Con un grande messaggio, l’Accademia Nazionale dei Sartori ha dato vita a un progetto importantissimo e fondamentale per il “dopo” nella vita dei detenuti di Rebibbia.
Nel cortile dell’Area Verde dell’Istituto penitenziario di Rebibbia anche quest’anno viene riproposto il progetto “Made in Rebibbia”. Iniziato nel 2017 da un’idea dell’ex presidente dell’Accademia Nazionale dei Sartori, il progetto dà modo di imparare un mestiere ai detenuti del carcere di Rebibbia.
Il progetto dà la possibilità di trovare lavoro in un laboratorio sartoriale, dopo aver scontato la pena.
Durante la serata evento sfilano 36 capi, tutti simbolo di un anno di lavoro e di insegnamento del corso di alta sartoria maschile. Un corso di otto mesi con un monte ore totale di 650 ore.
Alessandro, Fabio, Giuseppe, Giovanni, Seifedine, Marian, Mohamed e Bledi sono i sarti dietro alle creazioni.
Questi sarti neofiti hanno imparato a tagliare e a cucire dietro alle sbarre e oggi sfilano con le loro creazioni addosso.
I capi sono amati da tutti ed è evidente la felicità e l’emozione negli occhi dei sarti-modelli. In prima fila siede Alessia Rampazzi, direttrice del carcere, la persona che ha reso possibile l’evento, serena e sorridente, come forse non ci aspetteremo di trovare qualcuno che lavora così a stretto contatto dentro le mura di un carcere maschile.
Il progetto va oltre l’obbiettivo dell’Accademia di rigenerare la sartoria, ma simboleggia anche l’opportunità di iniziare una vita nuova.
“Uno studio recente dell’Università Bocconi afferma che l’84% dei detenuti che durante la loro pensa frequentano corsi e tirocini, quando tornano in libertà vengono assunti con un un contratto regolare” . Questo ci spiega il presidente attuale dell’Accademia, Gaetano Aloisio.
“È l’opportunità di iniziare una vita nuova, di regalare un sogno anche a chi è stato meno fortunato di noi”.
Ovviamente questo sarebbe una grande occasione anche per l’industria della sartoria che soffre di una grande carenza di artigiani, ma oggi non siamo qui per questo.
A Gaetano piacerebbe allargare questa iniziativa anche ad altri carceri, spera di arrivare anche a quelli minorili: “per permettere a chi ha fatto degli errori di lasciarsi alle spalle un passato difficile”.
In passerella troviamo Manuel, camicia e pantaloni interamente creati da lui. Ha 38 anni e si è diplomato in carcere dove tra le altre cose ha anche seguito il corso di cucito. Ora Manuel è libero e ha trovato lavoro in una sartoria, nella Ilario Piscioneri. Ilario fu il primo ad avere l’idea di insegnare un mestiere ai reclusi.
Manuel si racconta: “io ho seguito questo percorso per migliorare, per me stesso”.
La reputa un’iniziativa davvero potente che è in grado di dimostrare che anche le persone che hanno passato dei momenti difficili possono fare qualcosa per la società.
E’ normale chiedersi che cosa li abbia portati a finire in carcere, ma la risposta della direttrice del carcere chiude subito la questione: “Non importa quello che hanno fatto ieri, ma quello che faranno domani”.
Il pregiudizio è semplice da seguire, più difficile è imparare a sentire con il cuore e guardare con gli occhi, senza nessun tipo di filtro davanti, nessun preconcetto.
Il maestro del corso, Sebastiano Di Rienzo, racconta di come il contatto con la bellezza riesca a cambiare chiunque decida di avvicinarcisi.
Il contatto con la bellezza riesce a a portare qualcosa di positivo in un momento delicatissimo della propria vita.
Ad assistere alla conclusione annuale di questa iniziativa un pubblico composto da direttori di istituti penitenziari, alcune autorità giudiziarie, giornalisti e le famiglie dei reclusi.
Questo momento è stato importante anche per loro, le famiglie, e nessuno se lo dimentica. Ed ecco che uno dei sarti, Bledi, dopo la sfilata e i discorsi di rito, con il sostegno del figlioletto di pochi anni ad applaudirlo, chiede alla fidanzata di sposarlo. Ancora una volta vince l’amore e con lui la fiducia.
Questa sesta edizione della sfilata “Made in Rebibbia” ha di nuovo festeggiato un importante progetto di inclusione e reinserimento sociale e l’ha fatto grazie all’arte sartoriale.
L’iniziativa è un evidente segno della voglia di contribuire al reinserimento sociale attraverso la formazione di figure professionali che possano rispondere alle richieste e alle mode del mercato.
Il General Manager di BMW Roma, sostenitore del progetto, racconta di come l’idea di essere parte di un’iniziativa orientata ad aiutare le persone a reinserirsi nella società sia parte fondamentale dell’idea stessa di inclusione.
Perchè uno dei grandi problemi delle carceri è proprio questo. Il reinserimento nella società e l’assenza di inclusione che deriva da questo momento nella vita del recluso sono grandi difficoltà che queste persone si trovano ad affrontare nel loro dopo. “Made in Rebibbia” è un piccolo e fondamentale passo verso il cambiamento di questa situazione.
La direttrice del carcere con poche parole ha sottolineato l’importanza della fiducia negli altri e in se stessi, perchè non è importante quello che è stato fatto prima, ma quello che sarà fatto dopo e con questo progetto si porge la mano a chi vede spesso solo spalle voltate.