Tra NFT, moda e un Louvre trasformato in passerella
Tra il tragico e il comico
Si percepisce un qualcosa di comico e insieme di tragico nel vedere l’arte ridotta a coreografia, a pretesto scenografico per défilé di moda o performance digitali in cui un quadro di Monet diventa la base di un NFT venduto come se fosse l’ultimo modello di sneakers in edizione limitata.
Tragico, perché stiamo parlando della civiltà, della memoria, del respiro lungo della cultura. Comico, perché la sacralità dei musei oggi viene interrotta dal flash dei cellulari e dai gridolini di chi non è lì per guardare un quadro, ma per aggiornare il proprio feed.

Il museo come palcoscenico
Gli ultimi avvenimenti al Louvre (o dovrei dire: sul palco del Louvre, quando l’arte viene messa letteralmente sul tavolo di un banchetto mediatico) hanno dimostrato che i musei non sono più luoghi di contemplazione, ma palcoscenici.
E non è un fenomeno marginale: è l’intero sistema dell’arte a dover essere ripensato, come osservava di recente Business of Fashion. Le vecchie logiche del collezionismo, i galleristi aristocratici che decidevano cosa fosse degno e cosa no, stanno lasciando il posto a nuove forme di potere. La blockchain ha sostituito il catalogo di Sotheby’s, il metaverso ha preso il posto delle sale di Venezia.
Arte o moda?
E qui entriamo nel cuore della questione: può l’arte essere moda?
Non nel senso di essere “alla moda”, ma di diventare davvero parte di un ecosistema che funziona come la moda: cicli veloci, hype, eventi, consumatori più che spettatori. La tentazione è forte: l’arte, povera di fondi e di attenzione, trova un’ancora di salvezza nella spettacolarizzazione. Un abito di Dior sotto la Gioconda, un NFT venduto insieme a una borsa Gucci, e voilà: il miracolo della rilevanza mediatica.

Collaborazione sì, ma non confusione
Attenzione, però: non si tratta di demonizzare il dialogo tra arte e moda. Quel dialogo è sempre esistito ed è, in certi casi, persino doveroso.
Ci sono momenti in cui l’incontro è naturale: pensiamo ai grandi artisti chiamati a creare scenografie teatrali, ai costumi disegnati da pittori, alle contaminazioni tra avanguardie artistiche e sartoria nel Novecento. In questi casi, la moda si fa veicolo dell’arte e l’arte illumina la moda, arricchendola di profondità e visione.
Il problema nasce oggi, quando questo rapporto non è più dialogo ma confusione. Non più alleanza, ma fusione indifferenziata. L’arte si presta come cornice scenica, la moda si appropria della sua aura per nobilitarsi, e il risultato è che non distinguiamo più ciò che è espressione del genio creativo da ciò che è collezione stagionale.
In altre parole: collaborazione sì, contaminazione pure. Ma smarrire i confini significa impoverire entrambe.

L’eterno contro l’effimero
Ma la verità è che l’arte non è fatta per l’usa e getta. L’arte non è un trend stagionale.
Se la moda può permettersi di giocare con l’effimero, l’arte muore quando viene ridotta a effimero. Un Van Gogh non ha bisogno di filtri Instagram. Una cattedrale gotica non chiede sponsorizzazioni su TikTok.
Eppure, eccoci qui, a discutere di come rendere “cool” ciò che nasceva per essere eterno.
NFT: linguaggio dell’arte o merce?
Certo, non tutto è perduto. Gli NFT, ad esempio, non sono il male in sé. Possono essere un nuovo linguaggio, un modo di riflettere sull’immaterialità della nostra epoca, sulla proprietà, sulla riproducibilità tecnica.
Ma c’è una differenza tra l’usare il digitale come mezzo espressivo e trasformare un’opera d’arte in una merce da vendere come se fosse un pacchetto di figurine. Il problema, insomma, non è il mezzo: è l’approccio.

Caravaggio con QR code
E qui, permettetemi la nota ironica: viene quasi da immaginare Caravaggio in versione NFT, con un QR code in un angolo della tela e un link per il download esclusivo su OpenSea.
Chissà se lui, uomo che amava le risse e la polvere delle taverne, non avrebbe gradito. Forse sì, forse no. Ma almeno lui dipingeva per vivere, non per “fare engagement”.

Contro la dittatura dell’hype
Ripensare l’arte, allora, significa prima di tutto sottrarla alla dittatura dell’hype.
Significa capire che la sua forza non sta nell’essere “trend topic”, ma nell’essere scandalo nel senso più alto: qualcosa che interrompe, che ferma, che costringe a pensare.
La moda può darle visibilità, i social possono allargarne la platea, gli NFT possono aprire nuove strade creative. Ma se tutto questo non è accompagnato da rispetto e profondità, rischiamo di ridurre la Cappella Sistina a un wallpaper interattivo.

L’arte non deve piacere: deve disturbare
L’arte non ha bisogno di “piacere”. Ha bisogno di disturbare.
E se oggi la riduciamo a spettacolo da passerella, stiamo non solo banalizzandola, ma tradendo la sua essenza più vera.
La domanda, quindi, non è se sia il caso di ripensarla avvicinandola alla moda o al digitale. La domanda è se abbiamo ancora il coraggio di difenderne la dignità, mentre la folla applaude più per il look di chi espone che per l’opera esposta.
Photocredits: immagini generate con IA


