DAI PRIMI PASSI DI DANZA Alle coreografie DI XFACTOR
Il mondo di Laura Bernardini è fatto di movimento, passione e arte pura. La sua carriera è una storia di sogni trasformati in realtà, un viaggio che parte dai primi passi in una sala di danza, fino a coreografa di X Factor. Va detto subito che la tecnica e lo studio nella danza è la base, ma ci vuole ben altro, una sensibilità profonda per il lavoro, un’energia che riesce a toccare il cuore di chi guarda e di chi collabora con te. La passione di Laura come artista si cela dietro ogni coreografia. Dalla ballerina che non ha mai smesso di essere alla coreografa che cerca la scintilla nei giovani talenti.
Ogni passione ha la sua scintilla, qual è stata la tua?
Come tante passioni, è nata quasi per caso. Avevo 9 anni quando ho iniziato a danzare e ovviamente non potevo immaginare che si sarebbe trasformato in tutto questo ma già da allora amavo la disciplina della lezione, il piacere del movimento, il risultato della coreografia.
Da ballerina a coreografa, come è stato emotivamente affrontare questa transizione?
Ho sempre pensato che non ce l’avrei fatta a rinunciare al ruolo di ballerina e invece è stato un passaggio naturale, consapevole e per niente forzato. Danzare sarà per sempre la cosa che amo più fare e come coreografa amo ancora mostrare personalmente il movimento e non solo suggerirlo a voce e questo in qualche modo mi appaga.
Ogni artista è un po’ un mosaico delle sue influenze. Ci sono coreografi o figure artistiche che hanno segnato profondamente il tuo modo di vedere e creare la danza?
Sicuramente già con i miei primi insegnanti ho scoperto la sperimentazione: eravamo un gruppo di ragazzi giovanissimi ma ci hanno sempre spronato verso la ricerca. E così ho mantenuto la curiosità e l’attenzione verso nuove influenze; ho viaggiato tanto, studiato ovunque per il piacere di danzare, amato il teatro e contemporaneamente i grandi show di intrattenimento. Senza dubbio ora ricevere stimoli e input è ancora più immediato (a volte anche troppo) ma ti permette di conoscere e scoprire artisti appartenenti ad ogni realtà. Da sempre amo la visionaria Pina Bausch, il movimento crudo di Diana Matos, la poesia di Jacob Jonas.
Quando crei una coreografia, da dove parte l’ ispirazione, dalla musica dal messaggio che vuoi raccontare o dal mondo intorno a te?
Il punto di partenza per me è senza dubbio la musica, è sempre lei che mi suggerisce dove arrivare. In contesti come XFACTOR c’è un lavoro di direzione creativa a monte che ti indica che mondo raccontare e quale messa in scena si combinerà con la coreografia e questo ovviamente segna una linea guida fondamentale.
C’è stato un progetto o un momento nella tua carriera che ha cambiato tutto, facendoti vedere il tuo lavoro o te stessa in modo diverso?
Sicuramente le produzioni di “Dance Dance Dance” sono state sfide importanti che hanno permesso di misurarmi con le coreografie più iconiche e, dovendole riprodurre, hanno sbloccato in me nuove visioni. Ma credo che Xfactor in qualche modo abbia consacrato definitivamente la direzione che desideravo riconoscermi da sempre.
A volte, creare significa anche scontrarsi con visioni diverse. Hai mai avuto difficoltà nel trovare un equilibrio tra la tua visione coreografica e le esigenze degli artisti?
Certamente, succede spesso quando ci si trova in contesti di intrattenimento; le richieste e le esigenze si sovrappongono e bisogna sempre trovare un equilibrio tra queste. Assecondare le richieste e contemporaneamente rendere riconoscibile la firma coreografica è un po’ la sfida quotidiana; non si tratta di piegarsi al volere di altri ma di trovare il giusto balance tra ciò che l’artista vuole raccontare e il modo in cui puoi effettivamente metterlo in scena. Spesso la combinazione di questi elementi apre lo sguardo di tutte le persone coinvolte nella creatività del progetto.
Xfactor è appena terminato e questa edizione è stata entusiasmante tanto da riconquistare una fetta di pubblico che sembrava essersi persa. La notizia che X Factor 2025 si farà è un chiaro segnale di questo successo. Quali credi siano stati gli elementi chiave di questa vittoria oltre alle coreografie, scenografie e messa in scena che hanno catturato l’attenzione degli spettatori?
Senza dubbio il banco dei giudici è stato il gancio che ha catturato nuovamente l’attenzione di una nuova e consistente fetta di pubblico; ogni giudice ha portato personalità, carattere e nuovo entusiasmo. E sulla scia di questa nuova energia, lo show è tornato prepotente e farsi notare. Anche gli anni passati abbiamo sempre lavorato per portare sul palco gusto e qualità ma credo che quest’anno il pubblico si sia affezionato maggiormente al percorso dei concorrenti e al modo in cui ogni giudice li ha guidati lungo questi 7 live.
Cosa significa per te essere parte di un progetto come questo e come ti prepari a lavorare in un ambiente così dinamico?
Xfactor è una delle macchine che, a mio avviso, funziona di più; c’è un piano di produzione fatto a regola d’arte, tutti i reparti lavorano per raggiungere risultati incredibili in tempi record. In meno di 3 giorni viene proposta la creatività, comunicata ai vari reparti e portata in scena già dal lunedì: questo ti fa capire quanto sia collaudata una macchina del genere! Prepararsi è un po’ difficile: dal momento in cui iniziano i live, si entra dentro un frullatore pazzesco e sicuramente bisogna essere centrati, risolutivi e lavorare in maniera smart ed efficace.
