Parigi Fashion Week F/W 25: capitolo due

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Nella cornice eterna di Parigi, il 5 marzo 2025, la moda ha svelato le sue molteplici sfaccettature con le sfilate di alcuni dei più influenti protagonisti del panorama contemporaneo. The Row, Courrèges, Dries Van Noten e Acne Studios hanno calcato le passerelle con visioni tanto diverse quanto emblematiche dello stato attuale della moda. Un susseguirsi di linguaggi espressivi, un incontro tra l’eredità del passato e la tensione verso il futuro, un dialogo tra forme, tessuti e suggestioni. Ma dietro l’incanto, dietro i riflettori, rimane la domanda più insidiosa: cosa ci resta davvero di questa giornata?

The Row: L’estetica del silenzio

Se la moda urla, The Row sussurra. Un défilé che non ha bisogno di clamore. Niente spettacolo, niente effetti speciali. Solo la purezza della moda, lasciata respirare in una villa parigina dove il lusso è fatto di silenzio e compostezza. Gli ospiti, seduti su tappeti a pelo lungo, sembravano quasi parte della scenografia. Niente file rigide di sedie, niente ostentazione. Solo attesa. Mary-Kate e Ashley Olsen hanno fatto della sobrietà un manifesto e della purezza formale un linguaggio senza tempo.

La luce, lattiginosa, entrava dalle finestre e accarezzava i volti. Le modelle, scalze, scivolavano leggere tra le stanze, accompagnate non da una colonna sonora assordante, ma dalla dolce malinconia della chitarra acustica e dai fiati di Abussey Junction dei Kokoroko. Un’atmosfera sospesa, dove ogni suono sembrava misurato, ogni gesto calcolato.

E poi, gli abiti. Impeccabili, privi di sbavature. Super trench tagliati con precisione chirurgica, stretti al collo da due bottoni, senza bisogno di altro. Cappotti che non cercano l’attenzione, ma la meritano. Avvolgenti, in cashmere double-face, con revers da smoking. Pelle d’agnello bordeaux, nera, profonda. Cappotti da spia, come quelli che avresti visto addosso a una donna che sa esattamente chi è e cosa vuole.

Qui non ci sono abiti da copertina, non ci sono pezzi gridati per stupire. Qui c’è solo eleganza che si lascia guardare senza chiedere nulla in cambio. Sobria, mai sciatta. Lontana anni luce da Instagram e dai suoi clamori.

Un’unica regola, chiara, inderogabile: nessuna foto, nessuna condivisione. Se sei qui durante questa fashion week a Parigi, vivi il momento. Se non sei qui, non lo vedrai. Fine della storia.

Courrèges: Il futuro che ritorna

Due mondi agli antipodi. Da una parte il minimalismo poetico di The Row, dall’altra l’energia sfacciata e pulsante di Courrèges. È difficile immaginare un contrasto più netto in questa Parigi inondata di sole. Ma la moda è anche questo: opposti che si sfiorano senza mai toccarsi davvero.

E Courrèges, stavolta, non ha dubbi: bisogna fare festa. Un’altra scatola bianca, un altro centro tavola surreale. Questa volta, coriandoli che salgono invece di cadere, sfidando la gravità come se anche loro si rifiutassero di piegarsi alle leggi del mondo.

Nicolas Di Felice guarda un libro di Dan Colen, Moments Like This, e trova la sua ossessione: coriandoli catturati nell’istante perfetto. Immagini statiche di un’esplosione di colori, rettangoli sospesi nell’aria come frammenti di tempo. E così la sfilata si apre con tessuti che si comportano allo stesso modo. Drappeggi minimali, lunghi rettangoli di stoffa che non si adagiano sul corpo ma lo avvolgono con intenzione, lo plasmano, lo trasformano in una scultura in movimento.

E poi il coup de théâtre: il Courrèges “da un minuto”, come lo chiama ridendo Di Felice, mentre nel backstage gli ospiti brindano a champagne. Un rettangolo nero di tre metri di lana preziosa, che in un solo gesto diventa sciarpa, blusa, strascico. La moda come istante, come metamorfosi, come gioco di prestigio. Ma il gioco si fa serio quando si arriva all’omaggio ad André Courrèges. L’abito in vinile bianco del ’68 non è solo un tributo. È un manifesto. Un pezzo di futuro incastrato nel passato, riadattato per una generazione che ha già visto tutto e cerca ancora qualcosa che la sorprenda.

La moda, si dice, è fatta di sogni. Courrèges, questa volta, li ha lanciati in aria come coriandoli. E ha lasciato che danzassero su Parigi.

Dries Van Noten

All’Opéra Garnier di Parigi, tra il rosso velluto e l’oro impolverato di storia, è andata in scena una collezione che ha suscitato applausi, sì, ma anche sguardi attenti, di quelli che scrutano ogni dettaglio per capirne il senso. È il debutto di Klausner come successore di Dries Van Noten. Un’eredità pesante, una responsabilità che fa tremare i polsi. Ma la sartoria maschile, qui, non trema: si spinge oltre, sfida la tradizione. Blazer e giacche doppiopetto in seta, pois e geometrie, dettagli che sembrano sussurrare “guardatemi” ma senza urlare.

Il nero. Troppo nero, forse. Non è il colore che ti aspetti da Dries, che della luce ha sempre fatto una sua religione. Eppure, funziona. I cappotti con pepli, i pantaloni a tubino, i top che avvolgono il corpo come carezze di seta. Klausner gioca con le radici etnografiche del marchio, osa con obi in pelle di serpente, fasce da smoking, profili che evocano lontananze africane. Ma il vero colpo di scena è l’eco-pelliccia: selvaggia, quasi feroce, che culmina in un cappotto di montone stampato Appaloosa. Un pezzo che non si indossa, si doma.

E poi c’è il contesto, la scenografia scelta con cura. Il défilé non è solo moda, è teatro. Klausner ha voluto che i modelli attraversassero l’Opéra Garnier quando è vuota, quando il sipario è già calato e resta solo il mistero di ciò che è stato. Un’idea romantica, quasi cinematografica. Ma la passerella vera? Buia, laterale, nascosta come un segreto che non vuole farsi scoprire subito.

Acne Studios: Il rischio della sperimentazione

Se c’è un marchio che non teme di osare, è Acne Studios. La collezione di oggi è stata un’esplorazione della materia e della forma, una ricerca che sfida i confini della moda e dell’arte. Trasparenze, texture contrastanti, silhouette decostruite: tutto sembra pensato per disorientare, per rompere gli schemi e proporre una nuova idea di corpo e movimento. Ma la sperimentazione ha un prezzo, e quel prezzo è la portabilità. Chi indosserà questi capi nella vita reale? La moda, per essere rilevante, deve essere anche vissuta. E se l’avanguardia diventa un esercizio fine a sé stesso, rischia di trasformarsi in un gioco estetico per pochi iniziati.

Il senso di una giornata

Il 5 marzo 2025 rimarrà una giornata emblematica della Paris Fashion Week. Un giorno di contrasti, di conferme e di domande aperte. La moda oggi non è più solo abito, è manifesto, è concetto, è specchio di un mondo in continua trasformazione. Ma in questo turbine di proposte, provocazioni e nostalgie, il rischio più grande è perdere di vista il cuore pulsante di tutto questo: il desiderio di raccontare il tempo che viviamo.

Forse la vera sfida non è più innovare o stupire, ma trovare un senso autentico in un panorama che sembra oscillare tra la memoria del passato e l’ossessione del futuro. Parigi, ancora una volta, è stata il teatro di questa eterna contraddizione.

Photocredits: FashionNetwork

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