CALVIN:DALLA PROVOCAZIONE DI KATE MOSS ALLO SCOSSONE DI BAD BUNNY
Ci risiamo. Calvin Klein, l’eterno trasgressore, l’enfant terrible della pubblicità, torna a far parlare di sé. Stavolta il protagonista è Bad Bunny, il re del reggaeton, l’uomo che ha mandato in frantumi stereotipi di genere e convenzioni stilistiche. Ed eccolo lì, scolpito come una statua greca, vestito solo della sua sicurezza e degli iconici boxer del brand. Ma per capire perché questa campagna sia così potente, occorre fare un viaggio nel tempo, attraversando gli scandali e le rivoluzioni visive che hanno reso Calvin Klein una leggenda.


BROOKE SHIELDS, L’INNOCENZA PERDUTA (1981)
«Vuoi sapere cosa c’è tra me e i miei Calvins? Niente.» Con questa frase, pronunciata da una Brooke Shields appena quindicenne, Calvin Klein si assicurò il primo grande scandalo della sua storia. La pubblicità suggeriva più di quanto mostrasse: una giovane donna, sensuale e ambigua, avvolta nel denim. Le critiche esplosero. Erano gli anni di Reagan, del moralismo reazionario e delle crociate contro la sessualizzazione delle adolescenti. Ma la fiamma era accesa. E Klein, maestro della provocazione, lo sapeva bene.
L’ERA DELLE OMBRE: KATE MOSS E MARK WAHLBERG (1992)
Veniamo ai magnifici anni ‘90, quando Calvin Klein scelse due giovani che avrebbero segnato un’epoca: Kate Moss e Mark Wahlberg. Le immagini in bianco e nero, minimali, crude, mostravano un Mark Wahlberg iper- mascolino, colto nella sua espressione più selvaggia, e una Kate Moss androgina, quasi fragile. Ma sotto quella vulnerabilità si celava una forza sovversiva. Lo scandalo non tardò ad arrivare. Moss aveva appena 18 anni, il suo corpo smilzo e il volto quasi etereo fecero gridare allo scandalo: si accusò Calvin Klein di promuovere l’heroin chic, un’estetica che esaltava la magrezza estrema e la decadenza. Eppure, quello stile divenne il simbolo di un’epoca, ribaltando i canoni di bellezza tradizionali.

LE PUBBLICITÀ CHE HANNO SCOSSO L’AMERICA (1995-2000)
Nel 1995, Calvin Klein decise di sfidare ogni limite. Lanciò una serie di spot che sembravano filmati amatoriali, con giovani ragazzi e ragazze in stanzespoglie, che parlavano alla telecamera con voci incerte. Il tutto evocava un casting ambiguo, un’audizione che ricordava più una confessione intima che una pubblicità di moda. L’FBI aprì un’indagine. Si accusò Klein di sessualizzare minorenni, di rendere il voyeurismo parte del suo linguaggio pubblicitario. Alla fine, il brand ritirò le pubblicità, ma il danno era fatto. O meglio, il mito era consolidato.
Nel 1999, ci fu un altro terremoto. La campagna con Eva Mendes, bellissima, sensuale, completamente nuda, scatenò la furia della censura americana. Gli spot vennero banditi dalla TV, ma la polemica diede a Calvin Klein ancora più visibilità. Come sempre, il marchio si dimostrava maestro nel trasformare lo scandalo in marketing.

NUOVA FRONTIERA
E adesso, nel 2025, ecco Bad Bunny. Lui, che ha infranto ogni regola della mascolinità latinoamericana, che indossa gonne senza perdere un grammo di potenza, che canta d’amore e di rabbia con la stessa intensità. Calvin Klein lo sceglie perché lui è il nuovo linguaggio, l’incarnazione di un mondo fluido e senza barriere. Le immagini sono potenti. Lui, in slip bianchi, senza bisogno di forzare la posa. Il messaggio è chiaro: Calvin Klein è ancora il brand che detta le regole del desiderio, ma lo fa aggiornando il suo vocabolario visivo. Dai jeans di Brooke Shields ai boxer di Bad Bunny, il brand ha sempre saputo cavalcare lo spirito del tempo.

LA PROVOCAZIONE COME DNA
In fondo, Calvin Klein non ha mai venduto solo vestiti. Ha venduto un’immagine, un’idea, un desiderio. Ha testato i limiti del consenso sociale e li ha superati con la spavalderia di chi sa di avere ragione. Oggi, con Bad Bunny, rinnova quella missione. Non è più la sessualità torbida degli anni ‘90, né l’erotismo patinato dei 2000. È la sensualità fluida, moderna, che non ha bisogno di spiegazioni. Il mondo cambia, Calvin Klein resta. E lo fa a modo suo: scioccando, seducendo, facendo parlare di sé.
Photocredits: Pinterest