Aurelio Biocchi: a cuore a cuore

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Aurelio Biocchi ha imparato fin da piccolo che ogni tessuto ha una storia da raccontare. Cresciuto nel laboratorio di sartoria della madre, ha sviluppato una sensibilità rara per i dettagli e una grandissima passione per il mestiere, coltivando quell’arte fatta di gesti antichi, profumi di stoffa e rumore di forbici. 

Con il suo marchio Heart Couture, Aurelio vuole mette il cuore in ogni creazione, trasformando ogni capo in un racconto unico che unisce chi lo indossa al mondo della sartoria artigianale.

In questa intervista, Aurelio si racconta con autenticità e profondità, mostrando l’arte, l’istinto e l’empatia che guidano la sua visione. Un viaggio che va oltre la moda, fatto di passione e rispetto per un’arte che, per lui, è molto più di un mestiere.

Aurelio, hai raccontato che da bambino respiravi il profumo dei tessuti nel laboratorio di tua madre. Presumo che crescere in un ambiente così creativo ti abbia trasmesso l’amore per la sartoria. Com’è stato crescere in questo ambiente? Quando hai capito che la tua vocazione sarebbe diventata il mondo della moda?

Crescere in una sartoria è stato per me un viaggio speciale. Durante l’adolescenza ho iniziato a “rubare con gli occhi”: mia madre, oltre a essere una bravissima sarta, era anche insegnante di cucito. Io, in segreto, ascoltavo le sue lezioni, osservavo i movimenti delle forbici e il rumore del taglio, il fruscio delle sete. 

Mio padre non voleva un figlio con un ago in mano; glielo sentii dire una sera, e così fingevo disinteresse, mentre dentro di me l’amore per la sartoria cresceva a dismisura. Per fortuna, mia madre è diventata mia complice e alla fine ha convinto anche lui. Avevo sei anni, e mio padre avrebbe preferito che parlassimo di calcio, ma io sognavo orli e sopraggito durante la cena.

È stato tutto bellissimo, decisivo. Amavo il bozzetto, l’imbastitura, la prototipia, le prove sul manichino e poi sulla cliente, il rumore e l’odore dei tessuti, l’abito finito, i sacrifici. Ho capito subito che era quello che volevo fare. Ho cambiato molto nella mia vita – case, studi, lavori – ma la sartoria è sempre stata il mio rifugio, la mia passione, il mio nutrimento. 

Creare per me è un’esigenza: tutto ciò che immagino, alla fine, va a finire nelle mani, in un progetto e poi in una realizzazione.

Aurelio, parli spesso della moda come di un ‘dialogo tra umano e tessuto’. Come nasce questo dialogo? E quali storie cerchi di raccontare attraverso i tuoi abiti?

Esiste un linguaggio che appartiene a tutte le cose, non solo alle persone. Un tessuto, quando lo tieni tra le mani, ti comunica come vorrebbe muoversi, come vorrebbe vestire il corpo. Quando ascolti anche il cliente, il modo in cui gesticola, come si siede e si muove, lui stesso ti dice come vorrebbe essere vestito. Unisci i due discorsi – quello del tessuto e quello del corpo – e il gioco è fatto.

Tutto può ispirare un abito, e ogni cosa mi stimola: una tovaglia al ristorante, un’opera in un museo, persino la tela dell’ombrellone in spiaggia. Ogni situazione, oggetto, suono e colore è una scarica elettrica. Prima passa per il cuore, che dà l’approvazione, e poi arriva alle mani, che iniziano a muoversi nell’aria disegnando tutto il procedimento. Quando realizzo che può funzionare, mi dico ‘APPROVATO!’ e sono felice. Queste domande mi hanno fatto riflettere e capisco ancora di più quanto per me sia importante poter creare.

Il nome del tuo marchio, ‘Heart Couture’, suggerisce un legame profondo e sentimentale con la moda. Che cosa significa per te? E cosa speri che le persone provino indossando una tua creazione?

Ho chiamato il mio marchio Heart Couture perché in ogni cosa che faccio ci metto il cuore, e ora, dopo questa intervista, ne sono ancora più consapevole! Certo, è ambizioso pensare che la gente possa indossare il mio cuore, ma è proprio così. In fondo, creare per me significa cercare di far sentire speciale chi indossa un mio abito. Ecco, vorrei che ogni mia creazione trasmettesse benessere, e questo vale anche nel privato: mi accorgo che il mio pensiero va sempre prima a chi mi sta attorno. Questa intervista è diventata una vera seduta psicologica!

