Oltre la Danza – Red Fryk Hey

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Red Fryk Hey è una ballerina e coreografa che ha fatto dell’arte del movimento il suo linguaggio universale. La sua carriera abbraccia l’hip hop, la danza contemporanea e la sperimentazione, ma ciò che davvero la distingue è il messaggio potente che porta avanti: la danza è per tutti i corpi.

La scoperta di essere autistica nel 2019 ha dato una nuova direzione alla sua vita e alla sua arte, spingendola a sfidare non solo i suoi limiti personali, ma anche quelli che la società impone sulla danza e sulla diversità.

Con una passione che va oltre la semplice performance, Red Fryk Hey utilizza la danza per abbattere gli stereotipi legati all’autismo e per promuovere una visione di inclusività totale, dove ogni corpo ha il diritto di esprimersi. In questa intervista, ci racconta il suo viaggio tra danza, auto consapevolezza e attivismo, offrendo uno sguardo profondo e autentico su ciò che significa vivere e respirare la danza in tutte le sue forme.

Il tuo nome è legato a un percorso molto ricco come ballerina, insegnante e coreografa. Come hai iniziato il tuo viaggio nel mondo della danza e come è evoluto il tuo stile, abbracciando l’hip hop, il contemporaneo e la sperimentazione?

Ho iniziato a danzare appena ho imparato a camminare, come tanti bambini, e presto ho espresso il desiderio di diventare ballerina. Nonostante la mia famiglia inizialmente non mi prendesse sul serio, mi sono impuntata e, anche senza molto supporto, ho continuato. All’inizio copiavo dai programmi TV, da Michael Jackson, Lorella Cuccarini e dai pochi film di danza come Flashdance. Un cugino che imitava Michael Jackson mi mandava video, e io ne copiavo i movimenti.

Da piccola soffrivo di asma, quindi i miei genitori non mi iscrissero a danza fino ai nove anni, perché ogni sforzo mi causava crisi respiratorie. Poi, dopo una polmonite, la mia asma è diventata solo allergica e finalmente ho potuto frequentare il mio primo corso di danza. Prima di allora, ballavo comunque ogni volta che potevo, cercando di migliorarmi da autodidatta.

Col tempo ho iniziato a studiare danza più seriamente, facendo lavoretti per pagarmi gli studi anche all’estero, senza mai trasferirmi ma viaggiando molto. Ora la danza è il mio lavoro. Sono conosciuta per l’hip hop, ma nei miei spettacoli mi piace mescolare street dance, danza contemporanea e floor work, affrontando temi come la diversità o ispirandomi ai miei sogni e alla mia passione per Disney, che ha sempre influenzato i miei movimenti.

Hai scoperto di essere autistica solo recentemente. Cosa hai provato quando hai ricevuto questa diagnosi e come ha influenzato il tuo modo di vivere, sia come persona che come artista?

Ho scoperto di essere autistica nel 2019, dopo anni di sospetti, grazie a una diagnosi da parte di una professionista. Ci tengo a precisare che l’autismo non è una malattia, ma una diversa organizzazione neurobiologica della mente. Per me scoprirlo è stato come rinascere, perché ho finalmente dato una risposta ai miei dubbi su di me. Mi sono resa conto che non ero “sbagliata”, ma semplicemente funzionavo in modo diverso. Questo mi ha dato una spinta anche nella danza, permettendomi di lasciar andare le insicurezze che mi bloccavano.

Il giudizio degli altri, soprattutto per alcune mie caratteristiche non sempre evidenti, ha rappresentato una sfida. Si parla spesso di diversità, ma quando questa è più marcata, come nel caso di una minoranza, crea problemi. Per me la scoperta è stata positiva, anche se il vero ostacolo è stata la mancanza di comprensione da parte delle persone intorno a me. Tuttavia, ho trovato la forza per andare avanti, e tutto questo mi ha aiutato sia personalmente che artisticamente.

