Può la forma di un tubetto di rossetto rivelare la personalità di chi lo usa?
Spesso, gli oggetti che utilizziamo tutti i giorni in maniera automatica e ripetitiva, vengono dati per scontati. Non ci si sofferma mai a guardarli con attenzione. Ad esempio, raramente si guarda un rossetto dopo averlo svitato, domandandosi allo stesso tempo come abbia assunto la forma che ha.
L’artista Stacy Greene, lo ha fatto.
Dopo una serata passata in compagnia alla Whitney Biennal, alla sua amica Rosie cade il rossetto dalla borsa. Greene si china, glielo raccoglie, e svitandolo, nota la sua forma. Più avanti dichiarerà: “il rossetto di Rosie mi ha entusiasmato più di qualsiasi altra cosa avessi visto al Whitney”. L’episodio la rende curiosa di scoprire lo stato dei rossetti di amiche e conoscenti. Nasce così Lipsticks, una serie di 28 primi piani di tubetti di rossetto che si distinguono per forma, colore e condizioni, e che portano i nomi delle rispettive proprietarie. Le diverse caratteristiche dei tubetti derivano dalle differenti tecniche di applicazione, e restituiscono un quadro un po’ offuscato, ma estremamente intrigante, della personalità di chi li ha utilizzati.

Le varie tipologie
Pur non conoscendo le storie dietro quei tubetti di materia pastosa, modellati in maniera quasi scultorea, si possono comunque individuare quattro grandi categorie nelle quali poterli raggruppare, tentando di tracciarne i profili.
Ci sono tubetti regolari, con il normale taglio obliquo di produzione ancora ben visibile, solo un po’ più stondato per via dell’uso. È questa la varietà più comune, ordinaria, di chi utilizza il rossetto tenendo conto della sua naturale forma, fatta per seguire le labbra. Poi, ci sono tubetti piatti, quasi stroncati. La forma suggerisce l’uso tramite l’ausilio di un pennellino, e quindi, che il proprietario sia una persona che applica il prodotto in maniera attenta, meticolosa, il più precisa possibile.



Andando avanti poi, ci sono i rossetti con le forme più insolite. Alcuni sembrano essere a punta, suggerendo che siano stati utilizzati da entrambi i lati. Altri formano improbabili sagome, come ad esempio Ellen, uno dei più emblematici, con la sua forma a spirale che sembra impossibile da replicare. In realtà, rivelerà Greene più avanti, sua zia Ellen applicava il suo rossetto con un piccolo pennello, scegliendo di volta in volta il punto dal quale prelevare il prodotto, ottenendo così l’inusuale forma a cavatappi.
Infine, abbiamo quelli più usati, forse tanto, troppo amati. Insomma, vissuti a pieno. Tubetti vuoti, scavati, graffiati, alcuni sembrano addirittura esser stati presi a morsi. Il rossetto di Gwen ad esempio, forse il più distrutto (e discusso) della serie, era finito per sbaglio in lavatrice durante un lavaggio, uscendone rovinato.



Sei più una Linda o una Gwen?
Le foto vengono scattate tra il 1991 e il 1993, e da lì in poi, tutti si chiedono chi siano le proprietarie dei rossetti, in quali occasioni li utilizzino, e soprattutto in che modo. Si vuol sapere come abbia fatto Jean a dare al suo rossetto una forma così netta, geometrica, come Phyliss lo abbia reso così perfettamente tondo, come India abbia potuto renderlo così usurato.
Con il passare del tempo, le persone guardando le foto di Greene trasformano i rossetti in prototipi, modelli nei quali potersi identificare. Alcuni si rivedono in Linda, riconoscendosi in un’applicazione semplice, curata, che segue la naturale linea inclinata tipica del rossetto, non distorcendola troppo. Altri invece, in Roberta, riconoscendosi nella trascuratezza del prodotto, utilizzato forse quasi mai, e che inizia a mostrare i segni del tempo.


L’obiettivo ultimo della serie fotografica è quello di mostrare come un rituale quotidiano, e dato per scontato, abbia il potere di liberare l’oggetto utilizzato dall’essere solo un prodotto commerciale. Il rossetto, mentre si utilizza, diventa qualcosa di personale, intimo, e la forma che assume ne è testimone. Sarebbe difficile trovare due rossetti usati sagomati allo stesso modo. Perché anche se le forme possono essere simili, come abbiamo visto, differiranno sempre per qualcosa. Per le venature che le labbra, come un’impronta digitale lasciano sul prodotto, o per qualche sbavatura oppure un urto. Grazie alla semplicità di un gesto automatico, quindi, il rossetto diventa una vera e propria scultura subcoscia.
Crediti Foto: Stacy Greene