Lunanzio – Loris Fabiani – ad Area Zelig

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Cinemalteatro – Lezioni di Pirlates” è il format teatrale ideato e interpretato dall’attore e comico Loris Fabiani. Vincitore di un’edizione del festival “Facce da Bronzi”, elabora e ricrea i cult del cinema in chiave ironica e personalissima. Amante della prosa, alla serata “Laboratorio Artistico” prodotta da Area Zelig, veste i panni di un altro personaggio: l’astro Lunanzio. Un essere barocco che si interfaccia con il nostro mondo. 

Prima di iscriverti all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica a Roma, quali erano le tue aspettative sul futuro? Ti vedevi già come comico o puntavi ad altre tipologie di carriere, come attore di teatro o di cinema?
Ho deciso di voler fare l’attore molto tardi, appena diventato maggiorenne: inizialmente non avevo idea di cosa fare. Prima di scoprire il cabaret ero, ma lo sono ancora, fortemente legato alla teatralità, alle modalità della costruzione di uno spettacolo e alla prosa in generale. Il cinema non era, e non è tutt’ora, un sogno che ho nella testa così vivo. Ho avuto piccole esperienze di cinema, dopo gli studi, con Michele Placido nel Grande sogno e in Vallanzasca, Gli Angeli del Male.

Sia in Cinemalteatro, che quando interpreti Lunanzio, ami interagire con il tuo pubblico. Da dove deriva questa tua attitudine e voglia di coinvolgere? Come ti fa sentire portare nel tuo mondo e su un palco persone che probabilmente non sono neanche mai state in un teatro prima? 
Sono anni in cui, prima il cinema e ora le piattaforme sconfiggono il teatro. Per un pubblico che non è “teatrofilo”, c’è poco interesse di andarci. Per molti anni ho visto goffi tentativi di spettacoli che cercavano di ammodernarsi, senza alcun risultato. Perciò ho ragionato su quali armi il teatro ha, per poter regalare l’emozione che i film ti danno.

E che risposta ti sei dato?
Ho capito che la sua forza è l’interazione con il pubblico. Che non riguarda solo il fatto di scendere in platea, ma di considerare la quarta parete come qualcosa che coincide con tutta la stanza. Il mio campo di gioco è tutto, e appena il pubblico lo capisce vive un effetto speciale che il cinema non può regalare. Un’esperienza così si può fare appunto solo a teatro.

Ti capita di trovare persone poco propense all’interazione e che ti mettano a disagio? Come gestisci queste situazioni?
Capita, ma questo non mi blocca. Dato che nel mio lavoro seguo una poetica precisa sul modo in cui coinvolgo, mi preparo prima a non mettere in imbarazzo in modo diretto. La cosa bella è vedere la non reazione e il fatto che io giochi su questa cosa. L’effetto comico e di divertimento sono comunque garantiti.

Hai mai fatto stand-up comedy? Ti piacerebbe sperimentare anche in questo campo?
A un certo punto dovrò anche apparire senza costume. Più che stand-up preferisco definirlo monologhista, perché sono legato ai vecchi monologhisti di Zelig, come l’automobilista di Gioele Dix. Quello che li differenzia è che quest’ultimo racconta un umore specifico riguardo ad una cosa, quindi in qualche modo è comunque un personaggio. Mentre la stand up ha come premessa e modalità il fatto che a espormi sia io, senza filtri che parlo di determinati argomenti.

Come si sviluppa il processo creativo, partendo dalle scene dei film alla realizzazione del tuo spettacolo?
Taccuino davanti. La prima cosa da capire è: qual è il punto di vista che devo avere io e che riesce ad osservare e raccontare tutto il film. Ogni pellicola ha un suo modo di coinvolgere e una regia diversa. Ad ogni personaggio dò una mia impronta. In certi film, come in Forrest Gump, sono io che interpreto i ruoli secondari e faccio recitare al pubblico il protagonista.

