Parigi Fashion Week F/W 25: capitolo sette 

da | FASHION

La settimana della moda continua il suo spettacolo fatto di grandi nomi, nostalgie persistenti e poche vere rivoluzioni. Alcune maison si aggrappano al passato, rimanendo intrappolate in una comfort zone che rischia di trasformarle in reliquie sartoriali. Altre, invece, hanno capito che il futuro della moda non si costruisce con il déjà vu, ma con il coraggio di destrutturare, ricomporre e reinventare.

Nella giornata di oggi, tra gli show di Shiatzy Chen, Pierre Cardin, Marine Serre, Sacai e Gabriela Hearst, abbiamo assistito a duelli stilistici tra chi si limita a custodire un’eredità e chi cerca di scrivere la prossima pagina della moda. Qualcuno ha brillato, qualcuno si è perso nelle sue stesse ombre. Il filo conduttore? Un’industria che si interroga su se stessa, tra l’illusione del nuovo e il peso della memoria.

Shiatzy Chen – il sogno orientale intrappolato in una gabbia d’oro

La maison taiwanese Shiatzy Chen torna con la sua estetica elegante e il solito mix tra tradizione e modernità. Ma quando la tradizione diventa abitudine, il rischio è quello di trasformarsi in un museo.

Gli abiti, sontuosi come sempre, raccontano una storia antica che però inizia a perdere mordente: kimoni leggeri in seta, broccati minuziosi, ricami dorati su toni pastello, tutto perfettamente calibrato, tutto esattamente come ce lo si aspetta. Un’eleganza senza tempo, certo, ma anche senza scosse, senza grida, senza colpi di scena.

La domanda è una sola: quando Shiatzy Chen deciderà di rompere le regole del proprio mondo per entrare finalmente nel presente?

Pierre Cardin – il futuro che non arriva mai

La sfilata di Pierre Cardin è andata in scena davanti alla Geode, la gigantesca sfera specchiata della Cité des Sciences. Il cielo del crepuscolo, un volo di uccelli, un’atmosfera da 2001: Odissea nello Spazio. L’inizio sembrava promettente. Poi è iniziato lo show.

Tubini fluo con intarsi geometrici, cappe bicolori per guerriere dello spazio, leggings bianchi che emergono da mantelline in plexiglass tagliato ad angolo acuto. Fantascienza? Forse. Ma non quella che stupisce, piuttosto un remake di un vecchio film già visto troppe volte.

E se l’iconografia spaziale poteva ancora reggere il gioco dell’archivio, le forme rigide e i materiali sintetici hanno dato alla collezione un’aria più da parata carnevalesca che da haute couture. Qualche spunto si salva: una borsa ispirata alla struttura della Geode, un copricapo dorato sfaccettato come un diamante, qualche completo con uno stile da astronauta retrò. Ma siamo nel 2025, e Pierre Cardin continua a inseguire il futuro con i piedi ancorati nel passato.

Un futuro che non arriva mai, un’idea che si ripete all’infinito, prigioniera della sua stessa leggenda.

Sacai 

Quando si parla di volumi, layering e decostruzione, il primo nome che viene in mente è sempre SacaiChitose Abe ha reso questa estetica il suo marchio di fabbrica, e questa stagione non ha fatto eccezione.

La collezione è un esercizio di arte sartoriale sul capospalla e sulla maglieria, trasformando giacche, piumini e mantelle in sculture di tessuto. Qui la moda non è solo vestire, ma proteggere, come un guscio, come un bozzolo dentro cui raccogliersi e da cui ripartire.

Il doudoune si smembra e si ricompone, i montoni diventano forme ibride, le mantelle si trasformano grazie a patchwork di materiali differenti. La maglieria subisce lo stesso destino: pull spezzati e ricuciti, frange di lana in movimento, motivi floreali intarsiati, il tutto ravvivato da paillettes rosso ciliegia e piume leggere. E poi il tocco d’arte: inserti fotografici di Man Ray stampati su T-shirt e vestiti, a dimostrazione che la moda può essere un ponte tra il corpo e l’immaginazioneChitose Abe resta una certezza. E la certezza, nella moda, è merce rara.

