Il raggiungimento di obiettivi personali, porta a volte alla loro stessa negazione: la sindrome dell’impostore.
Viviamo nella società della maratona: chi corre più veloce, e arriva primo, è migliore del resto. L’apparire vince sull’essere, l’omologazione sull’individualità, la quantità sulla qualità. Il fallimento è il peggior incubo delle anime giovani, che in caso di mancato successo si ritrovano a far i conti non solo con loro stessi, ma con l’enorme pubblico di persone (amplificato dai social) che rimette presto in tasca le mani erroneamente pronte ad applaudire.
Ma cosa succede, invece, se si vince? In alcuni casi, l’opposto del processo sopracitato. In altri, entra in gioco un’altra, più infima, sfumatura della stessa insicurezza che non ci fa sentire abbastanza di fronte al fallimento: la sindrome dell’impostore.


Chi è l’impostore?
Un impostore è colui che, con lo scopo di trarne vantaggio, ricorre abitualmente alla falsità e alla menzogna. In poche parole, chi bara per avere successo, o per superare gli altri. Su questo concetto si basa la sindrome dell’impostore, la condizione psicologica che induce chi ne soffre a non sentirsi meritevole dei propri successi. Anche nel momento in cui l’altro riconosce in lui un valore. Ci si sente di non possedere abilità, talenti o conoscenze tali che possano giustificare i risultati ottenuti.
E quindi, a cosa vengono attribuiti? È semplice: o ci si convince di esser stati solo molto fortunati, oppure ci si crede, appunto, degli impostori, colpevoli di aver ingannato. Due facce della stessa medaglia, poiché sia in un caso, che nell’altro, ci si sottrae completamente al merito. Un po’ come fosse un fake it until you make it (“fingi finchè non lo ottieni”) andato a buon fine, ma del quale ci si pente. Solo che, non c’è nulla di finto nelle proprie capacità.
Dubitare delle proprie competenze è sintomo di bassa autostima, eppure, credere di esser riusciti ad arrivare a tagliare l’arrivo di un proprio traguardo tramite l’inganno, suggerisce il contrario: bisogna essere scaltri calcolatori per riuscire a farlo. Ciononostante, chi è colpito dalla sindrome trova più credibile riconoscersi l’abilità di ingannare come il più bravo dei truffatori, piuttosto che attribuirsi gli obiettivi raggiunti.


Un problema contemporaneo
La cultura del confronto incessante, colonna portante della società odierna, alimentata dai social media, di certo non aiuta. E se già la strada per arrivare al traguardo non è semplice, soprattutto per i più giovani, molti di loro non trovano sollievo nemmeno al momento dell’arrivo. Si inizia quindi con il terrore del fallimento, che con il raggiungimento del successo non viene meno, ma si tramuta in una paura latente dello stesso. Grazie ad uno studio condotto dagli studenti della Facoltà di Medicina dell’Università della Giordania tramite la compilazione di un questionario, si è scoperto che la maggioranza degli individui affetti da sindrome dell’impostore rientra in una fascia d’età giovanissima (18-24 anni), è di sesso femminile, e studia.
Se la fascia d’età conferma la costante sensazione di inadeguatezza che la Gen Z sembra aver cucita addosso, il genere è indicativo di un’altra tematica. Le prime ad esser riconosciute con quella che fu al tempo per la prima volta descritta come sindrome dell’impostore nel 1978, furono le donne con carriere di successo. Questo sottolinea un minimo comun denominatore che non può essere ignorato: più si vive in un contesto che non ci fa sentire abbastanza, più saremo inclini a svalutare i nostri successi, distaccandocene completamente. E chi altri, più di giovani e donne, sono vittime di svalutazione?
Quelle donne che fino a pochi anni prima, non avrebbero nemmeno mai potuto sognare di fare carriera, nel momento in cui si vedono finalmente realizzate, non se ne sentono degne. Allo stesso modo i giovani d’oggi, continuamente descritti come pigri, senza voglia di lavorare, valori o impegno, vivono in un contesto che li sminuisce, tarpandogli le ali prima che ancora provino a volare. A volte, mentre ancora cercano di capire in quale direzione farlo. E quando ci riescono, come si può pensare che se ne sentano meritevoli?

Il vero inganno
Il vero inganno, è un altro. Non il successo che si suda, studiando o lavorando. Il vero inganno è la società che ci vuole onnipotenti, produttivi ma con il giusto tempo libero, organizzati ma pronti all’imprevisto, competitivi ma non troppo, determinati ma non esageratamente ambiziosi. Empatici ma privi di debolezze, impegnati ma instancabili. Le aspettative riposte nei giovani, affiancate all’elenco di pretese appena citato, non fanno che risucchiarli in un vortice di insicurezze. Che quando diventano ingestibili, mettono addirittura in discussione quella che dovrebbe essere la celebrazione di un successo. Tanto che ci sentiamo più impostori che talentuosi.
L’inganno quindi, siamo noi, o la cultura di competizione ossessiva a cui siamo sottoposti?
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