Siamo abituati a sentire il termine “design” associato a oggetti che facciamo fatica a capire, ma siamo ancora in grado di capire cos’è davvero il design?
A Milano finita una qualcosa-week ne inizia subito un’altra. A breve, infatti, inizierà la Design Week, una settimana che a livello di profitti per la città delle opportunità italiana fa sicuramente piacere. Proprio per questo immane “giro di soldi” forse ci ritroviamo ad osservare qualcosa che di design ha davvero poco, ma che di scena ne fa molta.
Quante volte vi è capitato di vedere un oggetto incomprensibile, un qualcosa che non riusciremmo a trovare nemmeno nei nostri disegni d’infanzia più elaborati. Alla richiesta di spiegazioni, con tanto di testa piegata e le migliori intenzioni in quanto a comprensione, ci sentiamo dire: “Eh, è di design”...Okay, va bene. Ma a me questa spiegazione multiuso, che pare piace mettere a chiunque faccia qualcosa di strano, non mi soddisfa.
Ma il design, dopotutto, cos’è davvero?
Se chiedete a un Qualcuno del settore, con la Q maiuscola, bene o male tutti tra i più puristi, vi rispondono che il design non è legato a come una cosa appare o come ti fa sentire. Il design sta nel come delle cose, ma nello specifico nel come funzionano. Se poi vi trovare davanti a un qualcuno che questo argomento lo sente vicino e di conseguenza lo prende sul personale, vi potreste sentir dire che se non c’è uno scopo dietro, non c’è la necessità che si crei qualcosa.

Prendete un sito web: guardandolo a primo impatto, da neofiti quali siamo, potremmo notare il colore, la qualità delle immagini e se si tratta di moda guardiamo anche quanto sconto si applica a quel vestito davvero carino. Ora, se noi avessimo una laurea di un certo peso nell’ambito, rigorosamente appesa in casa, le cose che andremmo a considerare sono di tutt’altro tipo. Quello che un designer dovrebbe notare sono le interazioni che il sito web ti impone, capire perchè lo richiede o se ci si trova dietro lo schermo a doverlo impostare, ci si focalizzerà non sull’estetica, ma su quello che il sito web può fare per raggiungere all’azienda i propri obbiettivi. Insomma, che ci fosse il vestito scontato in primo piano ha il suo perchè e così l’azienda si assicura una vendita semplice.
Si tratta di creare sì, ma con uno scopo.
Tornando alla semplice parola è facile rendersi conto come il termine “design” rappresenti diverse cose a seconda della persona a cui lo si chiede. Nel significato che interessa a noi, il design si occupa di risolvere i problemi che le persone si trovano ad affrontare ogni giorno semplicemente vivendo. E’ un approccio al problem-solving che permette di gestire la complessità mentre si aggiunge un po’ di gioia nella vita delle persone.
Il fatto è che non c’è una singola definizione di “design” che riesca a raccogliere per intero la professione e il processo creativo che sta alla base. La definizione cambierà a seconda della propria prospettiva e di quello che noi riteniamo importante. Proprio per questo motivo è difficile riuscire a definire cosa è buono o cattivo design. Quindi per riuscire a fare una distinzione, puramente per interessi personali, consideriamo il tutto da una certa prospettiva.


Questa fa riferimento a una serie di principi che sono stati inizialmente considerati per il design di prodotti fisici. Sono legati a un punto di vista decisamente fondativo del valore del design, per questo sono ancora oggi molto importanti.
Seguendo questo punto di vista, tiriamo in ballo i 10 principi per il buon design di Dieter Rams, un importante designer tedesco.
Questi 10 principi sono venuti fuori perchè Dieter a un certo punto si è chiesto: “ma il mio design è un buon design?”. Sono dei punti di riferimento per tantissimi team, incluso quello di Apple. Anche se inizialmente, per ovvie ragioni, erano pensati solo per i prodotti fisici, i principi e i loro ideali di fondo sono adattabilissimi anche nell’era digitale.
Un buon design rende un prodotto utile.
L’idea di base è di nuovo questa: un prodotto è comprato per essere usato e per questo motivo deve soddisfare determinati criteri. Non solo funzionali, ma anche psicologici e sì, anche estetici. Un buon design enfatizza l’utilità di un prodotto.
E’ innovativo.
Non ci crederete, ma le possibilità di innovazione non sono per nulla esaurite. Lo sviluppo tecnologico offre sempre nuove opportunità per un design innovativo quindi è buona cosa che quel qualcosa che creiamo sia almeno un minimo avanguardistico.
Ci deve essere anche una parte estetica.

