A Torino è stato istituito il primo osservatorio italiano sul TSO, con l’obiettivo di analizzare le cause profonde di un fenomeno in crescita e di proporre soluzioni più efficaci per la gestione delle emergenze psichiatriche.
Il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), misura estrema che prevede il ricovero coatto di una persona in una struttura psichiatrica, è al centro di un acceso dibattito etico e legale.
Nato per gestire situazioni di emergenza in cui un individuo rappresenta un pericolo per sé o per gli altri, il TSO pone questioni fondamentali sull’equilibrio tra sicurezza pubblica e rispetto delle libertà individuali. Una recente ricerca ha evidenziato una tendenza allarmante: dalla pandemia in poi, i giovani sotto i 31 anni sono diventati i principali soggetti di questa misura.
Pandemia e giovani: l’Inizio di una crisi silenziosa
L’osservatorio di Torino ha, infatti, messo in luce un cambiamento significativo. Prima della pandemia, il TSO riguardava principalmente adulti più anziani ma negli ultimi anni si è registrato un forte aumento di interventi tra i giovani.
La pandemia ha rappresentato un punto di svolta, amplificando fragilità preesistenti e creando nuove pressioni. Isolamento sociale, incertezza economica e paura del futuro sono stati fattori determinanti. Le restrizioni, la perdita di interazioni sociali e la precarietà lavorativa hanno contribuito all’aumento di ansia, depressione e disturbi mentali gravi. In molti casi, queste condizioni non affrontate tempestivamente si sono trasformate in crisi psichiatriche acute, culminando nella necessità di interventi come il TSO. “Molti giovani, già fragili, sono stati travolti da un carico insostenibile di stress e incertezze” affermano i ricercatori. In questo contesto, la Generazione Z, conosciuta per la sua curiosità e ambizione, sembra ora più stanca e disillusa. L’interesse per viaggi e scoperte è diminuito dell’8% dal 2021, e persino l’attenzione verso tematiche globali come l’emergenza climatica è calata, passando dal 33% al 30% in un solo anno.
La salute mentale in pericolo
Oltre alla stanchezza, la Generazione Z mostra segni di un malessere psicologico sempre più evidente. Quasi tre giovani su dieci soffrono di ansia, un dato superiore rispetto ai Millennials alla Generazione X e ai Baby Boomers (21%). Inoltre, il 10% dei ragazzi di questa generazione dichiara di avere un disturbo mentale, percentuale più alta rispetto a qualsiasi altra fascia d’età.
Secondo gli psicologi, la pandemia ha esasperato una sofferenza già radicata nei giovani, ma non può essere considerata l’unica causa. “Internet e la crisi sanitaria hanno amplificato contraddizioni profonde, come la fragilità degli adulti e una povertà educativa diffusa.”
Spesso i più grandi, faticano a riconoscere e accogliere i segnali di sofferenza dei ragazzi. In una società sempre più competitiva e individualista, i giovani si trovano soli di fronte alle loro paure, spesso senza una guida autorevole che sappia ascoltarli e sostenerli.
Un dilemma etico e legale
L’applicazione del TSO si colloca in una zona grigia tra la tutela della salute sancita dall’art. 32 della Costituzione italiana e il rispetto della libertà personale garantita dall’art. 13. Nessuno può essere sottoposto a trattamenti sanitari contro la propria volontà, se non nei casi previsti dalla legge. Tuttavia, il trattamento sanitario obbligatorio implica un intervento invasivo per garantire cure indispensabili a chi non è in grado di decidere autonomamente, limita temporaneamente la libertà personale, sfidando principi costituzionali.
In Italia, la normativa di riferimento è la Legge 833/1978, che prevede una procedura articolata:
- Richiesta di due medici, uno dei quali appartenente alla ASL territoriale.
- Convalida del sindaco come autorità sanitaria locale.
- Approvazione del giudice tutelare entro 48 ore.
Nonostante questo iter, le garanzie previste risultano spesso insufficienti. Infatti le garanzie della persona coinvolta in questo trattamento non esistono, a differenza di chi viene arrestato per un reato. Mentre chi è accusato di un crimine ha accesso a meccanismi di contraddittorio, chi viene sottoposto a TSO non gode di protezioni analoghe. Le procedure previste spesso risultano insufficienti per garantire i diritti delle persone coinvolte. La mancanza di un contraddittorio effettivo e la percezione di coercizione rendono il TSO un tema altamente divisivo.
Gli abusi del TSO: il caso Andrea Soldi
Il TSO non è esente da abusi. Uno dei casi più drammatici è quello di Andrea Soldi, un uomo di 45 anni di Torino, deceduto durante un intervento di TSO nel 2015. Andrea, che soffriva di schizofrenia, è morto a seguito di una manovra di contenzione effettuata da tre agenti della polizia municipale sotto la supervisione di uno psichiatra. La vicenda ha suscitato profonda indignazione, spingendo molti a interrogarsi sulla sicurezza e l’etica di tali interventi.
Nel luglio del 2022, la Corte di Cassazione ha confermato le condanne a 18 mesi di reclusione per omicidio colposo nei confronti dei quattro responsabili. Questo episodio ha messo in evidenza non solo i rischi connessi al TSO, ma anche l’urgenza di una maggiore formazione per gli operatori coinvolti – medici, personale sanitario e forze dell’ordine – affinché possano gestire le crisi con metodi che riducano al minimo i rischi per i pazienti.
Disparità e criticità del sistema
Un ulteriore aspetto critico riguarda le disparità territoriali e socioeconomiche nell’applicazione del TSO. La frequenza e le modalità di intervento variano notevolmente tra le regioni italiane, evidenziando un sistema frammentato e potenzialmente iniquo. In alcune aree, il TSO viene usato come strumento per affrontare problematiche sociali piuttosto che per scopi strettamente terapeutici, alimentando una percezione negativa verso il sistema sanitario.
Esperienze internazionali: cosa possiamo imparare?
Uno sguardo alle esperienze di altri Paesi può offrire spunti utili per ripensare il sistema italiano. Nel Regno Unito, il Mental Health Act privilegia un approccio meno coercitivo, incoraggiando trattamenti domiciliari e mediazione per ridurre al minimo il ricorso al ricovero forzato. Negli Stati Uniti, al contrario, la normativa è frammentata, rendendo il ricovero involontario più semplice, ma con criteri di applicazione estremamente disomogenei.
Questi modelli dimostrano che un sistema basato sulla prevenzione e sulla mediazione è possibile. Potenziare i servizi territoriali e promuovere reti di supporto comunitario potrebbe ridurre drasticamente il numero di interventi forzati.
TSO verso un sistema più umano
Il Trattamento Sanitario Obbligatorio resta una misura controversa, necessaria in alcuni casi, ma applicata in modo spesso disomogeneo e privo di adeguate garanzie. L’osservatorio di Torino offre un’importante opportunità per comprendere meglio il fenomeno e proporre soluzioni concrete.
La strada verso un sistema più equo passa attraverso la prevenzione, il rispetto dei diritti individuali e un maggiore investimento nella formazione degli operatori. Solo così il TSO potrà davvero rappresentare una soluzione estrema e non un segnale delle falle di un sistema incapace di gestire il disagio mentale in modo efficace e umano.