L’apatia della lontananza

da | CULTURE

Una situazione non è reale finché non ti tocca e non la vivi sulla tua pelle. La natura umana dell’apatia della lontananza.

A che cosa porta l’indifferenza?

Le guerre, la pandemia, le catastrofi climatiche, gli scontri politici, le crisi economiche, i migranti in fuga, gli attentati, la violenza sulle donne. Ma anche gli incidenti, le storie di omicidi, di suicidi, la morte sul lavoro.

Guardare un notiziario, leggere un giornale, fare scroll sui social: oggi è straziante

Distruzione, tragedie e drammi sono all’ordine del giorno, ma non è questione di “Eh i tempi oggi sono cambiati, una volta era tutto diverso.” Sbagliato. È sempre stato così, semplicemente non c’era l’informazione che abbiamo oggi. 

I nostri nonni accendevano la tv e ascoltavano il tg o la radio soltanto a determinati orari, prestabiliti da qualcun altro; tutto il resto del tempo potevano pensare solo a se stessi e a ciò che conoscevano e vivevano. Oggi, essendo iper-connessi non dobbiamo neanche cercarle, le notizie, che ci appaiono automaticamente sugli schermi. 

Aprendo i nostri feed di Instagram, se da un lato ci sono le foto postate dai nostri following al mare o in montana, tutti belli e sorridenti. Dall’altro, facendo scroll down, appaiono fotografie di tragedie con didascalie bianche, rosse o nere, a seconda dalla fonte d’informazione che stiamo leggendo. 

Siamo bombardati di notizie quotidianamente. Ogni ora, ogni minuto, siamo costantemente sommersi da titoli di notizie provenienti da ogni angolo del mondo, per la maggior parte sconvolgenti o dolorosi. 

La quantità di informazioni che subiamo è impressionante, è talmente eccessiva che il nostro corpo non riesce più ad assorbirla. Tutta questa sovraesposizione ha fatto si che diventassimo in un certo senso apatici verso queste spiacevoli situazioni, le quali, fino a quando non ci toccano da vicino, le percepiamo lontano, e per questo motivo, spesso, ci sentiamo legittimati a non agire, e continuiamo a vivere nel nostro piccolo mondo. 

L’abitudine alle cattive notizie: la conseguenza è l’apatia

Vista l’infinità di informazioni che riceviamo, quando leggiamo una nuova notizia siamo sconvolti, ma lo shock dura un istante, una “breve pausa” della nostra vita, e poi tutto torna come prima. 

Se ci pensate oggi abbiamo molta più possibilità di vedere e capire esattamente come sono andate le cose: video e fotografie delle tragedie ci sono quasi sempre e spesso a disposizione di tutti. Eppure, nonostante le vediamo con i nostri stessi occhi, non ne siamo toccati, o almeno, per i primi dieci minuti forse si, poi finiscono nel feed del nostro Instagram con tutto il resto e continuiamo a vivere quasi come se nulla fosse. 

È vigliaccheria? Codardia?

Non esattamente. Fa parte della natura intrinseca dell’essere umano reagire in questo modo, è autodifesa

Ma, attenzione, non dobbiamo confondere il fatto di farci scivolare via le cose per proteggerci con l’apatia

L’uomo è diventato indifferente

Bisogna fare attenzione ad utilizzare questo termine: apatia. L’apatia, implica l’indifferenza verso qualcosa o qualcuno, verso una situazione, in questo caso. 

Nell’ultimo periodo si sta verificano un graduale distaccamento dall’informazione. Le persone cercano sempre di più di astenersi dal leggere le cattive notizie, che spesso sono addirittura impossibili da evitare.

Essendo intossicati da cattive notizie, ormai quasi come se fossimo sotto l’effetto di un overdose, sempre più persone evitano di ascoltare, leggere ed informarsi.

Tempo fa, essendoci, come dicevo prima, una diffusione dell’informazione a spot, le persone prestavano più attenzione, non erano aggiornate in tempo reale e perciò ogni notizia che sentivano stimolava un certo effetto in loro. Al contrario, oggi, a causa delle infinite comunicazioni fruite e subite incessantemente, siamo diventati assuefatti dalla maggior parte delle cose. 

Per evitare il dolore ignoriamo ciò che ci circonda. Molti preferiscono prevenire ed, addirittura, evitare di informarsi, infatti sostengono di non riuscire a guardare il telegiornale per preservare la loro salute mentale. Vi spiego meglio. La natura umana fa si che il corpo metta in atto un meccanismo di autodifesa, per il quale decidiamo di allontanarci, selezionando soltanto alcune delle notizie che ci vengono trasmesse. Si chiama disconnessione selettiva, e porta tutt’altro che beneficio. Se all’apparenza può sembrare una soluzione che crea un distacco percepito come positivo dal corpo, in realtà, piano piano sconnette letteralmente la gente da ciò che la circonda, creando in loro un rifiuto che si tramuta in apatia e indifferenza.

L’elusione delle notizie negative porta a non reagire e a non indignarsi più. Come ci insegna la storia, ignorare la problematica è più pericoloso del problema in sé

Quando gli uomini rinunciano alla loro volontà, lasciano correre, lasciano che la storia prosegua senza intervenire e si sottraggono ad ogni responsabilità, perché “tanto c’è già chi ci sta pensando”, continuando ad alimentare il fuoco che arde. Non pensate che stare fermi a guardare non comporti nulla, che sia giusto lasciare che le cose facciano il loro corso, questi atteggiamenti peggiorano e basta, rendendo sempre più difficile la risoluzione.

Nonostante, a volte ci sentiamo impotenti davanti a certe situazioni, dobbiamo cercare di reagire, controbattere e ribellarci, senza rassegnarci. È necessario, almeno provare a far valere la propria volontà, per poi sentirsi liberi. 

“L’indifferenza è il peso morto della storia” diceva Antonio Gramsci.

L’indifferenza è un cancro. L’apatia, l’abituarsi alle situazioni scomode e spiacevoli, rappresentano la sconfitta dell’umanità; la conseguenza della mancanza di empatia è la non reazione, e come abbiamo visto e imparato nel tempo, il potere di cambiare le cose deriva sempre dall’azione. 

Perciò vi lascio riflettere così:

Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare.

Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?


Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.

Antonio Gramsci, ”Odio gli indifferenti”. “La città futura” – 11 febbraio 1917.

E se avessi fatto anche io la mia parte?

Immagine: Pinterest