Il vintage dimostra la responsabilità della gen Z. Chi lo indossa per protesta, chi invece, per divertimento
La generazione Z, connessa 24h/7g e apparentemente superficiale, è in realtà molto attenta a sé stessa e a ciò che la circonda. Ha dimostrato di essere molto più informata e interessata alle regole del consumo rispetto ai giovani del passato
Si sa, la sostenibilità è uno dei driver di questa nuova generazione; chiaramente ci sono sempre delle eccezioni, ma la maggior parte dei giovani “Centennials” si impegna per avere comportamenti responsabili in più settori possibili. E lo shopping è uno di questi.
I trend, oggi chiamati “-core” ad indicare micro tendenze che nascono sui social media e con una vita brevissima, non hanno più il significato che detenevano una volta, quando indossare determinati abiti voleva dire comunicare un messaggio o significava appartenere ad un gruppo sociale.
Negli ultimi tempi la moda ha acquisito una denotazione negativa. È percepita dai più come qualcosa di frivolo, di puramente estetico, e infatti nella maggioranza dei casi risulta esserlo. Il fast fashion ne è un chiaro esempio. Chiamato in questo modo proprio per la caratteristica principale che lo denota, ossia la rapidità, è un settore dell’abbigliamento che realizza capi in serie di scarsa qualità, venduti a prezzi irrisori e che lancia nuove collezioni ogni settimana, per essere sempre al passo con i nuovi “-core” che circolano su TikTok. Inevitabilmente i prodotti risultano privi di qualità nei materiali, nelle lavorazioni e nelle strutture.
Quando eravamo adolescenti, acquistare tutti lo stesso top o gli stessi jeans strappati era un modo per non essere emarginati dalla società; essere uguali agli altri era sinonimo di comfort zone. Crescendo, abbiamo compreso che indossare qualcosa che nessun altro possiede è, invece, un modo per differenziarsi, e quindi per valorizzarsi.

Non vogliamo più omologarci
Ma non è neanche più questione del capo d’abbigliamento in sé, piuttosto di come lo abbiniamo; avere un look che esprima noi stessi è un modo, soprattutto per noi prossimi al mondo del lavoro, per renderci unici e per far capire che ognuno di noi ha un potenziale o delle abilità che non tutti hanno.
La Zeta è una generazione che sostiene l’individualità e l’espressione di sé, ecco perché sente il bisogno di un ritorno alle origini. Ma non un come back uguale a ciò che è già stato. Non abbiamo necessità di sentirci parte di un gruppo o dimostrarci sostenitori di un’ideologia tramite dei look; vogliamo semplicemente abiti di qualità, con cui possiamo essere noi stessi.
Ecco come siamo diventati vintage addicted
C’è anche chi indossa il vintage per protestare contro il fast fashion. Come ci dice Matilde, 22 anni:
“Io acquisto vintage come una sorta di “protesta” contro il fast fashion, perché spesso ciò che si trova nel mercato del vintage sono dei gran bei capi, anche di materiali ottimi in confronto al fast fashion; e spesso si possono trovare anche abiti di brand di lusso che il venditore magari non ha colto e lo paghi ad un prezzo stracciato”.
Una generazione responsabile sotto tutti i punti di vista: quello ambientale, ma anche quello economico.
Si sente sempre dire che il settore del lusso è in crescita e non perde, ma ultimamente, soprattutto quest’ultimo anno il lusso sta affrontando una grande crisi. Adesso, non vogliamo entrare nel merito di questa questione, ma sicuramente anche le new gen, essendo loro i consumatori del futuro, con la loro mentalità contribuiranno alla decadenza del lusso.
A prescindere dal budget limitato, che comunque è un fattore importante, molti giovani preferiscono il mercato second hand, magari anche di lusso, ma l’importante è che sia vintage, al fine di diminuire lo spreco. Preoccupandosi dell’ambiente si chiedono cosa ne sarà di tutto ciò che viene prodotto ogni giorno oggi? Non sarà certo smaltito nel giro di pochi anni… anzi. Ed ecco un altro fattore che li sta trascinando sempre di più verso la moda circolare.
“Andare a comprare un capo da brand di fast fashion che hanno tutti ti da una profondità diversa rispetto a comprarne uno che hai tu e unicamente tu. Il vestito diventa una vetrina della tua personalità, che con il fast fashion non riesci a comunicare”. Matilde.

Un gioco d’altri tempi
C’è poi chi invece si diverte a spulciare tra le bancarelle dei mercatini dell’usato per cercare vestiti che hanno già avuto una vita e si diverte a dargliene una nuova.
È quasi come un gioco da bambini, quando da piccolo rovistavi nell’armadio dei tuoi nonni o dei tuoi genitori e passavi il tempo a provare abiti, chiedendoti: chissà dove è stato comprato? Chissà come e in quale occasione era stato usato?
Con il vintage è la stessa cosa. Puoi trovare giacche e pantaloni di materiali e forme che oggi non vengono più realizzati, e puoi sentirti un po’ di un’altra epoca.
Ma a proposito di bancarelle, quando si parla di mercatini dell’usato, ci si immagina un’insieme di stand e banchi organizzati per le strade di un piccolo paesino, in cui ognuno vende abiti ed oggetti dismessi; ci sono anche quelli, ma quando parliamo di mercato del vintage non ci riferiamo a questo. Oggi il fashion resale è un grande settore, composto anche da pezzi unici, abiti vintage di lusso e oggetti ancora in condizioni ottime. Sono sempre di più i negozi vintage che aprono in tantissime città d’Italia e nel mondo.
Non a caso non si usa più il termine “usato”, ma “pre-loved”, per restituire un valore a questo nuovo mercato che sta crescendo sempre di più e per creare nella nostra mente un collegamento che rifletta, non un semplice abito comprato, usato e accantonato, ma qualcosa a cui ognuno di noi può dare una nuova vita. Perché gli abiti esistono e hanno una personalità diversa in base alla persona che li indossa.