Newstalgia: il futuro ha la forma del passato

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C’è un curioso vento che soffia sul panorama culturale e mediatico del nostro tempo. Non viene né da Occidente né da Oriente, ma da un punto cardinale più sfuggente: la memoria collettiva. Questo vento ha un nome, seducente e ambiguo come un profumo: newstalgia. Un neologismo, ça va sans dire, figlio dell’infaticabile creatività anglofona, che nasce dalla fusione tra “new” (nuovo) e “nostalgia” (quella dolce malinconia del tempo perduto che tanto amava Marcel Proust).

Il concetto è semplice ma potentemente evocativo: il recupero estetico, simbolico e persino ideologico del passato, riletto attraverso la lente del presente. È la nostalgia che si fa tendenza, ma con un twist contemporaneo, come se la macchina del tempo fosse passata prima per un filtro Instagram e poi per un ufficio marketing della Silicon Valley.

Basta accendere la televisione o scrollare sui social per trovarsi immersi in un mare di colori pastello, loghi vintage, melodie anni ’80 e ‘90 che ritornano come antichi spiriti evocati da un rituale digitale. I giovani — e qui l’ossimoro è servito — sono assetati di passato. Non il passato pesante e ingessato dei manuali di storia, ma quello pop, spensierato, rassicurante. Il passato dei walkman e delle VHS, dei telefoni a rotella e dei primi videogiochi a 8 bit. Un passato che non hanno vissuto, ma che immaginano più autentico, più umano, forse persino più felice.

La nostalgia come risposta al disincanto

Ma perché questa sete di newstalgia? Per comprenderlo, bisogna forse guardare non tanto ai prodotti della cultura, quanto alle crepe del nostro presente. In un’epoca segnata da instabilità economica, crisi ambientali, guerre e un’incertezza cronica, il passato si staglia come un rifugio dorato, un’epoca idealizzata in cui “si stava meglio” – anche se nessuno lo sa davvero. La nostalgia, come insegnano i filosofi, è una risposta emotiva al disincanto del mondo.

Nel Novecento la modernità era sinonimo di progresso. Oggi, invece, l’innovazione suscita spesso inquietudine. L’intelligenza artificiale ci spaventa, le piattaforme ci dominano, e persino il metaverso sembra più un incubo che un’utopia. Da qui il fascino irresistibile dell’arcaico e del conosciuto. Il vecchio diventa cool, l’analogico è il nuovo lusso.

Moda, design e media: l’era del revival

Il newstalgia si manifesta ovunque: nella moda, dove il ritorno del denim a vita alta e delle sneakers rétro segna il trionfo dell’estetica anni ‘90; nel design, che ripesca linee morbide e colori sbiaditi dalle cucine delle nonne; nella musica, dove artisti come The Weeknd costruiscono interi album su tappeti sonori che sembrano usciti da un mangianastri.

Anche il cinema e le serie TV cavalcano la tendenza con furbizia e una punta di feticismo: basti pensare al successo di Stranger Things, vera e propria opera di archeologia culturale, o al ritorno di saghe come Ghostbusters e Top Gun. È un eterno remake, ma con più budget e meno ingenuità.

Un paradosso tutto contemporaneo

Il newstalgia, però, cela un paradosso affascinante: mentre ci rivolgiamo al passato, lo stiamo in realtà ricostruendo. Lo manipoliamo, lo edulcoriamo, lo rendiamo commerciabile. È un passato che non esiste, ma che scegliamo di credere reale. Una nostalgia, per dirla con lo scrittore Fredric Jameson, “per un tempo che non è mai stato”.

E allora viene da chiedersi: siamo davvero nostalgici o siamo semplicemente stanchi del presente? Forse entrambe le cose. Ma se c’è una lezione da trarre da questo viaggio tra i ricordi, è che l’uomo — da Omero a TikTok — non ha mai smesso di raccontare storie per sopportare il proprio tempo.

Così, tra una polaroid filtrata e una playlist anni ’80 su Spotify, continuiamo a cercare il futuro… nel passato. Con un sorriso, magari, e un vinile che gira piano, come il mondo che vorremmo.

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