Come cambierà l’haute couture?

da | LIFESTYLE

Si è appena conclusa la settimana dell’alta moda parigina. La couture, quest’anno, è testimone della polarizzazione del fashion system diviso tra l’abito inteso come opera d’arte e l’abito nella sua declinazione più pura. Ma ha ancora senso parlare di haute couture? E come cambierà, o è già cambiato, il sistema dell’alta moda?

Dovete sapere che il sistema moda, così come lo conosciamo, fatto di sfilate e collezioni stagionali nasce proprio dall’haute couture. La prima sfilata, infatti, venne fatta a Parigi nell’800 per opera di uno dei più grandi couturier della storia: Charles Frederick Worth. Un tempo per avere un abito ci si recava in atelier e il capo veniva confezionato su misura. Ecco, è proprio questo il senso dell’haute couture: abiti unici creati per occasioni speciali. Ma oggi ha veramente ancora ragione di esistere il sistema dell’alta moda?

foto: Pinterest

In un mondo frenetico e sempre più veloce cosa c’entra la couture. Un sistema che richiede una media di 800 ore di lavoro per ogni abito. Oggi che tutto e subito è un mantra l’haute couture che richiede la confezione di un capo su misura, che comprende almeno tre prove, sembra quanto di più lontano e assurdo. Un tempo gli stilisti presentavano all’alta società e ai giornalisti le collezioni durante sfilate a pubblico ristrettissimo che si tenevano nei loro atelier. Un po’ come ha fatto Balenciaga per questa stagione. Le signore sceglievano gli abiti che preferivano e prendevano appuntamento con il couturier per la realizzazione su misura del capo. Si trattava, quindi, di un sistema molto elitario destinato solo a chi condivideva uno status sociale di un certo tipo. Per tutti gli altri c’erano le collezioni industriali di ready to wear.

foto: esquire.com

Un tempo le sfilate erano quindi puramente commerciali, mentre oggi la couture serve per comunicare emozioni, idee, sogni. Le sfilate sono diventate dei veri e propri show: in passerella sfilano infatti opere d’arte più che abiti, spesso inindossabili. A questo punto si potrebbe pensare che la couture serva come libero sfogo artistico e il ready to wear a scopo di commercializzazione. Di base sì, possiamo dire sia così, ma in realtà basta guardare una qualunque sfilata del pret a porter per capire che anche lì la spettacolarizzazione è ai massimi livelli. Quale è quindi la ragion d’esssere dell’haute couture?

Oggi il target è principalmente quello delle celebrities che sfoggiano i capolavori di couture dei designer sui red carpet. O meglio una versione riadattata degli abiti con i quali spesso non ci si riuscirebbe nemmeno a muovere. Parlare di haute couture oggi significa parlare di uno show in cui gli abiti diventano puri strumenti di comunicazione e perdono il loro senso del vestire elevandosi a vere e proprie opere d’arte. Non per tutti i designer però è così. Negli ultimi anni stiamo assistendo sempre più ad una polarizzazione del fashion system in bilico tra due idee differenti di couture.

foto: nytimes.com

Da un lato abbiamo i, sempre meno frequenti, classici show di alta moda che propongono abiti da sera raffinatissimi pronti per essere indossati, così come sono in passerella, ad una cena di gala. Show che quest’anno avevano il nome di Fendi, Dior e ovviamente Armani. D’altro canto abbiamo gli stupendi show in stile Schiaparelli e Thom Brown che non propongono abiti, ma idee che prendono forma in passerella e che ritroviamo poi sui red carpet in una versione riadattata. Sembra chiaro che la tendenza viri verso i secondi, show dal taglio artistico e comunicativo e qualcuno, dunque, non si sente più rappresentato.

Il signor Armani, infatti, ha dichiarato: “Premesso che, a mio parere, oggi sono poche le maison che fanno davvero alta moda, inizio a non riconoscermi più in questa Parigi. Io mi sono sempre collocato in una Parigi più glamour, e ora non mi ci ritrovo più. Mi chiedo se non sia il momento di cambiare”.

foto: diggita.it

Inoltre, in un mondo in cui le occasioni d’uso non esistono più, dove tutti possono mettersi quello che vogliono, quando vogliono e per andare dove vogliono una sfilata dedicata ad abiti solo per certi eventi pare quanto di più discostato dalla contemporaneità. Gli stilisti, infatti, captano questo cambiamento. E così sulla passerella di Valentino, Pierpaolo Piccioli fa sfilare un pantalone che sembra un jeans abbinato ad una camicia bianca e delle scarpe flat. Quanto di più lontano dal concetto di couture e quanto di più simile al mondo del ready to wear.

foto: valentino.com

Tutto si sta fondendo e allora, ancora una volta, quale può essere il senso della couture? Forse la risposta è semplicemente l’assecondare la voglia di nuovo insita nel consumatore moderno. Il rincorrere la novità e lo scandalo collezione dopo collezione, stagione dopo stagione. Una frenetica necessità di produzione che risponde ai ritmi del sistema economico e non di certo alla lentezza delle 800 ore medie di lavoro impiegate nella realizzazione di un abito d’alta moda.