Alessandro Iliprandi ci racconta Bonaudo. Azienda leader nel settore della pelle. 100 anni di storia. Una grande attenzione alle nuove generazioni e alla sostenibilità.
La sua azienda “Bonaudo” vanta più di 100 anni di storia, nonostante ciò la racconta come una realtà giovane. Come concilia la lentezza del lavoro artigianale con il dinamismo delle nuove generazioni?
Sicuramente l’artigianato richiede i suoi tempi. Di contro, collaborando con il mondo della moda, siamo abituati a lavorare, soprattutto in alcuni periodi, con tempistiche molto stringate. Chi lavora con noi devi quindi saper lavorare bene pur accogliendo la velocità che richiede il mondo oggi.
Quella dell’artigianato è ancora una realtà aziendale lenta oppure si è velocizzata?
Di per se rimane una realtà abbastanza lenta. Il processo produttivo si può velocizzare fino ad un certo punto, in caso contrario si va a discapito della qualità. A livello più globale la parte che si può incalzare è quella legata alla ricerca e al campionario. Bisogna scendere a compromessi senza mai perdere di vista la qualità.
In Bonaudo i giovani sono presenti in maggior numero nella parte amministrativa o in quella produttiva?
Direi a 360 gradi. Tutti i dipartimenti hanno un grandissimo numero di giovani. Chiaramente non sono lasciati allo sbaraglio, sono diretti da una persona con esperienza, ma dopodiché c’è grande spazio per le nuove generazioni.
Sempre più spesso viene detto che la Gen Z non vuole “sporcarsi le mani” cosa ne pensa?
Innanzitutto non mi piace giudicare una generazione in toto, soprattutto come negativa. In verità credo che, in particolare la generazione Z, sia più consapevole sotto diversi punti di vista compreso quello lavorativo. Vogliono essere riconosciuti per il proprio impegno e non sfruttati. Anche a livello di consumo trovo siano una generazione più consapevole. Sanno cosa vogliono e cosa no e sono molto attenti a ciò che acquistano.
Questa attenzione passa anche attraverso un occhio di riguardo (chi più chi meno) verso la sostenibilità. L’azienda Bonaudo lavora con il WWF. In che modo operate questa collaborazione?
Si tratta di un segnale molto chiaro: la lavorazione della pelle non è in contrasto con il benessere animale. La pelle che acquistiamo e lavoriamo deriva da scarti della produzione alimentare. Con il WWF ci impegnamo a scegliere aziende che tutelino al 100% gli animali.
Si parla spesso di sostenibilità, ma quanto è difficile per un’azienda esserlo nella maniera più chiara? Ci sono particolari certificazioni di cui avete bisogno?
Penso che oggi la sostenibilità dovrebbe essere alla base delle aziende più evolute. Noi abbiamo tutte le certificazioni del caso ai vertici, ma non dovrebbe essere una specificità. E’ come avere la patente, per guidare è necessaria. Ecco per avere un’azienda come si deve è necessario essere sostenibili. Non è un plus, è l’abc.
Bonaudo collabora con molte realtà luxury, in particolare lato moda. I temi di sostenibilità e tracciabilità dei materiali sono veramente d’interesse per queste aziende?
Assolutamente sì. Ci sono arrivati molto tardi. Noi produttori siamo arrivati prima. Tutto è iniziato un po’ come una mossa di marketing. Penso che ora non sia più una questione del genere, oggi la sostenibilità è nel DNA di molte aziende.
Negli ultimi anni la ricerca sta lavorando moltissimo su materiali che sostituiscono la pelle. Crede che questo tipo id composti possa arrivare ad essere paragonabile o, almeno per ora, c’è ancora grande differenza?
Si tratta di un campo molto interessante. Noi stessi come Bonaudo contribuiamo a queste ricerche. E’ un’evoluzione inevitabile a cui non ci possiamo sottrarre. Ad oggi non esistono materiali che abbiano le stesse performance della pelle, ma non escludo che in futuro ci saranno. Al di là del fatto che poi, molti di questi progetti spacciati come green in realtà nei processi di sintetizzazione dei materiali erano tutto fuor che sostenibili. Di per se l’utilizzo della pelle di scarto della produzione alimentare è molto più sostenibile rispetto a quello di pelle sintetica.
A proposito di pelle sintetica si fa molta confusione tra finta pelle, ecopelle e altre terminologie. Quali sono le definizioni corrette?
C’è un decreto legge che definisce tutto ciò. E’ stato regolamentato che il termine eco pelle può essere usato solo per definire prodotti di pelletteria che derivano dagli scarti della produzione animale. Tutto ciò che è sintetico non può essere chiamato ecopelle.
Che consiglio darebbe ad un giovane che vuole approcciare al mondo imprenditoriale?
E’ il cambiamento la chiave di ogni progetto ben riuscito. Motivo per cui consiglio di rimanere sempre molto aperti mentalmente, non farsi spaventare dalle rivoluzioni e di accogliere sempre il nuovo altrimenti si rimane indietro.