Sta tornando il man repeller style?

da | FASHION

Per decenni ci hanno insegnato che la bellezza femminile passa da una minigonna e da un paio di tacchi alti. Sexy, seducente, desiderabile: questo era il dress code implicito. E ovviamente, per “desiderabile” si intendeva agli occhi degli uomini. Un immaginario costruito da pubblicità patinate e film hollywoodiani, difficile da scrollarsi di dosso.

Ma oggi, finalmente, qualcosa si muove. Oggi ci vestiamo anche per piacere a noi stesse. Ed è proprio in questo spazio di libertà che nasce il fenomeno del man repeller: uno stile che rifiuta la seduzione obbligatoria, che gioca con i codici della moda in modo ironico, personale, dissacrante. Un’estetica che non ha paura di risultare “poco attraente” secondo lo sguardo maschile, perché ha capito che l’approvazione non è l’accessorio del giorno. È un invito a ridefinire la femminilità, a liberarla dalle aspettative imposte.

Lo stile “man repeller” – letteralmente “repellente per uomini” – non è solo una trovata provocatoria: è una dichiarazione di indipendenza estetica. Un modo di vestire che celebra la libertà, l’individualità e la disobbedienza ai codici imposti. Al centro ci sono outfit comodi, sovversivi, eccentrici, che nascondono le forme o le esagerano senza un fine seduttivo. Abiti che non cercano l’approvazione maschile, ma rispondono unicamente al desiderio di piacersi da sole.

Il man repeller non è un modo di apparire, è un modo di affermarsi. C’è una carica eversiva in tutto questo, certo. Perché scegliere di non assecondare lo sguardo maschile – il famoso male gaze che da sempre definisce cosa è bello, cosa è sexy, cosa è giusto – significa togliere potere. Significa affermare che una donna non deve essere sempre desiderabile, accomodante, disponibile. Può essere eccessiva, scomoda, buffa, intellettuale, spigolosa, ingombrante. Può vestirsi come vuole, per come si sente. E questo, nel 2025, è ancora un gesto potente, libero, profondamente consapevole. Vestirsi in modalità man-repelling non è solo moda. È linguaggio, politica. È l’espressione più sincera di un’estetica finalmente libera.

Le origini del man repeller: Leandra Medine e il blog che ha cambiato le regole

È il 2010, siamo a New York, e Leandra Medine ha 21 anni, una parlantina inarrestabile e un guardaroba che sembra uscito da una sfilata dadaista. Durante uno shopping da Topshop con l’amica Rachel Strugatz, Leandra si rende conto che gli abiti che ama – quelli che la fanno sentire forte, divertente, originale – sono gli stessi che puntualmente “fanno scappare i ragazzi”. Invece di cambiare stile, cambia prospettiva: e da questo insight nasce il blog che avrebbe rivoluzionato la moda (e il modo di parlarne). Si chiama, appunto, Man Repeller.

Un nome ironico, sfacciato e provocatorio, che è già tutto un programma. Perché Leandra decide di non farsi più piccola, più desiderabile, più “carina”. Anzi, celebra con orgoglio quegli outfit che i maschi etero basici trovano orrendi: salopette oversize, pantaloni alla turca, spalline anni ’80, zoccoli pesanti e gioielli che sembrano armi medievali. Abiti che non seducono ma spiazzano. Che non invocano approvazione, ma libertà. Il messaggio è chiaro: se il tuo look ti fa sentire bene, che importa se lo trovano “anti-sexy”?

Quella che poteva sembrare una boutade ironica diventa presto una vera rivoluzione stilistica e culturale. Il blog Man Repeller non parla solo di moda, ma di identità, insicurezze, autoironia, gusto personale. Lo fa con un tono fresco, intelligente, tagliente. Le lettrici si riconoscono, si sentono viste, rappresentate. Non più consigli su come apparire attraenti, ma racconti su come essere autentiche. Leandra diventa un’icona avant la lettre, una proto-influencer quando Instagram ancora non dettava legge, una ragazza qualunque che ha avuto il coraggio di dirlo ad alta voce: “Mi vesto per me, punto.”

In pochissimo tempo il blog esplode. Refinery29, InStyle, persino il New York Times cominciano a scriverne. Perché sì, dietro l’ironia c’era un’urgenza vera: smettere di filtrare ogni scelta estetica attraverso lo sguardo maschile. E cominciare a divertirsi davvero.

