Come la moda vuole fare soldi con il resell dei resi

da | LIFESTYLE

Vi siete mai chiesti che fine facciano i nostri resi? Oggi esistono delle startup che li trasformano in risorsa economica, ma la rivoluzione è ancora da attuare.

La moda lotta da anni contro i costi e lo spreco dei resi: articoli restituiti, invendibili o danneggiati, che finiscono per pesare sulle finanze dei brand, poiché il costo per sanificare e rimettere in commercio quei prodotti, spesso supera il costo di smaltimento. Di sostenibilità nel mondo della moda si parla da parecchio tempo, ma forse non tutti sanno che dietro la comodità di un semplicissimo click online, si nasconde un importante impatto ambientale che causa enormi sprechi di prodotto. In aggiunta, a questo fenomeno è spesso associato il termine “wardrobe”, ovvero l’azione di acquistare, indossare e poi rendere il prodotto al venditore. Dopo anni di politiche estremamente aperte nei confronti dei resi, l’abuso da parte dei consumatori esorta ad invertirne la rotta, al fine di gestire questa mole di “resi pazzi” generati dall’e-commerce.

Cosa ci dicono le statistiche?

Secondo il Global Web Index (una società di ricerca fondata da Tom Smith nel 2009) le persone di età compresa tra i 25 e i 44 anni che hanno spedito indietro un articolo nell’arco di un anno sono il 70%, e sul totale dei prodotti restituiti, il 40% sono articoli di abbigliamento. Si potrebbe ingenuamente pensare che i resi finiscano nuovamente nei negozi, ma questo è raramente il caso: ogni anno, infatti, finiscono in discarica 5 miliardi di chili di rifiuti, mandati al macero o spediti in paesi e continenti diversi.

Dunque, come risolvere il problema?

Sicuramente ridurre il numero dei resi, istituire politiche più restrittive e imporre piccole tasse al cliente sono ottime soluzioni per contrastare questo fenomeno. Un’altra soluzione entra in gioco grazie ad alcune startup americane, le quali si sono organizzate per rivendere a prezzi scontatissimi questi prodotti, favorendo l’economia circolare e donando grandi vantaggi ai brand.

(Re)vive, una startup americana in crescita

Piattaforme come (Re)vive sono nate per convertire queste vendite nulle in nuovi profitti, offrendo dunque ai brand la possibilità di rimettere a nuovo i resi. C’è una forte domanda da parte dei brand che cercano di trarre maggior valore dai resi, un approccio che, al di là del lato pecuniario, offre anche l’opportunità di attirare clienti di fascia media, migliorando l’immagine di sostenibilità dei marchi. Nello specifico, (Re)vive prende prodotti che i rivenditori hanno ritenuto troppo danneggiati per essere venduti e li ripara, vendendoli poi attraverso vari canali. Attualmente, l’impresa ha incassato 3 milioni di dollari e punta ad arrivare a 100 milioni entro tre anni.

La rivoluzione deve ancora avvenire

Secondo BoF, il mercato del reselling online è destinato a crescere del 21% di anno in anno per i prossimi cinque anni, offrendo ai marchi un’opportunità preziosa. Nonostante il suo potenziale, però, questo mercato è ancora in fase di sviluppo: sia Revive che altre piattaforme simili, sono ancora servizi disponibili solo negli USA e dunque dovrebbero
confrontarsi con gli enormi volumi e la merce di lusso prodotta in Europa e soprattutto con i brand europei, notoriamente diffidenti. Dobbiamo pensare, però, che ogni reso diventato oggetto di reselling è un esempio perfetto di come possiamo trasformarlo in una seconda occasione per una risorsa ancora utilizzabile, dandogli una nuova vita e una nuova storia da raccontare. E noi, non possiamo che aspettare per osservare l’evoluzione di questo fenomeno.

foto: Pinterest/ www.byrevive.com