta a trasformare personaggi iconici in opere d’arte?

L’ispirazione per le mie “popfaces” nasce principalmente dalla mia passione per la cultura pop. Sono una persona estremamente curiosa, soprattutto riguardo alle storie delle persone che hanno una forte personalità. Ho sempre trovato affascinante il modo in cui alcuni personaggi riescono a rappresentare valori, emozioni e tendenze di una determinata epoca. Quando mi imbatto in queste figure che suscitano in me curiosità e ispirazione, mi viene naturale pensare a come posso reinterpretarle attraverso il mio stile. Questo perché ho un profondo senso di ammirazione per determinati personaggi: se non mi emozionano, non riesco a “popizzarli”.

Il legame tra arte e moda è sempre più forte, e molte delle tue opere sembrano ispirate proprio da questo mondo. Quanto ti influenza la moda e quali sono le figure o i brand che più ispirano e influenzano il tuo lavoro?

La moda ha un’influenza significativa sul mio lavoro. Amo la moda e l’ho respirata fin da piccolo; mia madre era sarta, quindi ero circondato da modelli e stoffe, e passavo il tempo a sfogliare Vogue. Attualmente, dopo anni di esperienza nella pubblicità, lavoro nel settore moda, il che mi influenza assolutamente. Soprattutto per la sua capacità di reinterpretare e trasformare le identità visive e culturali. Mi attrae il modo in cui i designer mescolano il passato con il futuro, un po’ come faccio io nel fondere elementi pop e sacri.

Le figure e i brand che influenzano il mio lavoro sono molteplici. Da un lato, ci sono icone come Alexander McQueen, per la sua audacia e la capacità di unire bellezza e provocazione: un genio assoluto. Dall’altro, mi ispiro ai lavori di Alessandro Michele, ora in Valentino, e di John Galliano. Che riescono ad esplorare l’estetica della cultura pop e a dar vita a nuovi linguaggi. Questi elementi si fondono con la mia ricerca artistica nel creare personaggi che, attraverso il linguaggio visivo della moda, diventano quasi delle icone sacre moderne, proprio come nelle mie opere “POPFACE”.

La Gen Z è molto attenta ai temi della sostenibilità e dei cambiamenti sociali. Come vedi questi temi nel contesto della tua arte? Pensi che l’arte possa essere un mezzo per ispirare il cambiamento?

Assolutamente sì, credo che l’arte possa essere uno strumento potente per ispirare il cambiamento, soprattutto su temi urgenti come la sostenibilità e i cambiamenti sociali. La Gen Z ha una consapevolezza molto profonda riguardo a questi argomenti. Nel contesto delle “POPFACE”, in cui rappresento figure iconiche della moda e dell’arte attraverso un’estetica pop. Mi sento motivato a riflettere su come l’industria della moda possa influenzare positivamente o negativamente l’ambiente e le dinamiche sociali. Una figura come Franca Sozzani, storica direttrice di Vogue Italia, è stata un esempio in questo senso.

Sozzani non solo ha trasformato il mondo della moda, ma ha anche portato avanti battaglie su temi sociali, ambientali e culturali attraverso editoriali rivoluzionari. La sua capacità di fondere estetica e contenuti profondi, come nella celebre edizione “Black Issue” o nei suoi reportage sulla ecosostenibilità, rappresenta un esempio importante, come quello di “Water & Oil”. L’editoriale sul numero di agosto 2010 di Vogue Italia rifletteva sui disastri ambientali in un modo mai visto prima nel panorama della moda, e il suo messaggio resta più attuale che mai.

Franca Sozzani è stata una grande fonte d’ispirazione per me. L’idea della sostenibilità non riguarda solo i materiali, ma anche il concetto di durabilità culturale e simbolica. Creare immagini che resistano nel tempo, che abbiano un significato profondo e che possano spingere a riflessioni più ampie. L’arte, come la moda, può educare, sensibilizzare e talvolta provocare credo che l’arte possa essere un mezzo forte per ispirare il cambiamento, poiché parla un linguaggio universale capace di toccare emozioni e coscienze in modi che altri mezzi non possono sempre raggiungere.

Viviamo in un’epoca dominata dai social e dalla cultura visuale. Come pensi che piattaforme come Instagram e TikTok stiano influenzando l’arte pop? C’è un creator o trend che ti ha particolarmente colpito o ispirato in qualche modo?

Viviamo in un’epoca in cui i social media, in particolare Instagram e TikTok, hanno radicalmente cambiato il modo in cui l’arte viene creata, consumata e diffusa. Queste piattaforme hanno democratizzato l’accesso all’arte, permettendo a chiunque di condividerla e fruirne istantaneamente, aumentando così la visibilità degli artisti e il linguaggio visivo utilizzato. Personalmente, sono nato artisticamente su Instagram, dove ho iniziato a condividere le mie illustrazioni.

Da lì, i miei lavori sono stati notati e condivisi da artisti internazionali come Naomi Campbell, il che ha avuto un impatto enorme sulla mia carriera, portandomi a collaborare con riviste come Cosmopolitan, Elle, e Vanity Fair, trasformando un esperimento in una vera e propria professione.

Ritengo che piattaforme come Instagram e TikTok offrano la possibilità di raccontare l’arte in modo più dinamico e coinvolgente, avvicinando le nuove generazioni a questo mondo. Uno dei trend più interessanti che osservo è il mashup culturale, in cui i creator fondono immagini classiche con elementi della cultura pop contemporanea, proprio come faccio io nel combinare il sacro e il pop.

L’arte digitale sta diventando sempre più importante, dagli NFT alla realtà virtuale. Hai mai pensato di esplorare questi mondi? Come vedi l’evoluzione della tua arte in un contesto digitale?

Sì, l’arte digitale sta sicuramente trasformando il panorama artistico, e sono molto interessato a esplorare questi nuovi mondi. Gli NFT e la realtà virtuale offrono possibilità uniche di interazione e diffusione dell’arte. Ho già iniziato a riflettere su come potrei portare le mie opere “POPFACE” in un contesto digitale, rendendole più interattive e accessibili a un pubblico globale.

L’evoluzione verso il digitale mi affascina, soprattutto per la capacità di creare esperienze immersive e personalizzate. Penso che l’arte possa evolvere oltre i confini fisici, e questi strumenti digitali sono perfetti per ampliare il mio linguaggio artistico, mantenendo comunque il legame con le radici visive e culturali del mio lavoro.

Qual è il sogno più grande che vorresti realizzare con la tua arte? Che progetti o obiettivi hai per il futuro?

È una bella domanda. In questo periodo della mia vita, vivo giorno per giorno, lasciando che la vita mi sorprenda. Direi che il mio desiderio è continuare a essere POP, perché per me essere POP significa essere liberi di esprimersi e creare