Parli spesso di quanto sia importante sfatare i pregiudizi sull’autismo. Quali stereotipi ti piacerebbe sfatare e in che modo il tuo lavoro, sia come artista che come divulgatrice, aiuta le persone a comprendere meglio l’autismo?

Gli stereotipi sull’autismo sono molti e contribuiscono a creare idee sbagliate sull’argomento. Gli stereotipi possono servire a semplificare una realtà per chi non la conosce, ma quando si trasformano in luoghi comuni, portano a errori di pensiero e azione nei confronti delle persone autistiche. Questo può causare esclusione e persino violenze verbali e fisiche, soprattutto quando anche educatori e specialisti sono influenzati da questi stereotipi.

Uno degli stereotipi più comuni è che non proviamo emozioni. In realtà, ogni persona autistica vive le emozioni a modo suo; può essere difficile riconoscerle, ma questo non significa che non le proviamo. Un altro luogo comune è che chi non ha una disabilità cognitiva sia un genio, mentre chi ha disabilità cognitive non possa raggiungere nulla. Ogni individuo è diverso, e spesso si concentra solo sulle difficoltà o solo sulle capacità, ignorando l’insieme.

Un altro stereotipo è che l’autismo sia principalmente presente nei maschi. Questo è falso: le femmine spesso riescono a mascherare meglio i loro tratti, quindi arrivano più tardi alla diagnosi. Inoltre, non ci sono più casi di autismo rispetto al passato, ma solo più diagnosi grazie a una maggiore consapevolezza.

La divulgazione è fondamentale per sfatare questi stereotipi, e io cerco di farlo attraverso la danza, un mezzo potente per trasmettere concetti in modo diverso. Nei miei spettacoli uso il corpo, la musica e le parole per raccontarmi, ma anche per aiutare a comprendere persone autistiche che non si esprimono verbalmente. Molte persone autistiche usano forme diverse di espressione, come libri, video o altre arti, per divulgare la loro esperienza. Io, oltre alla danza, vado anche nelle scuole e cerco di portare avanti questa missione in vari modi.

Spesso la danza viene associata solo a uno stile specifico, come il classico, soprattutto in Italia. Tu invece hai un approccio che abbraccia vari stili e tecniche. Come interpreti la danza a 360 gradi, e quali messaggi vorresti che passassero a chi ti segue?

La danza è un’arte da scoprire e pensare che esistano danze di serie A e di serie B è triste. Ogni danza ha una storia, una cultura e un significato. Purtroppo, molte danze sono cariche di stereotipi sbagliati, mentre altre sono poco conosciute. Ad esempio, nel mondo della street dance si tende a confondere tutto con l’hip hop, quando in realtà quest’ultimo è solo uno degli stili, con una cultura e una storia proprie, legate a popoli che hanno sofferto e lottato per far emergere questa espressione.

In tv, l’hip hop viene spesso ridotto a movimenti spettacolari, senza mostrare la profondità della sua cultura, e la parola “hip hop” viene usata come termine ombrello per danze che non hanno nulla a che fare con esso. Anche nella danza accademica ci sono molte correnti diverse, ciascuna con il suo valore. Non esiste un solo filone di pensiero, ci sono scuole più ribelli e altre più tradizionali, ma tutte hanno valore, così come ogni danzatore e danzatrice.

Per me, la danza è espressione, è il mezzo per raccontarsi e connettersi con il pubblico. Non mi piace vederla solo come una competizione, anche se ho partecipato a gare e ottenuto ottimi risultati. Ci sono tanti modi di vivere la danza: ballare con se stessi, davanti a un pubblico, in videoclip, a teatro, per strada o con altri ballerini. Vorrei che la gente capisse questa varietà, soprattutto in Italia, dove c’è ancora molta confusione sulla danza.