La finale in Piazza del Plebiscito a Napoli è stata un evento carico di energia. Facciamo però un passo indietro alla semifinale, che ha sollevato diverse polemiche sulla disparità di genere nel panorama musicale, con l’accesso alla finale di una sola donna. Secondo te, si è trattato di un caso o è il riflesso di una questione più profonda, che dimostra quanta strada ci sia ancora da fare in molti ambiti lavorativi? Credi che questa stessa disparità si manifesti anche nel mondo della danza?
Onestamente non ho letto questo messaggio nei finalisti; credo sia una casualità e quest’anno hanno avuto un percorso più forte i Les votives, Lorenzo Salvetti, I Patagarri e Mimì. Penso, sinceramente, che sia il pubblico a fare la differenza.
Detto ciò, penso che un problema più profondo esista, ma non nelle scelte delle preferenze musicali: la disparità di genere è evidente in una società che ancora consiglia alle donne come vestirsi o a che ora rincasare ma non educa gli uomini al rispetto.
Ritieni che, come donna, tu abbia dovuto lavorare più duramente per ottenere il riconoscimento che meriti?
Ho avuto la fortuna di lavorare spesso in un team creativo fatto di donne e di uomini e questo mi ha permesso di superare senza dietrologie ostacoli che si possono presentare lungo il percorso professionale. Ma ho anche la consapevolezza che essere donna e ottenere credibilità e riconoscimenti è un viaggio tortuoso: bisogna sempre dimostrare di essere impeccabili e che, se ci si trova a ricoprire quel determinato ruolo, è perché hai tutte le carte per farlo. È la continua necessità di dimostrare che può essere sfiancante: da due anni sono anche mamma e conciliare tutto è davvero un gioco di prestigio. Ma io sono una testona a cui piace tanto lavorare e amo arrivare ancor prima che mi vengano richieste le cose.
Creare coreografie per un programma come X Factor richiede un approccio unico: ogni artista porta il suo mondo e ogni esibizione deve raccontare una storia. Come nasce una coreografia perfetta per un pezzo in gara?
A monte c’è sempre la creatività che viene proposta da Laccio e Shake; sono loro che immaginano le messe in scena che condividono con tutti i reparti, dalla scenografia ai visuals, dallo styling alla coreografia. La capacità di tutto il team sta nel mettere a fuoco l’immaginario e combinare i diversi elementi: le suggestioni che vengono date sono fondamentali per portare in scena un prodotto finale che abbia senso e racconti una storia comune; ci deve essere un’empatia artistica che permette a tutti di viaggiare nella direzione prestabilita.
Lavorare con giovani artisti emergenti deve essere incredibilmente stimolante. Qual è la principale differenza nel collaborare con loro rispetto ad artisti già affermati?
Con gli artisti emergenti devi essere una guida, un porto sicuro, uno stimolo e un conforto. Quando invece lavori con artisti già affermati il più delle volte sono loro a guidare te. In entrambi i casi è una scuola: da una parte impari come condurre chi sta scoprendo un mondo nuovo; dall’altra accogli l’esperienza e la preparazione dei grandi.
C’è un momento di questa edizione che ti è rimasto particolarmente impresso?
Senza ombra di dubbio la finale! È stata una valanga inarrestabile di emozioni: la piazza, gli ospiti, 24 coreografie e 195 costumi di scena. È stato un lavoro immenso e maestoso, chiuso in 5 giorni lavorativi! Tutto questo ha dell’incredibile e fino al momento della diretta non pensavo che ce l’avremmo fatta!
In piazza del Plebiscito la prima volta di una finale “in esterna” di X Factor, quanto lavoro c’è dietro le quinte per realizzare uno show come questo e quanto tempo prima si comincia a pianificare ogni dettaglio per rendere tutto perfetto?
Già dalla prima puntata dei live si guarda alla finale; la produzione pianifica tutto quando ancora i vari reparti sono impegnati nella gestione dei live. Il nostro team inizia effettivamente ad anticipare il lavoro della finale verso la sesta puntata: la rosa dei semifinalisti restringe le possibili coreografie della manche dei “best of” e cerchiamo di recuperare nella memoria il materiale già coreografato. Certo è che noi siamo legati al televoto del pubblico quindi solo al termine della semifinale, quando vengono annunciati i finalisti, possiamo effettivamente programmare il lavoro da affrontare.
Dopo l’intensità e il ritmo frenetico di questi mesi, quali sono i tuoi progetti futuri?
Riprendo subito con il mio lavoro in accademia e con le lezioni; qualche set da seguire e poi una piccolissima pausa necessaria per decomprimere la tensione accumulata.
Se dovessi descrivere la vittoria di Mimì con un solo aggettivo, quale sarebbe e perché?
Inaspettata.
Hai lavorato con numerosi artisti e cantanti, ma se dovessi scegliere un nome con cui ti piacerebbe collaborare in assoluto, chi sarebbe?
Tra gli artisti italiani direi Salmo, mi piacerebbe tanto immaginare un suo live; internazionale Jacob Banks e Jorja Smith.
Nella tua vita, c’è anche e soprattutto la Modulo Academy di cui sei co-founder e insegnante, questo ti permette di lavorare a stretto contatto con giovani talenti. Cosa consiglieresti ai ragazzi della GenZ che vogliono intraprendere una carriera nel mondo della danza?
Il mio consiglio più sincero è quello di essere coraggiosi, perché io a volte non lo sono stata abbastanza. E invece bisogna correre il rischio di buttarsi e avere fiducia nelle proprie capacità. E di avere fame di conoscenza ma di gustarsi a pieno il sapore di ogni passo.