L’ossessione per la perfezione che ci portiamo dietro già da piccolissimi è la peggior cosa che ci possa capitare. Dover esse il migliore è una malattia fortunatamente curabile.
C’è una sensazione che da quando sono piccola mi attanaglia, ed è la necessità di essere brava, la migliore in tutto quello che faccio. Ricordo di aver disdegnato più di una volta gli 8 o i 7 e mezzo, con la sola colpa di non essere 9 o 10, insomma il massimo.
Alle persone intorno a me non ho mai recriminato nulla, neanche un 4, anzi, ero la prima ad armarmi di parole dolci e discorsi motivazionali. Ma se si trattava di me, non c’era Nelson Mandela che tenesse, dovevo essere la migliore sempre.
Ma perché siamo così ossessionati dall’essere i migliori in tutto?
C’è chi parla di una cultura del self-optimization, la continua ricerca della realizzazione personale che diventa una gara. Una gara a chi ha la carriera più brillante, la relazione più equilibrata, il corpo migliore e così via. Sono tantissimi i libri su come essere la migliore versione in tantissimi aspetti e ambiti. Ma quanto ci costa essere i più bravi in tutto?

C’è chi dice che arriva tutto da quando siamo bambini. Da piccoli siamo in continua competizione, un confronto infinito. Si compete nel gioco in cui si vuole vincere a tutti i costi, se non vinciamo piangiamo. Superata la crisi e individuato il vincitore poi andiamo a congratularci con lui sperando di diventare amici. Un mio amico mi ha raccontato di come alle elementari la fidanzatina lo lasciò per un altro bambino che correva più veloce di lui.
Tornando all’ambiente scolastico, i voti e le punizioni sono sicuramente la miccia, le attenzioni che riceve chi eccelle la benzina di questa catastrofica reazione a catena.
Certamente fa piacere a tutti essere il migliore, anche solo per una soddisfazione personale. Però, secondo me, è innegabile che viviamo sempre un po’ all’ombra di qualcuno che, nella nostra visione delle cose, “ce l’ha fatta di più” di noi. Ma poi se ci pensiamo, quale canone oggettivo possiamo fissare come oggettivo? Non c’è una misura specifica che segnala chi ce l’ha fatta o meno.
Siamo onesti, forse siamo noi il più grande nemico di noi stessi in queste situazioni. Se lavoriamo nella moda e non siamo stati invitati a QUELLA sfilata allora non ce l’abbiamo fatta. Però nel mentre lavoriamo con persone che sono l’obiettivo di chi arriva dopo di noi che per non essere al nostro posto pensa di non avercela fatta nemmeno lui. Se studiamo all’università e non prendiamo il massimo a QUELL’esame, allora non siamo abbastanza bravi. Però magari superiamo senza studiare neanche troppo il più grande scoglio di qualcun altro.
Insomma, chi è che decide se ce l’abbiamo fatta o meno? Solo noi.
Non so se mi libererò presto da questo grande problema che è la ricerca dell’eccellenza. Realisticamente mai oppure dopo diverse sedute di analisi che mi costeranno più di qualsiasi manuale per essere la migliore, ma sempre meno di rincorrere il titolo di “Miss più brava del mondo”. Titolo per cui tra l’altro non sarei mai vestita nel modo giusto. Questo perché alla fine dei conti, la perfezione non esiste. La cosa più giusta non c’è, ci sarà sempre qualcosa che sarebbe stato meglio avere o essere.

I canoni che ci impostiamo possono essere dei risultati per cui lavorare e impegnarsi nel migliore dei modi. Ma sono da riconsiderare quando ci condizionano talmente tanto da mandarci in crisi. Poi a me nessuno ha mai davvero spiegato nulla e questi sono consigli dal cuore, per cui prendeteli con le pinze e non azzardatevi a prendermi come paladina dell’autostima.
Voler essere il migliore è una condanna che non fa martiri.
Ci sarà sempre qualcuno migliore di noi, ma soprattutto dovremmo imparare ad apprezzare dove siamo ora, dove siamo arrivati adesso quando prima pensavamo di non poterci nemmeno avvicinare a certi risultati. Gratitudine verso se stessi e la fatica che ci abbiamo messo. Che non tutti nasciamo con le stesse possibilità e capacità. Forse a volte è il caso di soppesare quello che abbiamo ottenuto considerando da dove siamo partiti.
Tutti possiamo arrivare ovunque se lo vogliamo, ma a volte dobbiamo accettare che ci costerà più fatica di altri. E non è neanche troppo colpa nostra. Per cui amare tutti i risultati che potevano ancora essere solo punti di partenza.

Ma a poi che serve essere il migliore?
Non ci sono campionati a cui partecipare e tantomeno premi da vincere. Farlo per il riconoscimento degli altri è inutile perché a nessuno frega davvero nulla del resto del mondo. Quindi tanto vale divertirsi facendo quello che ci piace e se ci riesce bene tanto meglio.