Il napoletano è stato eletto “il dialetto più fastidioso d’Italia”. Perché l’accento del Sud pesa ancora così tanto? L’ Antimeridionalismo del 2025
Di dove sei? Parla in dialetto che indovino.
C’è quello che “suona bene” e quello che fa storcere il naso. Quello “da TG1” e quello che viene liquidato con un sorriso ironico. È innegabile che sia diffuso un meccanismo di giudizio invisibile che accompagna ogni parola e ogni intonazione.
L’antimeridionalismo è il pacchetto di stereotipi e pregiudizi che da decenni racconta il Sud come ignorante, arretrato o poco affidabile. È un’idea dura a morire, e non riguarda solo i nostri nonni.
Secondo i sondaggi, il napoletano viene percepito come il dialetto più fastidioso d’Italia. Non lo pensano solo al Nord, persino a Napoli una parte dei cittadini ammette di non apprezzarlo. Un vero paradosso, se pensiamo che questa lingua ha dato vita a canzoni immortali, a un’intera tradizione teatrale e persino a tanti modi di dire entrati nell’italiano di tutti i giorni. Eppure continua a essere bollata come un “dialetto da evitare”. Più che una questione di suoni, sembra il risultato di pregiudizi radicati che ci portiamo dietro da generazioni.
La TV come prof di dizione: l’ Antimeridionalismo della RAI


Negli anni Cinquanta la RAI spiegava agli italiani come parlare bene. Al grande pubblico venne insegnato il famoso fiorentino emendato. I programmi educativi entrarono nelle case e fissarono un modello linguistico “ideale”. Chi parlava con suono differente, soprattutto con cadenza meridionale era mal classificato.
Con l’arrivo degli anni Ottanta, Mediaset porta più inflessioni in TV. Il romano e il milanese iniziano a girare tranquilli sugli schermi. Negli anni Duemila il romano diventa addirittura cool: i politici lo sfoggiano, i conduttori lo esibiscono. E gli accenti del Sud? Sempre relegati a fare da spalla comica o, peggio…
La Piovra e Mare Fuori: l’accento criminale
Pensaci, quante volte un accento meridionale in TV è stato legato a mafia, povertà o malavita? Dalla Piovra a Gomorra, dalla Squadra Antimafia a Mare Fuori, il nocciolo è sempre quello. L’effetto complessivo è chiaro, se parli con un certo accento, sullo schermo rischi di essere già incasellato.
Questa è glottofobia: discriminazione per come parli, per come suoni. E in Italia, inutile girarci intorno, colpisce soprattutto chi ha l’accento meridionale. Appari inevitabilmente meno istruito, meno credibile, meno “serio”. Non è solo fastidio estetico, ma un vero stigma sociale che pesa a scuola, al lavoro e perfino in politica.
Negli ultimi anni, con il caso Geolier a Sanremo tra polemiche e orgoglio napoletano, il tema è esploso. Creator, artisti e divulgatori hanno iniziato a difendere i dialetti e a rivendicarli come patrimonio culturale. L’italiano standard è solo una convenzione, non una medaglia di intelligenza. L’italiano vero è fatto di tante voci e tanti accenti, la neutralità linguistica non esiste. È stata si una scelta storica, ma continuare a relegare gli accenti del Sud a macchiette comiche o a clan mafiosi non è realismo, è noia narrativa.

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