L’obsolescenza programmata esiste anche nella moda

da | SUSTAINABILITY

Prodotti pensati per avere un ciclo di vita breve. È questo il core della tanto discussa obsolescenza programmata. Ma la moda cosa c’entra?

Così l’obsolescenza programmata?

L’obsolescenza programmata è una strategia che definisce la durata di un prodotto a discapito del consumatore. Si tratta di merce con un ciclo vitale breve che, in poco tempo, diventa inutilizzabile. Un piano messo in atto, principalmente, dalle aziende di tecnologia. Quando si parla di obsolescenza programmata si pensa subito agli smartphone che, spesso, dopo qualche anno cominciano a rallentare e non supportare nuovi aggiornamenti. Diventando, di conseguenza, inutilizzabili. Oggi questa strategia dovrebbe essere illegale in Unione Europea, anche se le cose sono molto più complesse.

L’obsolescenza programmata è un’invenzione della moda

Il concetto che un prodotto diventi obsoleto non è altro che uno dei fondamenti della moda contemporanea. Tutto ha origine alla corte di Luigi XIV quando, per riempire le casse dello stato, il Re e il suo ministro Jean-Baptiste Colbert si inventarono la stagionalità della moda. Essendo un settore che faceva guadagnare molti soldi alla Francia a Versailles si pensa a come rendere l’abbigliamento ancora più remunerativo. Così Re Sole decide che, a Versailles, una volta l’anno si deve cambiare il guardaroba. Così nascono le stagioni della moda: l’autunno-inverno e la primavera-estate. I capi della stagione precedente diventano così obsoleti e non possono più essere utilizzati. Creando, di conseguenza, l’inesistente necessità di acquistarne di nuovi.

Questo è quello che succede anche con i telefoni o altri prodotti che, per un motivo o per un altro, vanno riacquistati periodicamente. Quello della moda è un caso ancora più particolare. In effetti i capi, nella maggior parte dei casi, svolgono ancora la loro funzione. Ma non li consideriamo più attuali quanto a stile. Nascono da quì, in effetti, i problemi legati alla sovrapproduzione dell’abbigliamento. Lo scrive Matteo Ward nel suo libro “Fuori Moda” edito da De Agostini nel quale afferma che tutti i problemi legati all’abbigliamento cominciano quando i vestiti iniziano a passare di moda.

Qual è la soluzione?

Chiaramente non abbiamo la risposta ai problemi di una delle industrie più inquinanti al mando,. Da qualche anno, però, si è cominciato a parlare di economia circolare. E ancora più di recente, di rigenerazione programmata. Per economia circolare s’intende, molto semplicemente, il riuso. Ma anche, e soprattutto, la riparazione degli oggetti, possibilità che abbiamo dimenticato. In questo senso governi come quello francese hanno fatto passi avanti introducendo, già un anno fa, il “bonus rammendo” che promuove la riparazione dei prodotti tessili calmierandone i prezzi.

La rigenerazione è, invece, lo step successivo. Si parla di capi pensati per durare e rinnovarsi nel tempo. Uno studio che comincia dal taglio dei tessuti pensato per essere scomposto alla fine del ciclo di vita di un capo, e tanto altro. Lo scopo, insomma è quello di rendere gli abiti il più longevi possibili. Non solo nella loro forma originale, ma risfruttando il tessuto anche per dargli nuova vita.