Uno dei tuoi messaggi più potenti è che la danza è per tutti i corpi. In un mondo in cui spesso ci si aspetta che i ballerini abbiano un fisico specifico, come riesci a sfidare questi stereotipi e a mostrare che ogni corpo può esprimersi danzando?

Sfidare gli stereotipi, per me, significa mostrarsi per quello che si è, anche se non è sempre facile. Mi accorgo di quanto la pressione sociale sui corpi sia interiorizzata, soprattutto nel mondo della danza. Spesso, quando mi filmo per i social, cerco angolazioni che mi facciano sembrare più alta o nascondano la pancia, ma poi mi ricordo che il mio corpo va bene così com’è. Ogni corpo cambia, è normale avere giorni in cui si è più gonfi o si nota di più la pancia. Dovrebbe essere accettato, ma tendiamo a nasconderlo per paura dei pregiudizi.

Un tema che mi sta molto a cuore è quello delle persone con disabilità fisiche evidenti. Si pensa spesso che non possano danzare perché hanno corpi non conformi, ma ogni corpo ha il diritto di danzare. Non sopporto l’idea che chi ha una disabilità fisica lo faccia solo per terapia. La danza è un’espressione, e chiunque dovrebbe poterla vivere, indipendentemente dal proprio corpo.

Purtroppo, nella danza si tende a classificare non solo gli stili, ma anche i corpi. Una persona magra è considerata “giusta”, mentre una persona non magra o curvy è vista come “sbagliata”. Ancora peggio per chi ha disabilità visibili, ma nessun corpo è sbagliato. La bellezza sta nella diversità, ed è questa varietà che arricchisce la danza e la vita.

In che modo la danza ti ha aiutato a esprimere parti di te che magari non avresti potuto comunicare a parole? C’è una connessione speciale tra il tuo modo di vivere l’autismo e il modo in cui danzi?

La danza mi ha sempre aiutato, non perché io sia autistica, ma perché, come per molti, è una forma di espressione potente. Alle medie, i miei bulli cambiarono atteggiamento dopo avermi vista ballare. Sembrava assurdo, perché io ero sempre la stessa, ma la danza ha un modo di cambiare come gli altri ti vedono.

Ballare mi aiuta a esprimere emozioni che spesso fatico a comunicare. Quando sono stanca mentalmente, danzare mi ricarica e mi fa sentire bene. Adoro creare spettacoli e improvvisare, soprattutto nel freestyle, dove mi sento davvero libera e connessa. Anche se ci sono momenti difficili in cui non riesco a fare un passo o mi faccio male, la danza mi riporta sempre sulla giusta strada.

Essendo autistica, le mie idee nascono dalla mia mente autistica, e questo crea una connessione autentica tra me e la danza. È il modo in cui esprimo me stessa.

Guardando al futuro, quali sono i tuoi sogni più grandi come artista e come persona? Che messaggi speri di continuare a trasmettere attraverso la tua danza e la tua arte?

Guardando al futuro, spero di continuare a realizzarmi sempre di più come danzatrice professionista e come persona che ama la danza. Voglio continuare a ballare nei teatri, per strada, nei video, collaborare con brand, insegnare e trasmettere tutto ciò che ho imparato alle nuove e vecchie generazioni. Insegno da vent’anni e ho visto molti allievi diventare professionisti, ma continuare a crescere come insegnante è una parte importante del mio percorso.

Ho tanti progetti, tra cui nuovi spettacoli e idee per film, specialmente legati alla danza e alla mente autistica. Poso anche come modella, e mi piacerebbe che questo diventasse un aspetto lavorativo più centrale. Per me, posare è un’estensione della danza, un altro modo di esprimermi attraverso il corpo.

Per quanto riguarda l’attivismo, spero che un giorno il mio messaggio non sia più necessario, perché significherebbe che l’autismo sarà pienamente compreso e accettato. Anche se al momento c’è ancora molto da fare, questo è il mio vero obiettivo.

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