Cantautore, polistrumentista, performer: Francesco Sacco è un artista a 360 gradi che gioca con la sua immagine per creare arte “in maniera liquida” senza distinzioni di mercato.
Dalla musica classica passa al blues e all’elettronica senza mai limitarsi. Francesco Sacco non pone confini alla sua arte che, varca anche le soglie della musica. È parte di un collettivo artistico “cult of Magic” che propone performance art, musica e danza contemporanea. Noi l’abbiamo intervistato per dare voce a chi prova a proporre qualcosa di nuovo nel mondo della musica, e non solo.
Francesco descriviti con 5 parole
Leonard Cohen, Francesco Guccini, Wolfgang Amadeus Mozart, mio nonno, Francesco Sacco.
Il tuo percorso nella musica comincia con quella classica, poi passi al blues e ora approcci la musica elettronica, in che modo tutte queste influenze fanno parte della tua produzione oggi?
Cronologicamente è sicuramente andata così, ma le influenze dipendono molto dal momento: paradossalmente la musica classica ha iniziato ad appassionarmi quando ho smesso di suonarla, così come il blues si sente pochissimo nei miei brani, nonostante sia il genere che ho suonato di più. Nella mia produzione convivono tante cose, che spesso fanno anche a pugni fra loro: il mio compito è quello di farle coesistere, unirle per farle diventare qualcosa di diverso.
Qual è il primo ricordo che hai legato alla musica?
Ne ho due: un concerto di Ray Charles intorno ai cinque anni sul lago Maggiore e mia mamma che minaccia di disiscrivermi dal corso di chitarra perché non mi impegno abbastanza (intorno agli otto). Un bel riassunto di come approccio la creatività: fantasia e responsabilità.
Quando hai capito che la musica poteva essere la tua strada?
Penso di averlo sempre voluto, in fondo non so neanche se è una cosa che ti scegli. Forse è quella che ti riesce meglio, a volte ti ci impunti. La mia strada è cominciata da piccolo, iniziando a desiderare di essere un musicista in una famiglia dove nessuno suonava. Da allora, fra alti e bassi, non ho mai smesso.
In un mondo così pieno di proposte musicali, perché qualcuno dovrebbe scegliere di ascoltare Francesco Sacco? Che cosa porti in più?
Non credo di avere niente in più degli altri, credo che ci si appassioni ad un artista perché ci risuona particolarmente. Mi sembra che al mio pubblico piacciano i miei testi, cosa che mi gratifica molto, perché ci metto tutto me stesso. Sicuramente il mercato musicale è parecchio saturo, dato che oggi tutti possono pubblicare musica, ma questo è un altro problema. Più che di appassionarsi ai miei brani perché hanno qualcosa di più di altri chiedo semplicemente di provare ad ascoltarli: potrei piacerti molto o non piacerti per niente.
Oggi la voce è ancora fondamentale nel percorso di un cantante? O prevalgono altri aspetti?
Questo è un problema tutto italiano: siamo la patria del bel canto, quindi tradizionalmente un mercato nel quale la voce è fondamentale. Bob Dylan non aveva una voce particolarmente bella, mentre qui Battisti veniva criticato perché non cantava abbastanza bene. Penso che sia ancora abbastanza importante in Italia, tanto da diventare più importante del messaggio. Ecco perché quasi tutti siamo cresciuti ascoltando brani di artisti esteri stonati ma veri.
Francesco Sacco non è solo musica, fai parte anche di un collettivo artistico dal nome “Cult of Magic”, ci racconti di cosa si tratta
Cult of Magic è un collettivo multidisciplinare di performance art, musica e danza contemporanea, fondato da me, Samira Cogliandro, Giada Vailati e Luca Pasquino. Nasce dall’idea di produrre arte in maniere liquida, facendo poco caso alla destinazione di mercato o al sodalizio artistico stabile. Prima che un collettivo di artisti contemporanei siamo amici: ci troviamo in sala prove e creiamo, e questo approccio spesso abbatte molte barriere.
Curi molto la tua estetica, quanto è importante la tua identità visiva all’interno del progetto musicale?
Penso che il mondo del visuale anticipi sempre di qualche anno tutto il resto. Viviamo oggettivamente nella società dello sguardo, gli altri sensi vengono dopo: per questo San Tommaso dice “se non vedo non credo” e non sceglie un altro senso. L’identità visiva è assolutamente fondamentale per comunicare, penso che abbia senso prenderne coscienza e giocarci.
“TI SOMIGLIA MA NON SEI TU” è il titolo del tuo ultimo album, come nasce?
TI SOMIGLIA MA NON SEI TU è un disco estremamente urgente: l’ho scritto velocemente, affrontando vari aspetti del non riconoscersi in qualcosa, dal non riconoscersi nella società al non riconoscersi allo specchio. Quando ti viene voglia di parlare di temi del genere tutto avviene molto in fretta, così ho portato le demo in studio e in poche settimane avevamo in mano il master. Il titolo del disco e del singolo nascono da una citazione di un amico, lo stesso che mi ha mandato gli audio whatsapp che si sentono fra una traccia e l’altra.
Poco fa c’è stato Sanremo, secodno te rappresenta la scena musicale italiana contemporanea? Hai mai pensato di partecipare?
Non la rappresenta e non l’ha mai rappresentata! Da un lato mi piacerebbe che tornasse il Sanremo di quando eravamo bambini: una trasmissione per anziani. Anche se quest’anno abbiamo assistito ad un segnale forte, con un podio di soli cantautori: se dovesse cambiare in questa direzione potrei addirittura guardarlo, anche se penso che l’idea di gara sia molto distante dall’idea di arte.
Cosa auguri al te del futuro?
Di vivere con leggerezza e di non tradire mai le mie idee e i miei sentimenti, qualunque cosa accada.