Al secolo Francesco Borando, per il fashion system Pretty Dek. Il designer di Novara che sogna di rivoluzionare il concetto di sartoria.
Dimmi 5 cose che ti caratterizzano
Sicuramente la passione per la natura che porto con me fin dall’infanzia, una grande emotività, forza di volontà, o testardaggine, dipende dai punti di vista e poi come dimenticare le paranoie che non mi abbandonano mai. Quinta cosa, ma non per importanza, i pantaloni larghi, ne faccio una filosofia di vita.
Il tuo progetto si chiama “Pretty dek” cosa significa questo nome?
Il mio progetto, che poi si concretizza in una pagina Instagram che serve da vetrina per i miei lavori, non nasce per la moda. Al liceo facevo graffiti e volevo un posto dove poter mettere tutti i miei lavori, così nasce “Pretty dek”. Dek viene dallo storpiamento del nome di un personaggio dei videogiochi mentre pretty è il soprannome utilizzato da Asap Rocky (pretty flacko) da cui ho preso simpaticamente il nome. È iniziata come la mia firma sui graffiti e poi l’ho mantenuta.
Come sei passato dai graffiti alla moda?
È tutta colpa di Virgil Abloh! Ero più o meno al terzo anno di liceo quando il suo personaggio è esploso. In un certo senso mi sono rivisto in lui, ho visto che una persona con i miei stessi interessi era entrato in quel mondo che io ho sempre respirato. Mia nonna e mia zia facevano le sarte a tempo perso e quella realtà mi ha sempre affascinato, più ho capito che potevo farne parte anche io senza snaturarmi. Ho iniziato abbracciando lo streetwear e poi le cose sono venute da sé.
Come vedi oggi lo stato di salute dello streetwear?
Penso che lo streetwear puro come è nato non abbia molto ancora da dire. Il sistema moda si è allontanato da quell’idea di una moda sportiva così definita. Oggi sono le fusioni le strategie vincenti. Lo streetwear si mixa con le altre subculture. Ne sono un esempio i pantaloni larghi che, nati nel mondo underground e street, hanno permeato tutte le estetiche, anche quelle più classiche.
Questi pantaloni larghi continuano a ricorrere, quale significato hanno per te?
Li ho rubati dal mondo dello skate e da tanto tempo fanno ormai parte di me, della mia estetica. Mi piace come cadono su di me e sugli altri, come giocano sul corpo e tutte le realtà che si portano dietro. Li ho sempre portati al di là delle tendenze e adesso vorrei realizzarmene dei modelli su misura che mi cadano esattamente come voglio io.
Nel tuo laboratorio realizzi tutto con le tue mani; ti definisci più sarto o designer?
In linea di massima mi sento più attratto verso il mondo della sartoria. Mi piace avere i mezzi per poter realizzare un’idea. Prendere in mano il tessuto e vederlo trasformarsi in qualcosa di nuovo.
A cosa ti ispiri per le tue creazioni?
Diciamo che le ispirazioni arrivano a me, non sono io a cercarle con insistenza. Tutto confluisce nei miei disegni, la natura, i miei ideali…ogni cosa è buona per trasformarsi in moda. Anche gli stessi abiti che indosso o, ancora meglio, non porto più mi ispirano. Penso a come potrei utilizzarli di più e li costumizzo.
I tuoi abiti parlano anche dei tuoi ideali; in che senso?
Per chi non la conosce la moda è un capriccio, ma in verità non è altro che lo specchio della realtà in cui viviamo. Gli abiti lanciano messaggi, spesso criptici, bisogna saperli leggere. È necessaria capacità di approfondimento per andare oltre la superficie.
Tornando a te Francesco, dove ti vedi tra 10 anni?
Vorrei avere un mio laboratorio dove realizzare tutto da me. Mi piace l’idea di poter produrre tutto io senza passare per le mani di altri. Mi piacerebbe dare nuovo volto alle sartorie. creare una sartoria 2.0 che abbandoni il concetto di moda classica e si spinga verso orizzonti più innovativi.