L’AI ci toglierà il lavoro? Dipende tutto da noi

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Molti si sono domandati se l’intelligenza artificiale, l’AI, sia in grado di rubarci il lavoro con le sue abilità e capacità. Ma quindi, è possibile?

Come ogni volta che avviene un grande cambiamento, un’innovazione straordinaria, tutti andiamo nel panico. Così è stato con l’apparizione, o meglio, la gigantesca diffusione dell’AI. Una volta che ci siamo resi conto delle grandiose capacità che ha l’intelligenza artificiale, con una stretta allo stomaco ci siamo chiesti un po’ tutti: ma l’AI ci ruberà il lavoro?

L’intelligenza artificiale, in inglese AI (in italiano IA), nel suo significato più ampio è la capacità o il tentativo di un sistema artificiale di simulare una generica forma di intelligenza.

Questo concetto di intelligenza artificiale, abbastanza ampio, spesso lo confondiamo con l’intelligenza artificiale generativa, che è invece una specifica applicazione dell’intelligenza artificiale per creare testi, immagini, audio, video o altri contenuti. La sua nascita, sempre considerandola nel significato più ampio, possiamo farla risalire all’avvento dei primi computer.

Nel 1936 un matematico, Alan Turing, in un suo articolo parla di alcuni dei concetti che si trovano alla base del funzionamento dei computer e quindi dell’intelligenza artificiale, quali la calcolabilità, la computabilità e il concetto di macchina di Turing. Questo è un modello matematico computazionale che descrive una macchina astratta che manipola i dati contenuti su un nastro di lunghezza potenzialmente infinita secondo un insieme prefissato di regole ben definite. Questo modello, per quanto semplice sia, è capace di simulare la logica di qualunque algoritmo eseguibile su un computer reale.

Poi, nel 1943, il neurofisico McCulloch e il matematico Pitts creano quello che viene considerato il primo lavoro legato all’intelligenza artificiale.

Photo by CCCB LAB

Questo sistema utilizza un modello di neuroni artificiali in cui lo stato di questi neuroni può essere o “acceso” o “spento”. Si arriva ad “acceso” quando ci sono gli stimoli causati da un numero sufficiente di neuroni circostanti. I due dimostrano che qualsiasi funzione computabile può essere rappresentata da qualche rete di neuroni e che tutti i connettivi logici possono essere implementati da una semplice struttura neurale. Tutto il resto poi è storia.

Ma dove risiedono le differenze tra intelligenza naturale, ossia la nostra, e quella artificiale? Beh, la principale differenza sta nel fatto che l’intelligenza naturale è propria degli esseri viventi, mentre quella artificiale è un prodotto di sviluppo tecnologico. Nei primi esempi di intelligenza artificiale, le differenze erano abbastanza evidenti. Per esempio davano lo stesso risultato in risposta a una certa richiesta o domanda dell’utente e questo dimostrava la mancanza di attività e creatività della “macchina”. All’inizio, inoltre, i primi esempi di intelligenza artificiale necessitavano che le richieste dell’utente fossero date con una specifica interfaccia uomo-macchina, come per esempio una tastiera di un computer. Il tutto usando un linguaggio comprensibile dal computer. Quindi eravamo noi a doverci adattare alla macchina e non viceversa.

Con il passare del tempo, i sistemi di intelligenza artificiale hanno acquisito caratteristiche che li rendono sempre più simili all’intelligenza umana o animale, come la capacità di identificare e simulare le espressioni facciali.

Di contro l’intelligenza umana ha alcune abilità che risultano difficili o addirittura impossibili da copiare per l’intelligenza artificiale, come la capacità di provare emozioni o di adattarsi a molti cambiamenti del mondo esterno. Di risposta l’intelligenza artificiale ha dimostrato alcune abilità superiori alla nostra intelligenza, tra cui la velocità nel risolvere espressioni matematiche. Cose che però, tutto sommato, senza la possibilità di provare qualcosa come le emozioni hanno poca utilità. O no?

E’ innegabile che l’AI stia cambiando il volto del lavoro così come il ruolo centrale degli esseri umani si capisce andrà a cambiare. Ma il segreto sta proprio nell’unione di queste due forze, entrambe intelligenti. E proprio perchè sono tutte e due forze intelligenti, utilizzandole insieme siamo in grado di elevare al massimo il potenziale di entrambe, assieme, sopratutto.

La capacità delle macchine di imparare e automatizzare un grande quantità di compiti sta dando forma a una nuova era, in cui gli esseri umani e l’AI lavorano insieme.