L’occhio vuole la sua parte. Ben prima dei trend si parlava di “aesthetic” in quanto l’estetica di un prodotto si integra con la sua utilità essendo che i prodotti che usiamo ogni giorno condizionano la nostra persona e il nostro benessere. Attenzione però: solo oggetti ben fatti possono essere davvero belli.
Un buon design rende un prodotto comprensibile.
E qui casca l’asino! Lo sapevo che l’arredo di quel nuovo locale IN non era davvero di design. Il design deve chiarire la struttura del prodotto, dovrebbe far parlare il prodotto, in quanto ad aspetto e significato. Insomma, deve essere autoesplicativo.
Non è invasivo.
Questo perchè i prodotti che soddisfano uno scopo sono come degli strumenti. Non so né decorativi, né pezzi d’arte. Il loro design dovrebbe essere prima di tutto neutrale e trattenuto, devono anche lasciare spazio all’espressione personale di chi lo utilizza.
E’ a lungo termine.
Non può essere né definito alla moda, né antiquato. A differenza del design nel campo della moda, resiste per molti anni, anche nella nostra società consumistica.
Deve essere curato nei minimi dettagli.
Nulla deve essere lasciato al caso e tantomeno deve essere arbitrario. Cura e accuratezza sono un processo che quando sono utilizzati nel design dimostrano rispetto nei confronti di chi utilizza un determinato oggetto.

Un buon design deve essere rispettoso dell’ambiente.
In quanto il design dà un grande contributo nel preservare l’ambiente, deve quindi conservare le risorse e minimizzare l’inquinamento visivo e fisico per tutto il ciclo di vita del prodotto.
E’ onesto.
Un buon design non deve rendere un prodotto più innovativo, potente o di valore di quanto già non sia. Non deve cercare di manipolare il consumatore con promesse che non può rispettare, deve quindi essere semplicemente quello che è.
Un buon design è il più minimale possibile.
Di meno, ma migliore. Questo perchè si concentra sugli aspetti essenziali e i prodotti non sono gravati da cose inutili. Tornare alla purezza, alla semplicità. Difficile da immaginare, vero?
Ovviamente è inutile sottolineare il fatto che il momento in cui Rams ha ideato questi principi era totalmente diverso da oggi. Ma il fatto che, nonostante le innovazioni che abbiamo vissuto dagli anni ’70 ad adesso, questi abbiano ancora senso fa riflettere. Ripensando alla mole di oggetti inutili e complicatissimi da capire che vivono negli ambienti di tutto il mondo, il tornare alla semplicità suona come un mantra che dovremmo ricordarci ogni qualvolta che sentiamo ripeterci: “eh, ma è di design”. Ora che abbiamo questi 10 punti di riferimento in mente possiamo guardare un oggetto e chiederci: ma lo è veramente?

Ma perchè è importante che qualcosa sia ben fatto?
Beh, se avessi un’azienda sulle spalle rispondere sarebbe semplice: un buon design è ottimo per gli affari. Ma imprenditrice (ancora) non lo sono. Da persona, come chiunque altro, mi rendo conto che il design è intorno a me tutti i giorni tutto il giorno e il minimo che possa fare per rendere omaggio alle cose che funzionano bene sempre e comunque è non definire “di design” una sedia all’incontrario che faccio fatica a capire in che senso dovrei utilizzarla.