Usi spesso materiali insoliti nelle tue creazioni, come plastica e metalli. Come scegli i materiali e cosa aggiungono al significato dell’abito?

Sin dall’inizio, ho sempre preferito materiali naturali per la loro sensazione tattile unica. Prediligo cotoni, lini, sete, e mi sono sempre divertito a riciclare tessuti antichi, tovaglie, mantovane trovate nei mercatini o nelle soffitte di amici. Prima era solo un piacere personale, ma negli ultimi anni anche un pensiero rivolto all’ambiente. L’alta sartoria vive di materie prime d’eccezione e non può ignorare il rispetto della natura.

Io sono stato abituato a fare molto con poco, a ridurre gli sprechi al minimo. È più semplice per una piccola realtà come la mia, ma nel nostro settore esistono moltissime piccole aziende e fare poco, ma farlo in tanti, è sicuramente una buona strategia. Mi piace sperimentare: se vedo un abito con un corpino di plastica, mi studio le plastiche e cerco materiali ecologici per vedere cosa posso creare. Il mio motto è: ‘Se l’hai pensato, lo puoi fare!

In un mondo sempre più attento alla sostenibilità, che ruolo credi che la couture possa avere in questo cambiamento? Come il tuo lavoro si inserisce in questa visione?

Credo che l’alta sartoria possa fare molto per la sostenibilità, perché rappresenta l’essenza dell’artigianato e della qualità, meno legata agli sprechi della produzione di massa. La mia è una piccola realtà, quindi posso gestire bene gli sprechi e riciclare. Anche se il mio impatto è piccolo, l’importanza delle piccole aziende nel fare la differenza è grande: fare poco ma farlo in tanti può davvero fare la differenza.

Aurelio, per te ogni abito è unico e ‘creato ad hoc’. Come ti approcci a questa sfida creativa, e cosa ti ispira ogni volta che inizi un nuovo progetto?

Ogni abito è unico perché risponde all’unicità di chi lo indossa. Quando creo su misura, è come leggere l’anima del cliente e interpretarla attraverso il tessuto, cercando di valorizzare il corpo senza coprirlo mai. L’ispirazione mi arriva da tutto: da una tovaglia a una tela da spiaggia. Qualsiasi cosa può essere uno stimolo che mi porta a creare.

Quali consigli daresti ai giovani che vogliono avvicinarsi al mondo della moda e magari creare un proprio brand?

Oggi abbiamo la fortuna di poterci affacciare al mondo intero con estrema facilità: è un’opportunità incredibile. Ma per farsi notare, bisogna essere qualcosa, non solo qualcuno, e questo qualcosa devi essere tu. Bisogna saziare la propria anima, ascoltare se stessi, imparare guardando e imparare a guardare davvero. Essere preparati e convinti della propria preparazione. Si può essere timidi, riservati, silenziosi, ma quando parli del tuo progetto, delle tue idee, di ciò che vorresti fare, devi sentirti un leone.

Aurelio, secondo te, che ruolo hanno i giovani nella moda oggi? In che modo la loro visione sta cambiando il settore?

I giovani portano una visione libera, creativa e tecnologica che spesso ci spiazza. Hanno abilità digitali che ci lasciano indietro, ma hanno bisogno di fare squadra e di riconoscere il talento altrui. Serve generosità per fare la differenza e saper lavorare insieme.

Se potessi realizzare qualsiasi progetto senza limiti di budget o tempo, cosa ti piacerebbe creare?

Il mio sogno sarebbe creare un’accademia di alta moda, dove riunire i migliori maestri e artigiani per insegnare tutto ciò che rischia di perdersi. Trasmettere l’arte della sartoria e dell’artigianato alle nuove generazioni, offrendo borse di studio per giovani talenti, sarebbe fantastico. Vorrei tramandare queste tradizioni prima che si perdano.

Guardando al futuro, quali sono i tuoi sogni più grandi come designer? Che visione hai per il tuo brand e per il mondo della moda in generale?

La quarantena ha risvegliato in me una voglia di esplorare nuovi orizzonti. Anche se il mio brand è ancora molto dedicato alla sposa e al su misura, sento il bisogno di ampliare i miei confini creativi. Creare è un dono che va rispettato e protetto, e il mio augurio per i giovani è che continuino a coltivare questo dono con passione e dedizione.