Corpi in evoluzione

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Moda, biotecnologie e nuove forme di identità .Quando l’abito non si adatta al corpo, è il corpo che si libera dalle sue definizioni.

 Beyond the Normcore: il corpo come progetto culturale

La moda contemporanea sta vivendo una mutazione profonda: il “corpo normale” non è più il punto di partenza, ma una costruzione culturale da smontare. L’Adaptive Fashion la moda pensata per corpi diversi, disabili, neurodivergenti, amputati, plus-size, queer sta ridefinendo l’idea stessa di vestibilità.Brand come Unhidden, fondato dalla designer britannica Victoria Jenkins, hanno portato per la prima volta l’adaptive wear alla London Fashion Week, introducendo capi con chiusure magnetiche, aperture strategiche e silhouette pensate per chi convive con disabilità o mobilità ridotta.
In Italia, la designer Giulia Bartoccioni ha presentato alla Milano Fashion Week la collezione Adaptive di Iulia Barton: no-gender, no-season, con zip regolabili e pattern progettati per dialogare con protesi e sedie a rotelle.
Non si tratta più di “rendere comodo un capo”: si tratta di democratizzare il concetto stesso di moda.

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Inclusione radicale: quando lo stile è accesso, non concessione

L’inclusione non è un’estetica: è un atto politico.
Designer come Sky Cubacub, fondatore del brand queer Rebirth Garments, portano alla ribalta una moda che non vuole normalizzare, ma esaltare corpi e identità oltre il binarismo di genere e oltre l’idea di “funzionalità”. Nell’universo di Cubacub, tessuti elastici, colori accesi, cut-out e layering diventano strumenti per rompere i confini normativi su corpi trans, non-binary, disabled e fat.
Allo stesso modo, il lavoro pionieristico di IZ Adaptive dimostra come una giacca possa essere reinventata per chi vive la maggior parte del proprio tempo seduto, o come un pantalone possa essere progettato per evitare punti di pressione.
La moda inclusiva non è un sotto-settore: è un nuovo linguaggio. Un linguaggio che dice: il corpo non deve difendersi dai vestiti.

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 Corpi aumentati: protesi estetiche, bio-design e nuove silhouette

Se l’adaptive fashion ha l’obiettivo di rispondere ai corpi, un’altra corrente li moltiplica: quella del corpo ampliato, che mette in dialogo moda, tecnologia, arti performative e biodesign.
Artisti come Amy Karle lavorano su un immaginario “post-umano”: abiti e sculture che imitano ossa, tessuti e strutture anatomiche, trasformando la biologia in moda concettuale.
Nei progetti di Open Style Lab (fondato da Grace Jun), designer, ingegneri ed esperti di accessibilità collaborano per creare abiti che integrano tecnologia, esoscheletri morbidi, sensoristica, materiali adattivi. Qui il wearable non serve solo a monitorare dati biometrici: serve a reinventare la postura, la silhouette, la libertà di movimento.
Iniziative recenti del CFDA/Vogue Fashion Fund, in partnership con Tilting the Lens, hanno spinto ancora più avanti questo confine: look ideati per gambe amputate come strutture estetiche, braccia protesiche trasformate in gioielli, outfit pensati per chi vive con paralisi, scoliosi o mobilità assistita. La protesi diventa dichiarazione, non correzione.

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 Il futuro è un corpo espanso

Moda, disabilità, biotecnologia, identità queer, transumanesimo, body-hacking: ciò che un tempo erano mondi paralleli ora si contaminano.
Il risultato? Una moda che non solo veste, ma immagina nuovi modi di essere corpi.
Non più abiti pensati per “corpi adatti”. Ma corpi che si appropriano della moda per ampliare se stessi.
In questa prospettiva, il futuro non sarà dominato da un ideale universale, ma da molteplici forme di bellezza: aumentate, ibride, rivendicate, politiche, libere.

Foto: Pinterest,Google

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