Parigi Fashion Week SS26: day 7

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Parigi, palcoscenico della moda

Parigi non offre tregua. Qui la moda non si limita a vestire i corpi, pretende di raccontare storie. Le passerelle della Paris Fashion Week  sono un mosaico di linguaggi diversi: dalla sensualità sportiva di Lacoste, alla luce decadente di Valentino, al rigore vivo di Céline, fino al teatro provocatorio di Jean Paul Gaultier. Ma sotto i riflettori si consuma una domanda essenziale: chi, davvero, ha ancora qualcosa di nuovo da dire?

Lacoste è fragilità che si fa forma

La sfilata di Lacoste apre con un’intimità quasi clandestina: spogliatoi traslati, vapore che avvolge i modelli, luci basse. Pelagia Kolotouros reinventa il DNA sportivo della maison, trasformando la polo in una confessione tessuta, il trench in una veste che vela e svela. Nylon lucido, lane tropicali, organze leggere: il codice estetico cerca l’imperfezione consapevole. È una sfida: far parlare il corpo, non nasconderlo. Certo, basta una piega sbagliata per tradire l’intenzione. Lacoste cammina sul filo della poesia e della disattenzione, e solo chi osa il passo rischia di farla franca.

Valentino: la bellezza già vista e la critica necessaria

La collezione Valentino “Fireflies” è bella. Non si può rovinare con la cattiveria: velluti neri, fili dorati, chiffon che pare accendersi nel buio, cristalli come lampi isolati. Michele non rinuncia al suo immaginario, lo esalta. Ma oggi è lecito dire: non porta nulla di diverso rispetto al suo percorso recente. Il linguaggio è riconoscibile, comodo, prevenuto. La luce scintilla – ma è una lampada già nota. Ecco la critica: la coerenza è un pregio, ma se non c’è rottura, se non c’è inciampo, la narrativa diventa una recita già scritta. Valentino resta un’icona, ma rischia di diventare il fastidio del già visto.

Céline porta l’eleganza viva

Uscendo da Parigi e varcando i giardini di Saint-Cloud, Michael Rider reinventa Céline rendendola inaspettatamente più parigina. Qui l’equilibrio è costruito in silenzio: spalle calibrate, pinces precise in vita, giacche che si rastremano e poi si aprono sul fianco fino a diventare robe-manteau corte. Le gonne si sviluppano su tre traiettorie — dritte, palloncino, mini aderente — e rifiutano ogni decorazione superflua. Ma Rider non si accontenta del rigore: introduce rosso, giallo, blu Klein, imprime stampe geometriche e floreali che scalfiscono il rigore con energia. E, più di tutto, rende il “tempo d’uso” protagonista: trench portati sotto il braccio, ciabattine sotto abiti severi, caschi da bici che oscillano tra funzionalità e accessorio urbano. È la moda che cammina, respira e discute con la realtà.

Gaultier è provocazione d’impatto

Jean Paul Gaultier non chiede permesso. La sua sfilata è teatro, è eccesso, è dichiarazione. Piume, corsetti, pelle, contrasti estremi: ogni uscita vuole essere manifesto. Alcuni storceranno il naso: “troppo”, “caotico”. Eppure dietro al clamore c’è artigianato, c’è una precisione che non si arrende all’accumulo. Gaultier non ambisce a piacere: ambisce a scuotere. E chi cerca che si veda, che si discuta, che si senta trova in lui un ultimo testimone della moda che non si piega.

Chloé

Chloé sceglie la delicatezza ma non l’indulgenza. Sotto la direzione creativa di Chemena Kamali, la maison vira verso una floral couture moderna, dove i fiori non sono semplici decorazioni ma struttura stessa del guardaroba. Stampe floreali dominano, ma non come cliché: si intrecciano a silhouette leggere, spalle morbide, volumi leggeri che respirano. I capi parlano di femminilità fluida, di movimento, di leggerezza consapevole. In un’epoca in cui molti corrono verso l’estremo, Chloé ricorda che la forza può stare nella gentilezza ben costruita.

Alexander McQueen

McQueen entra come un’ombra elettrica. La sfilata proclama una “sexiness” che non cerca il facile scandalo: è tensione. I corpi sono solcati da cut-out, pelli scoperte, tessuti che aderiscono come seconde pelli. La sensualità è dichiarata, esplicita, feroce. Ma non svuota: la tessitura sartoriale resiste. Non è erotismo vuoto, è erotismo costruito: osare, sì, ma restare autentici.

Questo McQueen non si accontenta di provocare per provocare. Cerca che la sessualità entri in dialogo con l’identità, con la storia della maison, con il rischio di rovinarsi. Ecco: l’atto è audace, il margine è sottile -chi riesce a restare in equilibrio- scrive qualcosa che vale.

Le voci che rimarranno

Parigi oggi non offre un coro uniforme: offre voci che si scontrano e cercano ascolto. Lacoste mette in gioco la fragilità del corpo; Valentino brilla, ma fatica a sorprendere; Céline costruisce un’eleganza che vive il presente; Gaultier irrompe con provocazione; e Chloé ricuce l’identità con petali domestici.

La domanda torna, ineludibile: chi di queste collezioni resisterà al tempo, quando gli applausi svaniranno? Chi saprà essere nuova anche domani? E chi cadrà nel fare di se stesso un monumento già consumato?

Photocredits: Fashion Network, Vogue Runway

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