Che sia attraverso opere fisiche o immateriali, l’architettura ostile rende la città un posto difficile per chi, secondo le amministrazioni, la città non dovrebbero viverla. Ma non solo.
Le prima città del mondo nascono intorno alla metà del IV millennio a.C.. Da subito si vanno a delineare i primi servizi, che fossero i sistemi di scarico o le case, si creano progetti per migliorare il benessere dei cittadini. Ovviamente la disciplina urbanistica non è proprio nata nello stesso momento, ma l’idea era già piazzata da qualche parte e l’architettura degli spazi è mutata in continuazione seguendo quelle che erano le esigenze del momento.
Se inizialmente l’architettura urbana serviva a migliorare la vita, piano piano siamo arrivati anche a quella ostile.
L’architettura ostile, hostile architetture, anche conosciuta come design difensivo o design escludente, è una pratica urbanistica presente in tantissime città. Si tratta di spazi creati appositamente per respingere, più che accogliere. Un insieme di oggetti o dettagli che vengono inseriti nello spazio urbano per fare in modo che non si possa utilizzare gli spazi in modo diverso da quello per cui sono stati concepiti.

È un fenomeno che nasce negli anni ‘70 basato, ai tempi, sulle teorie di prevenzione del crimine attraverso la progettazione ambientale, dal criminologo C. Ray Jeffery. L’obbiettivo era quello di ridisegnare l’urbanistica e la vivibilità degli spazi. Dall’inizio degli anni 2000 si parla di architettura ostile, invece, per definire la progettazione e l’uso efficace dell’ambiente urbano per evitare crimini, ridurre la paura della delinquenza e andare a migliorare la qualità della vita.
Sono elementi presenti davvero ovunque, a cui forse non si fa neanche troppo caso da quanto sono inseriti nel concetto di città come la consociamo noi. Un esempio sono i classici spuntoni che vengono inseriti sulle superfici orizzontali spesso ai piedi delle vetrine. Questi vengono pensati per non far avvicinare bambini “troppo” vivaci ai vetri, così da non lasciare ditate e per disincentivare l’utilizzo dello spazio come letto.
A volte anche solo una panchina rappresenta un limite e un divieto.
Gli ultimi modelli di panchina vengono proprio progettati per evitare che qualcuno ci si possa sdraiare sopra. Si inseriscono braccioli oppure si pensano e si sviluppano delle sedute inclinate, non lineari. Questi piccoli (ma neanche troppo) dettagli danno vita alla versione più ostile di un semplice oggetto di tutti i giorni.
Proprio una panchina, fu al centro di uno scalpore mediatico nel 2012, rappresentando uno dei primi casi di architettura ostile a finire sotto i riflettori. Si tratta della Camden Bench, realizzata dalla compagnia inglese Factory Furniture, pensata per sistemarsi nelle strade londinesi. A livello progettuale il progetto era più che fantastico essendo dotata di tantissime funzioni. Composta unicamente da cemento, ha svariati piani di appoggio, ognuno inclinato in modo diverso. Quindi su questa panchina ci si può sedersi comodamente, ma è impossibile sdraiarcisi. Questo perchè la seduta presenta una serie di spigoli insormontabili.

Ma non sono solo gli homeless o gli animali ad essere al centro dei nemici di questo tipo di architettura: la Camden Bench viene pensata anche per essere meno appetibili alle ruote degli skater.
Anche se molti sono comunque riusciti ad utilizzarne le superfici per diversi trick. Ci sono poi le panchine con il braccio metallico al centro, installate anche in diverse città italiane. Poi le panchine singole di Barcellona o quelle senza seduta per appoggiare la schiena da in piedi. Quelle tondeggiante o dal sedile inclinato.
A Bruxelles vengono installate delle strutture in cemento triangolari inserite negli angoli delle strade per evitare che si vada ad urinare proprio in quel punto. A New York, sulle scale di accesso alle case, vengono messe delle strutture “bum-free” in metallo e sporgenti per evitare che le persone si siedano sugli scalini.


