“Belve Crime” il crimine al centro, le vittime fuori campo

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“Belve Crime”: Francesca Fagnani apre le porte alla cronaca nera. Ma a quale prezzo?

Con l’arrivo di Belve Crime su Rai 2, Francesca Fagnani ha compiuto una scelta netta. Estendere il suo format di interviste frontali al territorio complesso e delicato della cronaca nera. Dopo aver interrogato politica e personaggi dello spettacolo nel programma originale Belve, ora la conduttrice si misura con vicende giudiziarie reali. Coinvolge i protagonisti diretti di alcuni dei casi più discussi degli ultimi anni.

La prima puntata, andata in onda il 10 giugno 2025, ha segnato subito un cambio di registro netto. Al centro della trasmissione: il caso dell’omicidio di Yara Gambirasio e la figura di Massimo Bossetti, condannato in via definitiva all’ergastolo. Fagnani ha intervistato Bossetti direttamente all’interno del carcere di Bollate, offrendo al pubblico una testimonianza esclusiva, raramente resa possibile in una trasmissione televisiva.

L’incontro con Bossetti ha avuto un taglio rigoroso: la conduttrice ha affrontato i punti critici del caso con domande taglienti e incalzanti. Si è parlato del DNA ritrovato sui vestiti di Yara, delle ricerche internet contestate durante il processo, delle relazioni familiari, e della richiesta di una nuova perizia genetica che da anni la difesa porta avanti.

La trasmissione si è mossa sul filo sottile che separa il giornalismo investigativo dalla narrazione spettacolarizzata. L’intervista, ben costruita e visivamente curata, ha messo in scena una versione alternativa dei fatti, dando voce a un uomo che si dichiara innocente nonostante tre gradi di giudizio contrari. Ed è proprio questa esposizione pubblica, in prima serata e sulla TV di Stato, ad aver sollevato forti perplessità.

belve

Le critiche del pubblico

Le reazioni non si sono fatte attendere. Se da una parte il programma è stato lodato per la qualità della conduzione e per la capacità di accedere a una fonte primaria difficilmente raggiungibile, dall’altra le critiche sono state numerose e fondate.

In primo luogo, è stata contestata l’assenza di un vero contraddittori. La trasmissione ha ospitato solo la voce di Bossetti, senza dare spazio alla famiglia Gambirasio, ai rappresentanti della Procura o a esperti giuridici indipendenti. Questo squilibrio ha generato l’impressione di un racconto unilaterale, dove la versione del condannato è stata presentata con una forza narrativa superiore rispetto a quella della giustizia.

In secondo luogo, molti osservatori hanno rilevato una estetizzazione eccessiva del crimine. Il montaggio serrato, le musiche d’atmosfera e le luci studiate hanno conferito all’intervista un impianto visivo vicino a quello di una serie di true crime piuttosto che di un’inchiesta giornalistica. In un caso tanto delicato e doloroso, questo tipo di impostazione ha generato disagio e, secondo alcuni, ha compromesso la sobrietà del racconto.

bossetti

La critica di Selvaggia Lucarelli su “Belve Crime”

Tra le voci più nette contro la messa in onda, quella di Selvaggia Lucarelli si è distinta per il tono diretto e per la chiarezza dell’accusa. In un commento pubblicato dopo la trasmissione, la giornalista ha definito la puntata “un’operazione imprudente, sbilanciata e ambigua”, accusando la Rai di aver offerto a Bossetti un palcoscenico “in cui il male può raccontarsi liberamente, senza reale contraddittorio”. Secondo Lucarelli, l’intervista rischia di trasformare un condannato all’ergastolo in una figura di rinnovata centralità mediatica, riposizionandolo nell’immaginario collettivo come possibile vittima di errore giudiziario. La sua critica ha aperto un ulteriore fronte: È legittimo dare spazio pubblico a un condannato per omicidio quando il racconto viene costruito secondo le logiche narrative dello spettacolo?

fagnani

Una linea editoriale da definire

Belve Crime si presenta come un programma ambizioso, che si pone a metà tra racconto giornalistico e costruzione narrativa. Tuttavia, proprio questa natura ibrida solleva interrogativi importanti. Quando si racconta un crimine reale, e lo si fa coinvolgendo direttamente un condannato, la responsabilità editoriale deve essere massima. Non si tratta solo di “dare voce”, ma di garantire che quella voce venga ascoltata in un contesto strutturato e verificabile.

In assenza di questo equilibrio, lo spazio per la riflessione rischia di trasformarsi in una rappresentazione suggestiva, ma fuorviante. E ciò che si guadagna in termini di impatto narrativo, si perde in credibilità giornalistica.

Francesca Fagnani ha aperto con coraggio una strada complessa. L’intervista a Bossetti è un documento interessante sotto il profilo della testimonianza diretta, ma Belve Crime dovrà dimostrare nelle prossime puntate, che andranno in onda ogni martedì, di saper sostenere questo stesso rigore con una struttura equilibrata, aperta al confronto e rispettosa delle vittime.

Il racconto del crimine, quando è pubblico, non può mai essere neutro. Ma può, e deve, essere responsabile.

Foto: Pinterest

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