Flashback ’60z & ’70z

da | CULTURE

La rubrica mensile ideale per conoscere coloro che hanno scritto la storia della fotografia di moda. I protagonisti di oggi sono: Deborah Turbeville, Helmut Newton, Guy Bourdin, Sarah Moon

La fotografia di moda negli anni ’60 e ’70

La fotografia di moda negli anni ’60 e ’70 ha vissuto una vera rivoluzione, rompendo definitivamente con l’estetica patinata e posata degli anni ’50 per abbracciare dinamismo, ribellione e sperimentazione. Negli anni ’60 domina l’energia giovanile della Swinging London: le modelle si muovono, sorridono, occupano strade e ambienti urbani, mentre i fotografi cercano autenticità e spontaneità. Gli anni ’70, invece, portano un’estetica più narrativa, sensuale e teatrale, tra erotismo velato e riferimenti cinematografici. 

I fotografi non si limitano più a documentare gli abiti, ma costruiscono veri e propri mondi visivi, rendendo la fotografia un potente specchio del tempo.

La fotografa del sogno: Deborah Turbeville

“Entro nel mondo privato delle donne, dove non si va mai” -Deborah Turbeville

Deborah Turbeville x VogueIT – “Stigmata“, 1977

Deborah Turbeville non si considerava davvero una fotografa di moda. Lo sapeva bene Carla Sozzani, che alla fine degli anni 70 la invitò a scattare per Vogue Italia, di cui era direttore responsabile dei progetti speciali, mettendo le basi per quella che sarebbe stata una collaborazione più che duratura.

Lo stile di Deborah Turbeville è intimo, malinconico e sospeso nel tempo. Le sue fotografie di moda sembrano ricordi sbiaditi: luoghi abbandonati o decadenti, immagini sfocate e graffiate che raccontano più un’emozione che un abito. Lei rappresenta la figura femminile in maniera del tutto innovativa rispetto ai suoi colleghi del tempo: una donna malinconica, silenziosa, che sembra voler fuggire o addirittura scomparire.  

Un’altra caratteristica tipica del suo stile sono i collage: ritagliare, modificare e ricomporre le fotografie era quasi terapeutico per lei.

Tra i suoi lavori più iconici, ricordiamo la serie “Bathhouse”, realizzata nel 1975 per Vogue USA. Scattata in un vecchio stabilimento abbandonato di New York, rompe con la fotografia di moda tradizionale, patinata e glamour. Le modelle appaiono assenti, sospese in un’atmosfera silenziosa e malinconica, più vicina a un sogno che a una sfilata. Gli abiti diventano secondari: ciò che conta è l’emozione, il vuoto, la fragilità che le immagini riescono a evocare.

Deborah Turbeville x VogueUSA – “Bathouse“, 1975

Helmut Newton: la seduzione dell’erotismo

Sguardi intensi, tacchi a spillo, sigarette e corpi nudi e statuari. Con la sua fotografia di moda, Helmut Newton introdusse temi come l‘erotismo, il voyeurismo e l’omosessualità, sfidando le convenzioni e portando una visione audace e provocatoria. 

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Helmut Newton – “Dalla donna all’uomo“, Parigi, 1979

Amava provocare e andare controcorrente, e per questo veniva spesso visto come un “cattivo ragazzo” del mondo della fotografia.

”Bisogna essere sempre all’altezza della propria cattiva reputazione”, rispondeva con una battuta, ribadendo il suo approccio spregiudicato e senza compromessi alla fotografia e alla vita.

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Courtesy of Helmut Newton Foundation

Helmut Newton non si accontenta: spinge sempre oltre, portando il nudo nella fotografia di moda. Un gesto provocatorio, quasi paradossale, in un mondo che punta a coprire il corpo per vendere gli abiti.

Negli anni ’70 pubblica White Women, Sleepless Nights e Big Nudes, libri che raccolgono i suoi scatti più iconici. Nudi potenti, teatrali, che dagli anni ’80 iniziano ad apparire nei musei di tutto il mondo in formato gigante, trasformando la fotografia di moda in arte.

Le sue fotografie, spesso in bianco e nero, mettono in scena corpi femminili forti, sicuri, dominanti, immersi in ambientazioni lussuose o teatrali. Giocava con i contrasti – tra potere e vulnerabilità, abito e nudità, glamour e inquietudine – creando immagini che sembrano fermare il tempo in un istante cinematografico. Amava la luce dura, i tagli decisi, la posa studiata ma mai statica. Il suo sguardo era audace, ironico, mai moralista: dietro ogni scatto c’era una storia, un gioco di ruoli, una provocazione intelligente.