Self-confidence e rottura dei cliché femminili

Il vero punto di rottura di Man Repeller? Non era solo nei vestiti, ma nello spazio che costruiva: un luogo mentale (e digitale) dove la moda tornava ad appartenere alle donne. Un piccolo angolo di Internet dove ci si poteva vestire per come ci si sentiva, non per come si sarebbe dovuto apparire. Niente più consigli per sembrare più snelle, più sensuali, più “appetibili”: finalmente, la moda diventava una questione di self-confidence, non di seduzione.

Il blog di Leandra ha avuto il coraggio di rompere il più antico dei cliché: che una donna debba sempre piacere a qualcuno. Preferibilmente a un uomo. Con uno stile tagliente e profondamente personale, Man Repeller ha cancellato l’idea che l’abito femminile debba servire ad attirare lo sguardo maschile. Anzi: lo ha ridicolizzato. Perché ogni volta che una donna sceglie di indossare quello che le pare anche se “non valorizza”, anche se “non slancia”, anche se “non è sexy”… sta compiendo molto più di una scelta stilistica. Sta facendo la rivoluzione.

Ed è proprio questo che ha reso il blog una voce dirompente nella moda dei primi anni del 2010: non servivano slogan, bastava un guardaroba vissuto. Bastava una ragazza che si metteva quei pantaloni orribili. Un blog che ti faceva sentire meno sola quando avevi voglia di portare i sandali con i calzini o una camicia oversize larga tre taglie. Serviva Leandra Medine, con la sua ironia e la sua libertà.

Man Repeller è stato un faro per una generazione di donne che non si riconosceva nei look delle riviste patinate. Ha parlato prima ancora che il femminismo diventasse pop. Ha anticipato discussioni sul corpo, sull’identità, sullo sguardo maschile (male gaze) che plasma l’immaginario estetico. E ha fatto tutto questo con leggerezza, senza moralismi, senza posare da maestra. Come farebbe un’amica geniale e un po’ matta.

Il successo è arrivato in fretta, insieme ai riflettori: Man Repeller è diventato un fenomeno globale, Leandra una musa contemporanea, testimonial di Louis Vuitton e collaboratrice di Mango. Ma la fama porta anche responsabilità, e quando nel 2020 il blog – ribattezzato Repeller – è finito sotto accusa per la mancanza di inclusività e diversità, l’incanto si è incrinato. Poche settimane dopo, la chiusura.

Ma cosa vuol dire davvero vestirsi da Man Repeller?

Significa indossare qualcosa che, secondo lo sguardo maschile, non dovrebbe mai vedersi su una donna. Troppo largo, troppo buffo, troppo vintage, troppo tutto. E quindi perfetto.

Sin dall’inizio, Leandra Medine ha incarnato uno stile eclettico e ironico, fatto di accostamenti audaci e silhouette esagerate. Col tempo, il guardaroba Man Repeller ha preso forma: pantaloni larghi (boyfriend, mom, palazzo), giacche oversize con spalle esagerate, gonne midi che coprono le gambe, stratificazioni creative. Tutto ciò che cancella l’idea che una donna debba mostrare per piacere è benvenuto.

La regola è semplice: più l’outfit è anti-sexy per definizione, più è Man Repeller. Vestiti larghi, colori accesi, layering fantasioso, mix & match senza logica apparente. Scarpe “repellenti” come zoccoli pesanti, chunky sneakers, sabot. Gioielli esagerati, occhiali giganti, dettagli kitsch e pattern che gridano “sono troppo e lo so”.

La parola chiave è: divertimento. È moda che non chiede il permesso, non cerca di essere desiderabile, non vuole essere capita da tutti. E che proprio per questo è libera, potente, irresistibile.

Da Leandra a TikTok: l’eredità del Man Repeller

Per chi è stata adolescente nei primi anni 2010, Man Repeller è stato molto più di un blog: era una boccata d’aria fresca. Un antidoto ai modelli patinati e ripetitivi delle riviste. Leandra Medine era la sorella maggiore che ti insegnava a vestirti per te stessa.

