Il respiro primordiale del cinema
Milano, Galleria Vittorio Emanuele II. In una delle architetture più scenografiche della città, la Fondazione Prada ha inaugurato A Kind of Language: Storyboards and Other Renderings for Cinema, una mostra che scandaglia le viscere della settima arte. Perché il cinema, lo sappiamo bene, non nasce sullo schermo. Nasce molto prima, su un foglio, con schizzi rapidi e febbrili, con idee appuntate di getto, con visioni che ancora non hanno trovato la loro pelle definitiva. Il cinema, prima di diventare immagine in movimento, è una lingua scritta con matite, carboncini, acquerelli, appunti sparsi. È un codice segreto, una preghiera laica tracciata su carta prima di essere pronunciata davanti alla macchina da presa.

Prima del grande schermo
La mostra curata da Melissa Harris raccoglie ottocento elementi che si estendono dal 1920 al 2024: storyboard, moodboard, disegni preparatori, sceneggiature annotate, fotografie. Il tutto firmato da una pletora di cineasti, direttori della fotografia, artisti e animatori, da Georges Méliès a Hayao Miyazaki, da Ingmar Bergman a Sofia Coppola, passando per Charlie Chaplin, Federico Fellini, Alejandro González Iñárritu, Wes Anderson e tanti altri. È il cinema nei suoi momenti di gestazione, quando ancora è un organismo vulnerabile, un’idea che cerca di prendere forma.
E allora, passeggiando tra i tavoli espositivi ideati dall’architetto Andrea Faraguna, sembra di spiare il sogno di un regista prima che prenda vita. Lo storyboard non è solo una traccia, non è un mero strumento tecnico: è una mappa per orientarsi dentro la mente del cineasta. È il primo sguardo gettato sul mondo che sta per nascere. Guardare gli schizzi di Persona di Bergman è come scivolare nel buio della psiche umana, scorgere l’ombra dell’ossessione. Osservare le note di Terry Gilliam per Paura e delirio a Las Vegas significa farsi travolgere da un delirio visivo prima ancora di vedere il film. E che dire delle visioni impossibili di Jodorowsky per Dune? Opere d’arte abortite, sogni infranti che però continuano a pulsare sulla carta.



Tra immaginazione e controllo
C’è un’ambiguità latente in questa mostra. Da un lato, la libertà creativa, il fuoco iniziale dell’ispirazione. Dall’altro, il rigore del cinema come macchina produttiva. Gli storyboard sono il territorio in cui la visione e il controllo si scontrano. Un regista come Hitchcock li usava per stabilire ogni dettaglio con precisione chirurgica, tanto che gli studios sapevano esattamente cosa aspettarsi. Al contrario, registi come Fellini li trattavano come una sorta di diario visivo, schizzi disordinati per fissare atmosfere e umori più che scene definite.

Questa tensione tra rigore ed estro emerge anche nel confronto tra il cinema europeo e quello americano. Se gli storyboard hollywoodiani sono spesso strumenti funzionali all’industria, un modo per ottimizzare tempi e costi, quelli europei conservano una natura più artistica, più sognante. Mamma Roma di Pasolini, ad esempio, ci restituisce un cinema che non può essere addomesticato, che vive di improvvisazione, di istinto. Diverso è il caso di Interstellar di Christopher Nolan, dove ogni inquadratura è già calcolata nei minimi dettagli prima ancora che la macchina da presa si accenda.

Un omaggio al linguaggio del cinema
L’allestimento stesso suggerisce questa idea del cinema come costruzione, come architettura visiva. I tavoli espositivi richiamano le scrivanie degli artisti di storyboard, e sopra di essi le immagini sembrano fluttuare, come se stessero prendendo vita. C’è un senso di dinamismo nella disposizione degli elementi, un effetto a imbuto che guida l’occhio lungo un percorso visivo, fino a incontrare la vetrata che incornicia la cupola della Galleria Vittorio Emanuele II. Il cinema che dialoga con la città, la fantasia che si mescola alla realtà.


Ed è questo, in fondo, il messaggio di A Kind of Language. Il cinema è una lingua, certo, ma è una lingua che si nutre di molteplici dialetti: il disegno, la scrittura, la fotografia, l’architettura. È un linguaggio che si trasforma, che evolve, che muta. È un codice segreto che solo gli occhi più attenti possono decifrare.
Quindi sì, forse questa non è solo una mostra. Forse è una lezione. Su cosa significhi davvero fare cinema. Su cosa significhi vedere il mondo con gli occhi di un regista. E su come, a volte, prima ancora di vedere un film, valga la pena guardare i suoi sogni su carta.



Informazioni pratiche
- Dove: Osservatorio Fondazione Prada, Galleria Vittorio Emanuele II, Milano
- Date: Dal 30 gennaio all’8 settembre 2025
Per ulteriori informazioni: info@fondazioneprada.org / 02 5666 2611
Photocredits: Fondazione Prada Press Office