Marine Serre – la moda come archeologia del futuro

Testa o croce? Il destino della moda si gioca sul filo di una moneta.

Marine Serre ha portato in passerella un gioco di simboli e di memoria, ambientando il suo show alla Monnaie de Paris, l’antica Zecca di Stato francese. L’invito? Una moneta con il suo profilo e il logo della mezza luna, simbolo ormai riconoscibile di una generazione.

L’illusione diventa un linguaggio visivo, con tessuti che imitano texture diverse, lingerie stampata in trompe-l’œiltrench modulari che si smontano e si trasformano. L’intera collezione è un esercizio di rigenerazione, che fonde couture e streetwear con un’anima post-apocalittica.

Il cuoio riciclato scolpisce silhouette potenti, dalle robe midi con spalle futuriste agli abiti assemblati da vecchi pantaloni da moto, come se il tempo potesse impigliarsi tra le pieghe dei vestiti. L’ispirazione? Twin Peaks, la Red Room, lo spazio onirico dove il tempo si deforma. E Marine Serre lo fa davvero: frammenta, raccoglie, trasforma, reinterpreta.

E in tutto questo, la sua mezza luna brilla ancora. Beyoncé la indossa, la Gen Z la idolatra, il mercato la consacra.

Gabriela Hearst ­– il ritorno alle origini

Gabriela Hearst sceglie un’ala insolita del Palais de Tokyo, un auditorium costruito nel 1992 con quell’aria dura, spigolosa, brutale. Un coro di donne, voci che risuonano come un rito antico, passi che evocano dee madri, presenze primordiali. Perché Hearst, uruguayana di sangue e di spirito, ha un’ossessione: riportare tutto alle origini. L’ha fatto da Chloé, dove tra il 2020 e il 2023 ha rivoluzionato il marchio, trasformandolo in un manifesto di sostenibilità. Biodegradabilità, trasparenza, catene produttive senza ombre: principi che non sono slogan, ma fatti.

Ora, libera dai vincoli di una maison, prosegue la sua marcia. Back to basics, dice. E lo fa con i suoi strumenti: tessuti morbidi, colori essenziali, forme che ricordano epoche antiche e battaglie dimenticate. I primi look sono bianchi, pelosi, austeri come divise napoleoniche.

Poi arrivano le uscite co-ed, un misto di forza e fragilità: ricami, frange, spalle importanti, gonne lunghe che sfiorano le caviglie. E ancora intrecci, mantelli, cappotti costruiti come armature leggere. Hearst non è una stilista come le altre. Non si limita a disegnare abiti: costruisce un’idea, una filosofia, un modo di stare al mondo.

Crede in una moda che non divori il pianeta, che non sprechi, che non rincorra il superfluo. E la sua estetica, elegante e minimale, lo riflette. Le celebrità la adorano, le icone di stile la inseguono. Ma a lei non interessa il plauso effimero. Il suo obiettivo è più ambizioso: cambiare le regole del gioco. E, a modo suo, ci sta riuscendo.

Moda, futuro e il rischio di cadere nell’oblio

Parigi oggi ha raccontato storie diverse:

  • Shiatzy Chen si rifugia nella sua eleganza senza tempo, ma rischia di diventare irrilevante.
  • Pierre Cardin gioca con il suo passato spaziale, ma rimane intrappolato nel tempo.
  •  Sacai riscrive le regole della silhouette, trasformando il caos in armonia.

La vera domanda è: la moda vuole davvero andare avanti, o sta solo fingendo di farlo? Per ora, solo alcuni hanno avuto il coraggio di rispondere.

Photocredits: FashionNetwork, Vogue Runway