La Generazione Z sta ridefinendo il lavoro. Il successo non è più solo professionale ma anche personale, lo testimoniano fenomeni come il Quite quitting e il rifiuto del Middle management.
I giovani d’oggi sono davvero viziati e poco inclini al sacrificio, oppure stanno semplicemente ponendo domande che fino a poco tempo fa nessuno osava fare? Per molte generazioni, lavorare otto ore al giorno è sempre stata la normalità. Ma chi ha stabilito che debba esserlo anche in futuro? La Generazione Z non si accontenta di accettare le regole preesistenti: le mette in discussione, le analizza e le ribalta. E lo fa partendo da interrogativi scomodi ma fondamentali. Ha senso dedicare la maggior parte della propria vita al lavoro? Quanto della mia felicità dipende dalla carriera e dalla stabilità economica, e quanto invece dal tempo che posso dedicare a me stesso, alle mie passioni e alle persone che amo? Queste riflessioni stanno ridefinendo il rapporto tra lavoro e vita privata, creando fratture profonde nel mondo professionale, e non solo.
Un cambiamento generazionale

Stiamo assistendo a un cambiamento profondo che ribalta il modello tradizionale, basato su una vita interamente dedicata al lavoro. Le nuove generazioni non sono più disposte a sacrificare la propria salute fisica, mentale e la felicità per un impiego. La loro priorità è una qualità della vita che si armonizzi con i ritmi lavorativi. Per i giovani il lavoro non è un semplice dovere o un mezzo per ottenere sicurezza finanziaria: è parte della propria identità personale. Di conseguenza, sono cambiati anche i criteri con cui scelgono un’azienda. Il benessere mentale non è un aspetto secondario, ma una priorità irrinunciabile. Non accettano di rimanere intrappolati in un lavoro che li svuota o che invade interamente la loro vita privata. Lo dimostrano con le loro scelte: molti preferiscono lasciare un impiego senza alternative piuttosto che restare in un ambiente tossico o alienante. Una cosa è certa: la Gen Z non teme di mettere in discussione gli stereotipi classici. Con nuove idee, nuovi valori e un approccio più consapevole, sta ridefinendo il concetto stesso di carriera, puntando a un futuro più sostenibile, non solo dal punto di vista economico, ma anche umano.
Il Quite quitting approch
Da dopo la pandemia, sempre più giovani sembrano adottare un nuovo approccio al lavoro, noto come Quiet quitting, ovvero “licenziarsi senza licenziarsi”. Un neologismo nato e diffusosi su TikTok, che segna una rottura con il tradizionale stakanovismo. Il Quiet quitting non significa smettere di lavorare, ma limitarsi a svolgere le proprie mansioni essenziali, senza coinvolgimento emotivo e senza andare oltre quanto previsto dal contratto. Niente straordinari, niente progetti extra: il lavoro ha un inizio e una fine ben definiti. Ma non si tratta solo di una questione di orario o di quantità. Questo atteggiamento riflette un cambiamento più profondo: il lavoro non è più al centro dell’identità personale né l’unico mezzo per raggiungere la realizzazione. Sempre più giovani scelgono di stabilire confini netti tra vita professionale e privata, riservando tempo ed energie ad attività che esulano dal contesto lavorativo. Il Quiet quitting è, in definitiva, l’espressione di un nuovo sistema di valori, in cui il tempo, la qualità della vita e i rapporti personali assumono un peso maggiore rispetto alla carriera. Non si tratta di rifiutare il lavoro, ma di ridefinire il suo ruolo nella propria esistenza, riservando spazio a ciò che davvero conta.


Il rifiuto del Middle Management
All’interno del più ampio fenomeno del Quiet quitting si inserisce un’altra tendenza: la riluttanza dei giovani a ricoprire ruoli intermedi. Negli ultimi anni, molte aziende si trovano a dover fronteggiare questa scarsa volontà della Gen Z di assumere posizioni di Middle management. Il che significa farsi carico di compiti strategici e operativi come la supervisione di team, rimanendo in una sorta di “terra di mezzo” tra i vertici aziendali e il resto dei dipendenti. Le ragioni dietro questa scelta sono molteplici. I ruoli manageriali intermedi spesso implicano orari lunghi, responsabilità aggiuntive e un coinvolgimento profondo nelle dinamiche aziendali, senza però offrire una crescita salariale proporzionata allo stress e agli impegni richiesti. Diventare manager non è concepito sinonimo di successo e prestigio, ma di riunioni interminabili, carichi di lavoro eccessivi e una pressione costante. Questa generazione non vede nella scalata aziendale il metro di realizzazione personale. Al contrario, tende a rifiutare schemi tradizionali in cui la carriera è fatta di sacrifici a ogni costo, cercando invece un equilibrio che metta al centro il benessere personale e una definizione più autentica di successo.
Oltre ai cambiamenti introdotti dalla Generazione Z, altre e nuove tendenze stanno ridefinendo il mercato del lavoro nel 2025, come la settimana lavorativa di quattro giorni. Sempre più aziende stanno sperimentando la soluzione per migliorare il benessere dei dipendenti e, al tempo stesso, aumentare la produttività. Questi dati confermano la volontà di generare un impatto e di convertire la filosofia del “si è sempre fatto così”. Ancora una volta, emerge una riflessione cruciale: trovare il giusto equilibrio tra lavoro e vita privata è essenziale. E la carriera? Se compromette il benessere psicofisico, allora forse non vale davvero il sacrificio.
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