Altri segreti del mestiere?
Poi scrivo, rigorosamente a mano, le sintesi delle battute. Il lavoro meccanico aiuta molto la creatività, perciò mentre trascrivo i dialoghi, capisco come incastrare i vari oggetti. L’arte del taglio e della sintesi aumentano creativamente le soluzioni per riassumere i film.

Qual è il segreto per realizzare un film di 4 ore, come Via col Vento, o Titanic di 3, in soli 20 minuti?
In Via col Vento è dichiarato che faccio in poco tempo un film così lungo. Quindi questo, come promessa al pubblico, mi permette di fare dei salti e schematizzare l’albero familiare di Rossella. In Titanic, invece, non dichiaro che la lunghezza viene accorciata. Inizialmente ritenevo importanti riportare tutti i dialoghi che preannunciano la tragedia, la questione tecnica della nave, ecc. Ma dopo varie stesure ho deciso di stare solo sulla storia d’amore. Anche se non hai visto il film, ne conosci il colore, ne senti parlare, ha dettato delle mode nel vestire. Il segreto è Togli tutto e vai dritto al cuore

Come è nato il nome del personaggio Lunanzio?
Ero in motorino, in mezzo al traffico di Roma, diretto all’Accademia, quando mi è venuta in mente la luna, e subito dopo Lunanzio. Volevo un personaggio barocco. Innamorato di Lusilla, Lunanzio è un astro che osserva, guarda. Non appartiene al nostro mondo, ma lo vede e lo commenta a suo modo e con il suo linguaggio.

Quando interpreti Lunanzio storpi e trasformi le parole per divertire gli spettatori. Qual è il metodo di studio che applichi al linguaggio del tuo personaggio? Come arrivi a queste nuove espressioni?
Tutto deriva dagli studi fatti in Accademia, da Goldoni e Alfieri, alle traduzioni in italiano di Shakespeare. Col tempo ti abitui e familiarizzi con le formule e i codici di quell’italiano antico. La tecnica che uso per storpiare le parole si rifà molto alle assonanze e si mescola con le parole moderne del 2023.

Tipo?
Lunanzio si sente lui stesso un gioco di parole. Per esempio, quando vuole richiamare la folla si esprime dicendo Tu parli con gli uni, tu parli con gli altri, io parlo con-glioni. Questo non ammicca al significato colto dagli spettatori, in quanto per lui è una frase lirica, eroica, importante perché deve chiamare tutto il pubblico ad ascoltare le sue parole. È la sua lingua corrente.

In Cinemaltetaro è presente una particolare forma di spettacolo: il teatro-danza. Hai frequentato dei corsi di danza già da bambino o durante gli studi di recitazione hai appreso anche queste tecniche?
Da giovane ho fatto un corso di modern jazz, e, essendo la danza moderna una materia di Accademia, ho coltivato qui la passione. Ritengo che le parole “sono corpo“. Parlare e danzare sono la stessa cosa. Quando ho studiato Flash Dance è stato come mettere in fila le battute.

Come sei arrivato al Teatro Zelig?
Grazie a Officine Buone, una ONLUS di cui io faccio parte da sempre. Si è creato un rapporto reciproco tra me e Zelig. Il mio format ha avuto successo e tutt’ora questa collaborazione prosegue anche con altre modalità.

Ti piacerebbe portare il tuo format nella trasmissione Tv? Pensi possa funzionare anche attraverso la televisione, nonostante sia realizzato per un pubblico dal vivo?
Al momento è difficile. La produzione televisiva dovrebbe adattarsi ed essere concepita attorno a questa mia idea, mantenendo la natura dello spettacolo dal vivo. I vari paletti e gli aggiustamenti potrebbero liberare creatività, dandomi nuovi spunti.

Quali aspettative hai per il futuro? Qual è il tuo sogno e dove vorresti arrivare?
Il mio sogno è quello di amplificare il linguaggio ideato da me stesso con molta calma e onestà negli anni. Vorrei arrivare ad avere ogni anno un regolare spettacolo, con la mia tournée di Lunanzio o di Cinemaltetaro, come avevo durante i miei anni di scritturato.

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