La storia vera di un uomo che ha trasformato la fragilità in forza e la cosmesi in un atto rivoluzionario.
Per tutte le volte che mi è capitato di passare davanti a un negozio Lush, la scena è sempre stata la stessa: una vampata di odori fortissimi – dolci, speziati, pungenti – mi ha investita come un treno in corsa. La mia reazione? Sempre identica: “Che odore insopportabile!”
Non ho mai varcato la soglia. Mai avuto la tentazione. Mai pensato che potesse interessarmi qualcosa che profuma di zucchero filato e lavanda in egual misura.
Eppure, come spesso succede, è stata una casualità a ribaltare tutto. Una di quelle scoperte nate per sbaglio, un link aperto per noia, un articolo letto a metà tra la distrazione e la curiosità. Così ho incontrato la storia di Mark Constantine. E, da quel momento, quel profumo – così invasivo e onnipresente – ha smesso di essere soltanto fastidioso. È diventato una firma, una dichiarazione. Un simbolo di rinascita.
Una tenda, una passione e una scommessa (chiamata Lush)
Mark non è nato imprenditore. E nemmeno fortunato, a dire il vero. La sua infanzia ha più ombre che luci. Abbandonato dal padre quando era ancora troppo piccolo per ricordarne i lineamenti, cresce in una famiglia complicata. A sedici anni, dopo l’ennesimo litigio con la madre e il patrigno, prende una decisione definitiva: se ne va. Ma fuori casa non c’è una stanza che lo aspetta. C’è il divano di un amico, qualche notte passata qui e lì, e poi, niente. Una tenda. Il cielo come tetto. La strada. La vita da homeless non ha romanticismi, solo una lotta costante per restare a galla. E a volte nemmeno quello.
Se c’è qualcosa che gli salva la pelle – e forse anche l’anima – è l’aiuto di una famiglia che lo accoglie come fosse uno di casa. E poi c’è un talento, quasi istintivo, per la cura dei capelli. Mark studia da tricologo. Scava nelle formule, sperimenta ingredienti naturali, scommette sulla pelle e sulla verità delle materie prime. È così che, neanche ventenne, mette insieme una piccola linea di prodotti artigianali per capelli e decide di fare il grande passo: spedire qualche campione ad Anita Roddick, la donna visionaria dietro The Body Shop.
Anita ci vede lungo, anzi, ci vede tutto. I prodotti di Mark sono diversi, freschi, veri. Nasce una collaborazione intensa, potente. Fino a quando The Body Shop decide di acquistare l’intera azienda di Mark per una cifra impressionante. Ma chi pensa che questa sia la fine del racconto – il classico “e vissero felici e contenti” – si sbaglia di grosso.
Con quei soldi Mark e sua moglie Mo (sì, ancora oggi insieme, dentro e fuori il business) creano un nuovo progetto, Cosmetics To Go. Un’idea brillante: vendere cosmetici etici, naturali, per corrispondenza. Ma quando il successo arriva troppo in fretta, l’onda li travolge. Non riescono a stare al passo con gli ordini. La logistica impazzisce. E il sogno, ancora una volta, va in frantumi.
Eppure, in quella frattura si annida la scintilla che cambierà tutto.
Perché è proprio da quel fallimento che nasce Lush.
Lush: quando il sapone diventa una dichiarazione politica
Nel 1995, in una cittadina del sud dell’Inghilterra, a Poole, Mark apre il primo negozio. Dentro non ci sono solo saponi. C’è un intero modo di vedere il mondo. Niente test sugli animali, solo ingredienti naturali. Niente plastica, quando possibile. Tutto fatto a mano. Tutto dichiaratamente trasparente.
Lush è un’utopia profumata che prende forma. In pochi anni diventa un fenomeno globale. È un marchio che prende posizione. Sempre. Anche quando è scomodo. In tempi in cui molti brand si nascondono dietro la neutralità, l’azienda di Mark ha scelto il fronte opposto: schierarsi, agire, farsi sentire.
Ha sostenuto campagne che chiedevano a gran voce una politica migratoria più aperta, immaginando un mondo in cui spostarsi non significhi più rischiare la vita. E non si è fermata lì. Oltreoceano, ha scelto di finanziare gruppi di attivisti animalisti in lotta contro gli esperimenti di laboratorio condotti su animali, in particolare presso l’Università di Washington. E ancora, nel cuore dello Utah, ha dato supporto a Peaceful Uprising, un movimento ecologista che si oppone all’estrazione delle sabbie bituminose, pratica tanto redditizia quanto devastante per l’ambiente.
Anche in Italia Lush ha alzato la voce quando contava. Era il 2016, e in molte piazze si scendeva per chiedere il riconoscimento delle unioni civili. Lush si unì al coro di #SvegliatiItalia, decorando le vetrine dei suoi negozi a tema, distribuendo volantini, partecipando simbolicamente a quella battaglia di uguaglianza. Una presa di posizione netta, concreta, lontana da ogni forma di marketing superficiale.
E tutto questo impegno non vive solo dietro le quinte. I clienti Lush diventano parte attiva del cambiamento ogni volta che scelgono certi prodotti. Come la Charity Pot, una crema idratante dal cuore grande: i proventi delle sue vendite vanno a piccole organizzazioni locali impegnate sul territorio, nel sociale, nell’ambiente, nella solidarietà. In Campania, ad esempio, sono stati raccolti fondi per la Cooperativa Lazzarelle, che crea opportunità lavorative all’interno del carcere femminile di Pozzuoli.
E poi c’è FUN, un bagnoschiuma colorato e morbido, amato da grandi e piccoli, che fa anche qualcosa di utile: per ogni confezione venduta, una parte viene donata a chi organizza attività ricreative per i bambini di Fukushima, ancora segnati dalle ferite del terremoto e del disastro nucleare.
Restare fedeli a sé stessi, anche quando si raggiunge il successo
La rivoluzione non si nasconde tra le righe: Lush la urla, la mostra in vetrina, la profuma. È impegno, non strategia di marketing.
E Mark? È rimasto sempre lì, nel suo Dorset, nella stessa città in cui tutto è cominciato. Non è il CEO che si dimentica da dove viene. Viaggia in treno, osserva gli uccelli, coltiva passioni semplici. Quando ha compiuto sessant’anni, l’amico di sempre – Jeff, quello che da ragazzini gli aveva salvato la vita – gli ha organizzato un incontro con il padre mai conosciuto. In Sud Africa. Uno di quei cerchi che si chiudono tardi, ma si chiudono.
Nel frattempo, Mark ha lanciato nuovi concept store in giro per il mondo: una libreria olfattiva a Firenze, un laboratorio a Parigi dove i prodotti si creano sotto gli occhi dei clienti, un negozio solo di bombe da bagno a Tokyo, uno tutto senza packaging a Milano. Ogni spazio è un manifesto. Ogni dettaglio è pensato per raccontare una filosofia precisa: si può fare business senza perdere l’anima. Si può essere imprenditori e restare umani. Si può cadere mille volte, ma se si ha una visione, si può anche rinascere.
Oggi, ogni volta che passo davanti a un negozio Lush, quell’ondata di profumo mi investe ancora.
Sì, è sempre troppo forte.
Sì, mi fa ancora un po’ storcere il naso.
Ma adesso so che dietro quel profumo c’è una storia.
Una storia che sa di lotta, di amore, di seconda possibilità.
Una storia che – guarda un po’ – profuma di libertà.
Foto: Cosmetics Business