Le fashion victims giapponesi

da | LIFESTYLE

C’è chi sacrifica tutto per il proprio brand preferito, persino un letto su cui dormire. Ma siamo noi a possedere gli oggetti, o sono loro a possedere noi?

Ci sono persone che spenderebbero fino all’ultimo centesimo pur di avere quella borsa Gucci o quella t-shirt loggata super costosa. Quante volte ci ritroviamo a sognare davanti alle vetrine, immaginando di possedere tutto? Per alcuni, in Giappone, questo sogno è diventato realtà – ma a caro prezzo. In una Tokyo affollata e costosa, c’è chi ha sacrificato ogni cosa in nome della moda: soldi, tempo, spazio vitale, e perfino un letto su cui dormire. Sono le cosiddette fashion victims, e a raccontare la loro storia è il fotografo giapponese Kyoichi Tsuzuki, che tra il 1999 e il 2004 li ha immortalati nei loro micro-appartamenti traboccanti di abiti e accessori di lusso.

Fashion Victims – Jane Marple, 2000\2002

Happy Victims : tra amore e ossessione

Il fotografo giapponese Kyoichi Tsuzuki (nato a Tokyo nel 1956) si definisce innanzitutto un giornalista. Le sue serie fotografiche sono vere e proprie immersioni nella vita privata dei giapponesi, tentativi di svelare ciò che solitamente rimane celato dietro le facciate ordinate delle città. A partire dagli anni ’90, Tsuzuki inizia a documentare la vita quotidiana della capitale con un taglio da fotoreportage, spingendosi oltre l’immagine pubblica e patinata di Tokyo.

Tra il 1999 e il 2004, con la serie Happy Victims, Tsuzuki decide di rivolgere lo sguardo a un fenomeno inedito e sorprendente: quello delle fashion victims giapponesi. Scatta ritratti di estranei nei loro micro-appartamenti, completamente sommersi da vestiti, accessori e confezioni dei loro brand preferiti: Gucci, Chanel, Comme des Garçons, tra gli altri. Questi spazi, già minuscoli, vengono letteralmente colonizzati dagli oggetti del desiderio, lasciando poco o nessuno spazio alla funzione abitativa. In alcuni casi, non c’è nemmeno un letto: dormire diventa secondario rispetto al possedere.

Tsuzuki non giudica, e soprattutto non analizza da lontano, come farebbe un sociologo. Le sue immagini non hanno la freddezza dell’osservazione scientifica, quanto piuttosto l’empatia – venata di ironia – di chi osserva con curiosità e partecipazione. C’è una sottile ma profonda umanità nei suoi scatti, che non ridicolizzano i soggetti, ma anzi ne mettono in luce l’identità, le aspirazioni e le fragilità.

Per queste “vittime felici”, la moda non è solo uno stile. È un culto, un feticcio, un’estensione del sé, lo specchio delle ambizioni personali, un modo per affermarsi in una società dove spesso l’individuo è schiacciato dal collettivo. 

Ma Tsuzuki non offre risposte, non propone soluzioni. Si limita a documentare, lasciando emergere una domanda che ci riguarda tutti:

Siamo noi a possedere gli oggetti, o sono loro a possedere noi?

Fashion Victims – Helmut Lang, 2004

Fashion Victims – Pumpkin, 2000\2002

Foto: MUDAM (Museo d’Arte Contemporanea del Lussemburgo)