Il motto “Never Give Up” è diventato un vero e proprio mantra nella società contemporanea.
Permeane ogni ambito della nostra vita. Dal lavoro allo sport, dalle relazioni personali agli obiettivi personali.
È un retaggio derivante da anni, secoli in cui la società, la famiglia, e i modelli da seguire imponevano la “cultura dello stringere i denti”.
Eppure una volta i ritmi erano lenti, c’era -seppur inconsapevolmente- la volontà di curarsi di sé stessi. Di capire fin dove è possibile osare.
Never Give Up: una filosofia ormai pervasiva nella società moderna, in cui siamo spinti a resistere, sopportare, e spesso anche a sacrificare il benessere personale per raggiungere obiettivi sempre più ambiziosi.
Questo incoraggia a non mostrare debolezza, a nascondere insicurezze, e a superare i limiti, come se la perseveranza fosse l’unica strada verso il successo e il valore personale.
Ma quali sono i costi di questa mentalità?
E se, anziché stringere sempre i denti, imparassimo ad accogliere le nostre imperfezioni, ad accettare che non possiamo essere “vincenti” a tutti i costi?
La pressione della perseveranza
Viviamo in un’epoca in cui arrendersi o rallentare è visto come un fallimento. Il messaggio è chiaro: solo chi resiste e non si ferma mai può raggiungere il successo.
Questa pressione a “stringere i denti” si manifesta in ogni aspetto della vita – nel lavoro, nelle relazioni, e persino nei progetti personali.
Pensiamo alle aspettative sul lavoro: le lunghe ore in ufficio, il multitasking, la disponibilità costante.
L’idea è che solo chi è disposto a sacrificare tempo, energie e benessere fisico e mentale meriti di avanzare nella carriera.
Questo approccio non si limita al contesto lavorativo.
Anche nella vita personale siamo indotti a pensare che l’unica relazione “valida” sia quella che sopravvive alle avversità più estreme, come se ogni rapporto dovesse superare infinite prove di resistenza per essere considerato autentico.
Persino la crescita personale è spesso vista attraverso questa lente: l’automiglioramento è un percorso senza fine, che richiede di superare costantemente i propri limiti.
Gli effetti sulla salute mentale e fisica
La cultura del Never Give Up ha un impatto significativo sul benessere mentale e fisico.
A livello mentale, questa pressione costante può portare a stress cronico, ansia e burnout.
Quando siamo sempre sotto pressione per dimostrare il nostro valore, non diamo a noi stessi lo spazio per riposare o per riconoscere i nostri limiti. Ci convinciamo che rallentare o prenderci del tempo per noi sia un lusso o un segno di debolezza.
Questo atteggiamento può farci sentire continuamente inadeguati, come se non stessimo facendo abbastanza, indipendentemente dagli sforzi che mettiamo.
A livello fisico, la resistenza prolungata senza momenti di recupero può portare a esaurimento, disturbi del sonno, problemi cardiaci e altre condizioni legate allo stress.
l corpo invia segnali di disagio, ma spesso scegliamo di ignorarli perché temiamo che ascoltare i nostri bisogni ci faccia apparire deboli o poco ambiziosi.
La società glorifica chi si sacrifica, ma raramente celebra chi sceglie di prendersi cura di sé.
Generazioni a confronto
La Gen Z e i Millennials condividono in parte il concetto del “non mollare mai,” ma lo vivono e lo interpretano in modi diversi, influenzati dal contesto sociale e tecnologico di ciascuna generazione.
Per i Millennials, il “never give up” è spesso legato all’idea di resilienza. Tutto per perseguire il successo e stabilità economica, dopo aver vissuto eventi come la crisi economica del 2008.
In questo contesto, il “non mollare” si riflette nel tentativo di costruire una carriera solida e una vita indipendente nonostante le difficoltà.
La Gen Z, cresciuta in un’era dominata dai social media e con una maggiore attenzione alla salute mentale, interpreta il “non mollare mai” in modo più olistico e adattabile.
Per loro, “never give up” significa spesso trovare soluzioni creative e nuove vie quando qualcosa non funziona, ma senza sacrificare il benessere personale.
In sintesi, mentre i Millennials associano il “never give up” alla determinazione professionale, la Gen Z vede in esso un modo per perseguire i propri obiettivi senza compromettere l’equilibrio mentale e la propria autenticità.
Abbracciare l’imperfezione e il “lasciar andare”
Un approccio alternativo sarebbe quello di accogliere l’imperfezione e il “lasciar andare”.
Questo significa riconoscere che non dobbiamo sempre spingere al massimo per essere “abbastanza” e che, talvolta, rallentare è la scelta più saggia per il nostro equilibrio.
L’imperfezione non è un difetto, ma una parte naturale dell’essere umano.
Abbracciare i nostri limiti e le nostre vulnerabilità può portarci a una maggiore accettazione di noi stessi e degli altri, favorendo relazioni più autentiche e un senso di pace interiore.
Invece di vedere la resilienza come una continua resistenza -potremmo imparare a interpretarla come la capacità di adattarci- potrebbe essere l’occasione di prendere decisioni che rispettino i nostri bisogni.
Oltre ad accettare che non siamo obbligati a vincere ogni sfida.
A volte, “vincere” significa saper dire basta, senza sensi di colpa, e scegliere il nostro benessere.
Una nuova definizione di successo
La cultura del “Never Give Up” associa il successo al sacrificio, all’ambizione e alla perseveranza senza tregua.
Tuttavia, una concezione più sana di successo potrebbe includere anche la qualità della vita, la serenità, e la capacità di coltivare relazioni positive e una buona salute mentale.
La domanda da porsi è: vogliamo davvero un successo che ci svuota, o desideriamo una vita in cui possiamo prosperare con equilibrio?
A volte, lasciare qualcosa può essere una vittoria.
Rinunciare a una situazione tossica, a un lavoro che ci stressa o a una relazione che ci opprime può essere un atto di coraggio e di autodeterminazione.
Questo richiede di rivedere le nostre priorità e di stabilire confini sani che ci permettano di essere noi stessi, senza sentirci costretti a dimostrare costantemente il nostro valore.
Conclusione
Never Give Up è un concetto, il non mollare mai ha radici profonde nella società, ma non è l’unico modo di affrontare le sfide.
Forse è il momento di smettere di vederci come macchine produttive e iniziare a riconoscere il valore del nostro benessere e delle nostre scelte.
Possiamo imparare a bilanciare l’ambizione con l’accettazione, la perseveranza con il riposo, e ad abbracciare l’imperfezione come parte integrante della nostra umanità.
Se riusciamo a cambiare questa prospettiva, possiamo dare vita a una cultura in cui il successo è definito non solo dalla resistenza, ma anche dalla capacità di fermarci.
Oltre ad ascoltare i nostri bisogni e di vivere una vita autentica e sostenibile.
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