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Questo sempre per arrivare a nuovi livelli di efficienza e produttività. Proprio questa collaborazione è un momento importante nella storia del lavoro e promette di cambiare radicalmente le dinamiche aziendali. Le aziende usano i dati per migliorare le performance, comprendere i clienti e gestire i collaboratori. Ma se le analisi devono fare in modo che si conoscano meglio le persone, è necessario che ci sia la componente umana perchè i dati siano in grado di definire la realtà, ossia che i dati diventino le parole.

Anche noi abbiamo la responsabilità che si vada a delineare una relazione armoniosa con la tecnologia e la tecnologia deve essere in armonia con le nostre vite e sopratutto con i nostri dati. Questo accade nel mondo del lavoro, dove il tema dell’AI è una trasformazione culturale.

Ma quindi l’AI potrebbe sostituire gli esseri umani nel mondo del lavoro?

photo by LinkedIn

L’AI si sta dimostrando un complemento potente per le competenze umane, invece che un surrogato. Quindi l’AI diventa un alleato e non un nemico per gli esseri umani e sopratutto sul lavoro. Tutto dipende da come utilizziamo l’AI, perchè l’input è quello che permette di avere il risultato più efficiente dall’intelligenza. E indovinate un po’ chi deve dare il giusto input? Proprio noi. E’ l’essere umano a dare l’input e siamo sempre noi che dando quello corretto facciamo in modo che l’intelligenza ci restituisca l’output migliore.

Quindi, è fondamentale la possibilità di integrare la nostra sensibilità con le nostre emozioni e la nostra creatività, che nessuno può sostituire, con l’AI. “Non si tratta di lavorare meno, ma di creare senso”, così ne parla Carlo Rinaldo su Wired. Parlando per esempio del lavoro creativo, se l’AI sostituirà l’essere umano dipende proprio da noi.

Ci sono delle categorie di lavoratori che sono più a rischio di altri: “da un lato ci sono gli artisti, dall’altro i proprietari e manager delle aziende che guadagnano grazie alla produzione culturale: questi cercheranno sempre il modo di fare più soldi, anche a costo di svalutare il lavoro creativo. Se potranno usare una macchina invece di dover pagare un essere umano, lo faranno”. Queste sono le parole di Kate Miltner, una sociologa che affronta temi come Data, AI e la società.

Non penso che l’intelligenza artificiale sostituirà il lavoro creativo. E’ stata addestrata sul lavoro degli esseri umani ed è possibile solo grazie alla creatività umana, quindi escludo che possa rimpiazzarla, ma alcuni categorie di lavoratori sono più a rischio di altri”, dice Miltner.

photo by Medium

Quindi fondare la futura produzione culturale sulle macchine anziché sull’ingegno e sull’ispirazione di artisti, sceneggiatori, scrittori e attori avrà delle conseguenze. C’è chi dice che però il problema non sta nell’immediato, ma nel medio e lungo periodo, infatti tutto dipende dal tipo di impiego che si farà dei modelli di AI generativa. Si pensa che si potrebbe creare la situazione in cui l’implosione di questi strumenti non avranno più materiale originale disponibile per il loro addestramento. Se mancano gli scrittori veri, come farà l’intelligenza artificiale a imitarli?

La vera problematicità che si potrebbe creare è quella di togliere competenze agli esseri umani, così come è successo con qualsiasi nuova tecnologia introdotta nella storia dell’umanità. Ma sempre come è avvenuto nella nostra storia, se alcune competenze umane sono state indebolite, altre sono state sviluppate. Anche Miltner spiega come è importante dare ai creativi gli strumenti necessari per usare al meglio le nuove tecnologie nei loro lavori.

C’è spazio per un impiego dell’AI che non vada a nuocere agli artisti, ma li aiuti a fare nuove cose.

Miltner, ad esempio, ci parla di come la Universal Music parli di quattro C: Consent, Control, Credit e Compensation per tutelare gli autori. Ossia gli artisti devono sapere quando le loro opere vengono usate per l’addestramento dei modelli di AI generativa, dare o meno il loro consenso, aver riconosciuto il diritto d’autore ed essere pagati adeguatamente. Nel suo lavoro, Miltner ha concluso inserendo alcuni esempi di creativi che mettono in pratica il lavoro con l’intelligenza artificiale, dimostrando che si possono realizzare modelli di AI gestiti direttamente dagli artisti o criticando con le loro opere i pregiudizi e le lacune dei modelli di AI dominanti.

Quindi no, l’AI non ci toglierà il lavoro, ma che possa farlo o meno dipende solo da noi, in tutti i sensi.