Revenge porn: L’amore può davvero diventare un’arma?

da | CULTURE

Chi di noi non ha mai mandato una foto un po’ piccante al proprio partner? È un gesto di complicità, un atto di fiducia totale. Un momento di vulnerabilità, di intimità condivisa. Ed è proprio in questa vulnerabilità che il revenge porn affonda le sue radici.

Questo atto – vile e premeditato – prende quella fiducia e la trasforma in un’arma letale. Prende quell’intimità e la rende una prigione soffocante, dove ogni sguardo diventa un’accusa e ogni clic una condanna.

Non è amore, non è vendetta, non è passione. È violenza. Una violenza che non si limita al corpo, ma colpisce l’essenza stessa di una persona. Distrugge tutto ciò che ha costruito, lasciandola in pezzi.

Quando un’immagine privata viene condivisa senza consenso, la vittima non perde solo il controllo sul proprio corpo: perde il diritto di essere se stessa. Ogni clic su quelle immagini, ogni condivisione, ogni commento è come un macigno che le viene lanciato addosso.

E mentre il mondo – come sempre – si affretta a improvvisarsi giudice e boia, parte  -inaspettatamente- il classico coro: “Se l’è cercata.” Come se fidarsi fosse un peccato capitale, come se fiducia e intimità, fossero una colpa da espiare pubblicamente.

Ma qui, non parliamo solamente di contenuto fotografico. È il tuo corpo a essere oggettificato e trasformato in uno spettacolo pubblico. Il tuo nome che appare nei messaggi, nei pettegolezzi, nei commenti velenosi. 

È la tua dignità fatta a pezzi da chi non sa – o non vuole – vedere l’umanità e la fragilità dietro quell’immagine.

E mentre tutto questo accade, il vero colpevole – chiamiamolo pure criminale, perché è quello che è – resta nell’ombra. Protetto, giustificato, quasi invisibile. 

Perché è sempre più facile, giudicare la vittima piuttosto che il carnefice.

Diciamocelo, la fiducia non dovrebbe essere – in teoria – mai considerato un errore. È un atto umano, naturale, che non dovrebbe trasformarsi in una condanna. 

Eppure, il revenge porn ribalta questa logica, rendendo ogni foto, ogni video, un’arma di controllo, mettendo la vittima, alla mercé di qualcun’altra. 

Non è rabbia, non è delusione e neppure vendetta: è il puro, crudele esercizio del potere su chi ha osato mostrarsi vulnerabile.

Chi diffonde immagini intime sa esattamente cosa sta facendo. Non c’è nulla di istintivo o accidentale. È calcolato, è premeditato, è pensato per fare il massimo danno. Non colpisce solo il corpo, ma la persona intera: annienta reputazioni, spezza relazioni, lascia cicatrici profonde che nessuno vede, ma che la vittima porta con sé ogni giorno.

Il problema è che una volta che quelle immagini finiscono online, non c’è ritorno. Anche se le rimuovi, anche se provi a cancellarle, il danno è fatto. È una questione di percezione della propria immagine agli occhi del mondo e, peggio ancora, di sé stessi.

E poi, ci sono quelle storie, quelle che non riusciamo e non dobbiamo dimenticare, quelle che finiscono con un epilogo che ci colpisce come un pugno allo stomaco: vittime che si arrendono, schiacciate dalla vergogna, dal dolore, da una società pronta a giudicarle, ma mai a proteggerle, che si tolgo la vita oppure a cui viene levata senza possibilità di scelta, perché nessuno le tutela.

Ma il problema non è mai stato loro. È sempre stato nostro.

Ogni clic, ogni condivisione, ogni commento velenoso rende il revenge porn una realtà sempre più tossica. Ogni volta che puntiamo il dito contro la vittima, che ci chiediamo “Ma perché l’ha fatto?” invece di domandarci “Perché qualcuno ha deciso di farglielo?”, stiamo alimentando questo sistema malato.

E mentre la società continua a crocifiggere il vero colpevole , il carnefice passa inosservato, protetto dal nostro silenzio, giustificato dalla nostra morbosa curiosità.

L’amore non dovrebbe mai diventare un’arma. La fiducia non dovrebbe mai trasformarsi in un crimine. E il corpo di nessuno dovrebbe mai essere oggetto di giudizio o intrattenimento.

Il revenge porn non si combatte solo con le leggi, anche se sono un passo necessario. Si combatte con l’educazione, con il rispetto, con una cultura che insegni a vedere l’intimità per quello che è: un dono, non un’occasione per nuocere.

Il rispetto non è una scelta. È l’unica strada per costruire fondamenta solide per una società dove nessuno debba più temere di essere esposto, giudicato, tradito.

E fino a quando non lo capiremo – ahimè – continueremo a essere complici del dolore che il revenge porn infligge.