Nel corso della sua carriera, ha creato alcune delle immagini più celebri della moda, influenzando profondamente il modo in cui la fotografia di moda viene concepita ancora oggi.

Guy Bourdin: maestro pop del colore

Colori accesi e atmosfere surreali, corpi di donne che appaiono come manichini abbandonati: le sue immagini colpiscono allo stomaco prima ancora che agli occhi. Guy Bourdin è stato uno dei fotografi di moda più visionari e controversi del XX secolo. Ha rivoluzionato la fotografia editoriale con immagini dal forte impatto visivo, teatrali, surrealiste e spesso cariche di tensione emotiva. 

Le sue fotografie, pubblicate principalmente su Vogue Paris e per marchi come Charles Jourdan, non mettevano mai al centro solo il prodotto, ma costruivano narrazioni visive enigmatiche, provocatorie, a volte disturbanti.

Guy Bourdin x Charles Jourdan P\E, 1978

Il suo stile è riconoscibile per i colori saturi, le composizioni geometriche e un senso di mistero che rimanda all’arte surrealista di Man Ray e al cinema noir.

Le modelle nei suoi scatti sembrano bambole, corpi enigmatici inseriti in scenografie irreali, spesso in pose innaturali o tagliate fuori campo. Spesso i volti delle modelle sono assenti o nascosti, come se l’identità fosse secondaria rispetto alla messa in scena. Il desiderio, il mistero, la morte, il sesso, tutto si mescola nei suoi scatti in un equilibrio perfetto tra eleganza e inquietudine.

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Guy Bourdin x Vogue Francia, Maggio 1977

 Per lui la moda non era mai il punto d’arrivo, ma solo un pretesto per raccontare storie visive intense, capaci di turbare, affascinare, far pensare. Guardare una foto di Guy Bourdin è come entrare in un sogno lucido e spiazzante da cui non si vuole più uscire.

Il mondo onirico di Sarah Moon

“Emozione” è la parola chiave. Sarah Moon è una delle fotografe contemporanee più celebrata e apprezzata. Le sue immagini intrise di romanticismo e mistero non passano di certo inosservate, avvolte in un’atmosfera eterea che conduce lo spettatore in un mondo magico, quasi parallelo.

Oltre a creare iconici look pubblicitari per maison come Chanel, Yohji Yamamoto, Christian Dior e Comme des Garçons, Sarah Moon ha segnato la storia della fotografia diventando, nel 1972, la prima donna a realizzare gli scatti per il celebre Calendario Pirelli. Un traguardo che ha consacrato il suo sguardo unico e visionario anche nel panorama commerciale.

sarah moon
Sarah Moon x Calendario Pirelli, 1972

Ricerca e trova un suo stile che volutamente si allontana dallo sguardo maschile e la spinge verso una descrizione onirica della realtà. Atmosfere sfocate, tonalità seppia o bianco e nero, e una luce morbida che conferisce alle fotografie un aspetto sospeso nel tempo. Le sue immagini, spesso malinconiche e dinamiche, ritraggono un momento sfuggente, in uno scatto rubato. Guardandole, danno l’impressione che la realtà stia svanendo

La robe à pois di Sarah Moon è tra le immagini più iconiche e rappresentative del suo stile onirico e delicato: una donna che indossa un abito a pois, immersa in un’atmosfera sfocata e sospesa. L’immagine appare come un ricordo lontano, quasi indecifrabile, mentre il soggetto avvolto nel mistero sembra essere un’incarnazione della femminilità fragile e complessa che Moon esplora spesso nel suo lavoro. Simbolo della sua capacità di trasformare la moda in arte emotiva e introspettiva.

Una curiosità sul suo lavoro? Non tutti sanno che le sue atmosfere eteree e sfocate derivano direttamente dalla sua miopia. “La mia visione sfocata è innata…” –racconta la fotografa — “Sono miope come una talpaÈ stato solo quando ho iniziato a fotografare che me ne sono resa conto. La gente mi diceva:- Questa foto non è nitida!. Io non capivo, perché era così che vedevo le cose, non avevo mai portato gli occhiali in vita mia”.

E oggi, questa visione del mondo è diventata la sua firma più riconoscibile.

Foto: Artnet, GalerieJosephParis, HelmutNewtonFoundation

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