Quando il cognome vale più del merito: i nepo babies sono sempre esistiti, ma oggi suscitano più polemiche
Il mondo della moda si è sempre nutrito di estetica, esclusività e storytelling. Ma negli ultimi anni, una nuova categoria di protagonisti ha preso il sopravvento. Noi li abbiamo sempre definiti figli d’arte, nel resto del mondo prendono il nome di nepo babies: figli di star e insider dell’industria che, grazie al loro cognome famoso, accedono con facilità a passerelle, copertine e campagne pubblicitarie. Il talento c’entra davvero o siamo di fronte all’ennesima dimostrazione di quanto il privilegio conti più della meritocrazia?
A Nepo baby is born
New York, 19 Dicembre 2022. La copertina della rivista New York Magazine, con le star ritratte come bambini ancora nelle culle, ha acceso i riflettori su uno dei dibattiti più caldi dell’industria dell’intrattenimento: i figli d’arte.
Si tratta di un’analisi assurdamente dettagliata del mondo dei bambini del nepotismo hollywoodiano e dell’ossessione di amore-odio della nostra cultura nei loro confronti. Un mix di satira e realtà che ha fatto discutere Hollywood, dividendo il pubblico tra chi difende il talento ereditario e chi grida al favoritismo.

Cognomi di lusso e passerelle dorate
Basta guardare le ultime stagioni della moda per accorgersi che i nomi di punta sono più che familiari. Kaia Gerber, figlia della supermodella Cindy Crawford, Lila Moss – che abbiamo visto sfilare l’altro ieri alla Milano Fashion Week per Versace – e Lily Rose Depp, sono solo alcuni esempi di giovani modelle che hanno ottenuto contratti con le più grandi maison, senza passare dalle classiche audizioni e dalla lunga gavetta che caratterizza la carriera di una stella emergente.
Eppure, alcuni nepo babies stanno dimostrando di voler andare oltre il loro background privilegiato. Kaia Gerber, pur partendo con un enorme vantaggio, ha affinato la sua presenza sulle passerelle con dedizione, mentre Bella Hadid, nonostante le connessioni, ha lavorato duramente per affermarsi come una delle top model più richieste.
Ma il loro successo sarebbe stato altrettanto rapido senza un cognome potente alle spalle?


Una moda chiusa e autoreferenziale
Essere un nepo baby non significa automaticamente non avere talento, ma è impossibile ignorare il vantaggio schiacciante di chi nasce nell’élite della moda. Le relazioni giuste permettono di ottenere una copertina su Vogue a vent’anni, un contratto con Chanel senza sfilare in decine di showroom, e un invito a Met Gala senza ancora aver costruito una vera carriera. E chissà se un volto nuovo, privo di agganci, avrebbe le stesse possibilità.
Il fascino della scoperta di nuovi volti, di personalità uniche e di storie sorprendenti sembra essere stato sostituito da un casting che punta sulla familiarità piuttosto che sulla novità. La conseguenza è un settore che rischia di diventare autoreferenziale e monotono. Se le passerelle e le campagne sono dominate da figli d’arte, c’è da chiedersi che fine facciano i modelli provenienti da background meno privilegiati.
La polemica di Vittoria Ceretti: la voce di chi ha lottato per arrivare in alto
Negli ultimi anni, la narrazione sui nepo babies è cambiata. Sempre più persone si chiedono se i grandi brand stiano scegliendo il talento o semplicemente il nome più facile da vendere. A denunciare questo sistema è stata anche Vittoria Ceretti, una delle modelle più richieste del momento, che ha costruito la sua carriera da zero. In un’intervista e attraverso i social, ha espresso il suo disappunto nei confronti dei nepo babies, sottolineando come la loro esperienza non sia paragonabile a quella di chi ha dovuto affrontare rifiuti, audizioni infinite e sacrifici economici per farsi notare.

“Tu non hai mai dovuto lottare per un’opportunità, non hai mai sofferto per il tuo primo casting andato male, non hai mai dovuto affrontare giornate di lavoro interminabili con la paura di non essere abbastanza” ha scritto la modella in un post che ha fatto il giro del web.
La moda ha sempre amato reinventarsi, ma negli ultimi anni sembra essersi adagiata su scelte sicure, riciclando volti noti invece di cercare nuove storie da raccontare. Se il fashion system continuerà a favorire i figli d’arte senza lasciare spazio al talento autentico, potrebbe perdere la sua forza innovativa.
Eppure, la moda è sempre stata ribelle, provocatoria, rivoluzionaria. Forse è arrivato il momento di riscoprire il fascino della sorpresa, di premiare il talento prima del pedigree. Perché, alla fine, lo stile non si eredita: si conquista.
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