Quelle quindicenni curiose ma stufe del fashion da copertina blasonata sono cresciute. E si sono portate dietro il messaggio: che indossare dieci stampe diverse insieme, o i famigerati sandali con il calzino, non è uno scivolone di stile. È una dichiarazione d’indipendenza. Una presa di posizione.

Oggi la fiaccola è passata alla Gen Z, e brucia più forte che mai. Su TikTok impazzano video con l’hashtag #ManRepeller: outfit anti-sexy esibiti con fierezza, mix di colori, pattern improbabili, calzature inguardabili. Il sottotesto? Se un uomo dice “ma davvero ti vesti così?”, allora sì, proprio così. Anzi, pure peggio.

In un’epoca in cui la moda si fa più fluida, dove il genderless prende piede e l’ugly chic detta legge, il Man Repeller non è solo sopravvissuto: è diventato virale. È entrato nei moodboard di Pinterest, nelle caption su Instagram, nei feed delle nuove it girl.
Non è un revival nostalgico: è l’evoluzione coerente di una rivoluzione cominciata nel 2010 davanti a uno specchio e a un paio di zoccoli improponibili. E no, non è solo moda. È ironia, è sarcasmo, è fuck you fashion

Man Repeller 2025: dalle star alle passerelle, se lo odi è già di moda

Quando Billie Eilish ha detto «non volevo che la gente avesse accesso al mio corpo, nemmeno visivamente», non stava solo spiegando la sua scelta di look oversize. Stava scrivendo il manifesto del Man Repeller. La moda come scudo, come linguaggio, come libertà. E se oggi Billie gioca anche con outfit più aderenti, il suo messaggio resta chiaro: mi vesto per me, non per piacere a te.

E non è sola. Da Emma Corrin a Chloë Sevigny, da Tilda Swinton a Diane Keaton (che lo faceva già prima che fosse cool): il red carpet ha iniziato a parlare un’altra lingua. E quella lingua dice: basta bodycon, viva i completi da nonno. L’eccentricità, la sovversione, il no alla seduzione obbligatoria sono diventati il nuovo sexy.

Anche le passerelle hanno colto il punto. Miuccia Prada da sempre flirta con l’ugly chic, Miu Miu rilegge la nonna in chiave fashion, Balenciaga e l’era Gucci di Alessandro Michele hanno celebrato crocs col tacco, occhiali giganti e layering creativi. Se un look ti fa pensare “questo un uomo lo odia”, probabilmente è già in sfilata.

E poi ci sono loro: le ragazze. Quelle che sui social prendono le liste dei “capi più odiati dagli uomini” – jeans larghi, scarpe strane, maxi occhiali – e le trasformano in moodboard. Come a dire: se lo odi, è esattamente quello che voglio indossare. È il caso virale di Daphne Blunt: «Un uomo ha detto che non gli piace il mio outfit. Ottimo, dev’essere davvero perfetto».

Il Man Repeller oggi non è solo uno stile. È una risposta. Un click ironico, un “no grazie” allo sguardo maschile, un “sì” urlato al proprio gusto. E più viene criticato, più diventa irresistibile.

Moda, desiderabilità e libertà: la lezione di Man Repeller

Il man repeller non ha solo cambiato il modo in cui ci vestiamo. Ha cambiato il perché lo facciamo. Per troppo tempo la moda femminile è stata sinonimo di desiderabilità: essere sexy, piacere, sedurre. Ma Leandra Medine ha ribaltato il tavolo dicendo l’ovvio che nessuno osava ammettere: non ci vestiamo per voi. Ci vestiamo per sentirci forti, strane, belle, comode, allegre. Per raccontarci. E a volte, sì, anche per provocare – ma solo quando decidiamo noi, non quando lo impone lo sguardo altrui.

Essere Man Repeller non vuol dire rifiutare la femminilità, ma scegliere la propria. Un giorno tacchi glitter, il giorno dopo salopette da idraulico. È libertà, non disordine. Gusto personale, non sciatteria. È un “mi piace” detto allo specchio, prima ancora che a chiunque altro.

Nel 2025, ogni volta che una ragazza indossa zoccoli improbabili o un vestito che sua madre definirebbe “sbagliato”, lo spirito Man Repeller si riaccende. E se qualcuno storce il naso? Pazienza. Anzi, meglio. Come recita la regola non scritta: se agli uomini non piace, probabilmente stai facendo la cosa giusta.

Foto: Pinterest