Il bikini: tanto amato quanto odiato

da | FASHION

Sono arrivati i tre mesi dell’anno in cui a comporre i nostri principali outfit sono bermuda e bikini, peccato però che oltre a problemi quali inclusività e sostenibilità, alla base ne esista un altro: il costo.

L’idillio estivo viene stroncato da sovrapprezzi stagionali che ci impediscono sempre più di vivere liberamente le vacanze estive e, come se non bastasse, perché anche i bikini devono costare così tanto?

Prima di tutto c’è da riconoscere quanto il mercato del beachwear sia cambiato negli ultimi anni, tra brand low cost e capsule collection in collaborazione con influencer che hanno attirato un numero sempre maggiore di interessati. Pensiamo già solo al fatto che circa un decennio fa Victoria’s Secret era uno dei protagonisti di questo ambiente e quando ha smesso di vendere costumi da bagno nel 2016, i concorrenti hanno ovviamente visto un’opportunità. Oggi il mercato è affollato di giovani marchi che si rivolgono a ogni tipo di acquirente, proponendo capi sempre più particolari e articolati.

Insomma, non risulta strano che i bikini costino molto, soprattutto se andiamo a prendere i luxury brand, ma ormai anche quelli che dovrebbero essere più abbordabili stanno iniziando a cambiare rotta. Proprio il settore del fast fashion attraverso collaborazioni e campagne ben studiate sta cercando di staccarsi di dosso l’etichetta di low brand e questo inizia ad influenzare inevitabilmente anche il prezzo. Ma considerando la poca quantità di tessuto che compone il capo, quanto ha senso spendere cifre astronomiche per prodotti che indosseremo solo tre mesi l’anno? La risposta è che, indubbiamente, in base alla differenza di valore economico va a cambiare la qualità del prodotto, il divario tra fascia bassa e alta in certi casi è lampante.

Prima di tutto bisogna considerare che il tessuto di un bikini è elasticizzato e questa caratteristica rende indubbiamente il prodotto più caro. Sì, tutti i costumi vengono creati mediante l’uso di materiali stretch ma anche qui c’è da distinguerne la qualità che andrà a gravare sul prezzo. In un articolo costoso c’è più sicurezza che il tessuto sia meglio costruito – design, composizione, trama – non importa quante volte lo indossi. La forma e la robustezza verranno mantenute. Questo perché viene foderato in modo da dare più sostegno al corpo, senza andarsi a logorare fino a diventare trasparente o color sabbia.

L’ingresso delle influencer e blogger nel mercato del bikini ha contribuito a trasformare i costumi da bagno in una categoria più ambita. Diventata sicuramente più redditizia grazie all’uso dei social media. Qui, però, attenzione come sempre a non scambiare la qualità per il nome del marchio. Non tutti i bikini che costano 200 euro sono impeccabili o qualitativamente ottimi: invece di guardare la testimonial è sempre bene controllare la composizione.

Solitamente, prediligere un costume in quanto economico potrebbe essere uno svantaggio sia dal punto di vista della sostenibilità che semplicemente della qualità. Questi tendono a rovinarsi più velocemente. Soprattutto se usati di frequente e sappiamo che come per gli abiti, uno più costoso vale l’investimento e, con la dovuta cura, durerà per anni. 

Altra problematica dei bikini: l’inclusività

“Se non sono magra che bikini posso indossare per andare al mare?”, questa è solo una delle tante domande che popolano il web. E che ci fanno rendere conto di come il mercato del beachwear, molto spesso, annienti ogni valore di inclusività che abbiamo cercato di costruire durante gli ultimi anni. Per diventare così promotore di insicurezze e messaggi sbagliati. Dovrebbe essere passato il tempo in cui ad indossare bikini e lingerie erano solo i corpi perfetti ed atletici degli angeli di Victoria’s Secret. I costumi da bagno rappresentano un notevole capitolo di storia della moda che inizia molti decenni fa e ad oggi. A cambiare dovrebbe essere la concezione che si ha nel rapporto tra bikini e corpo stesso.

Indossare due pezzi di stoffa striminziti che a malapena riescono a coprire zone del corpo che Instagram bannerebbe non è una scelta semplice per chiunque. Per qualcuno è uno status. Per altri un motivo valido per dover passare giornate estive a casa e non in riva al mare. Un ideale tanto alienante dovrebbe essere diventato arcaico in questo tempo di body positivity, ma è davvero così? Se osserviamo celebrità quali Lizzo, Megan Thee Stallion, Ashley Graham o Rihanna riusciamo a percepire un approccio realmente vicino al tema. Portatrici di inclusività, attraverso il loro lavoro – campagne, collezioni, videoclip – danno un senso e un significato a quelle che, in molti casi, sono solo parole e non fatti autentici. Ognuno di noi è in grado di dirsi vicino a una causa importante, ma la differenza sta nel mostrarsi realmente coinvolto apportando un contributo reale.

Dover assistere costantemente, ogni anno, alle stesse campagne estive realizzate su spiagge perfette, con modelle perfette che hanno corpi perfetti, oltre che estremamente noioso a lungo andare continuerebbe a portare avanti sempre lo stesso ideale. Ossia che se non hai un fisico come il mio questo bikini non fa per te. E qui non vale più proclamarsi inclusivi in un comunicato stampa o nella bio del brand. Tutto ciò che noi vediamo è l’irraggiungibilità di una cerchia elitaria a cui della diversità interessa ben poco.

Qual è, dunque, il costume perfetto? Difficile a dirsi. Come abbiamo visto gli ostacoli sono molti, ma altrettante sono le proposte che potrebbero avvicinarsi alla nostra versione preferita. Basta un po’ di ricerca per trovare i giusti marchi che mixano stile, inclusività, sostenibilità e prezzi modici. L’importante è non arrendersi subito e ascoltare le proprie esigenze.

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