I tipi di design ostile sono mirati a bloccare molte cose: anti-climb, anti-rubbish, anti-skate, anti-graffiti e anche anti-bighellonaggio.
Per esempio, se si vuole evitare la presenza di sticker nella propria città si possono utilizzare tipi di pittura dalla base in cera che, se stratificati nel modo giusto, creano uno strato decisamente ostile verso sticker e simili. Questa sua peculiarità però la rende anche più brutta da vedere, se possibile. Perchè la texture che si va a definire permette allo smog e allo sporco di depositarsi su tutta la superficie. Ora sembrerebbero essere state migliorate.
Per quanto riguarda il bighellonare, un esempio possiamo trovarlo sempre a New York, patria di diversi sistemi ostili. Si tratta di strutture a gabbia, sempre dalla superficie spigolosa, inserite, ad esempio, sopra dei tubi per evitare che le persone ci si siedano sopra.
A Seattle c’è stato un grande caso di architettura ostile: per sgomberare i ponti della città sono state inserite delle rastrelliere per bici. Sembrerebbe un gesto positivo, ma così non è.
Uno effettivamente potrebbe pensare che la città si stia muovendo in un verso più positivo, a misura di cittadino. In realtà però lo scopo dell’architettura ostile è anche quello di non far capire al cittadino fuori dal target, di essere avversa. L’architettura ostile viene appositamente nascosta ai nostri occhi. Viene nascosta dietro a scelte estetiche o la “bonifica” di spazi pubblici. A Seattle, infatti, nella zona in cui sono state inserite le rastrelliere, il traffico di bici quotidiano era veramente basso.

Anche gli adolescenti sono al centro di queste opere ostili. Proprio a questo servono le strutture anti-loiters (anti-bighellonaggio), impedire che ci si ritrovi per le strade o nelle piazze. A volte non vengono nemmeno utilizzate strutture fisiche. A Portland, in Oregon, per un periodo si utilizzò la riproduzione di musica classica attraverso altoparlanti come deterrente. Un’altra strategia “astratta” basata sul suono è quella usata dai generatori di ronzio ad alta frequenza, denominato il dispositivo Mosquito, particolarmente fastidioso per i giovani.
Nel 2006 a Mansfield, in Inghilterra, sono stati costruiti degli interi quartieri residenziali con un’illuminazione rosa per evidenziare le imperfezioni degli adolescenti e così scoraggiarli ad uscire di casa la sera.
Nei bagni pubblici dell’Aia, invece, viene utilizzata la luce blu per evitare che i tossicodipendenti facciano uso di droghe. A Tokyo questo colore viene utilizzato nelle stazioni della metro, con la speranza di ridurre il numero di suicidi. Questo perchè il blu ha effetti calmanti.
Una cosa più simpatica è stata fatta nelle pareti di alcune stazioni ferroviarie di Colonia e altre città tedesche. Per ricoprirle è stata usata una vernice idrofoba che fa rimbalzare i liquidi addosso al trasgressore, lo scopo? Evitare la pipì in pubblico.
Questo tipo di interventi di architettura considerano la difficile realtà dei senzatetto un problema tecnico, più che un problema umano.
Questa strategia urbana, assieme ai tagli fatti nei rifugi e la rimozione di accampamenti, ha contribuito a rendere la vita delle persone senza casa ancora più difficile. L’utilizzo delle strutture si pensa favorisca le divisioni sociali, facendo così diventare la città un luogo disagevole e buio. Aldilà di questo c’è anche una questione estetica e psicologica. Infatti, questo tipo di architettura dà vita a spazi tutti uguali che non aiutano sicuramente la percezione di chiunque ci passi o ci viva.

È sicuramente apprezzabile la riduzione delle condizioni di degrado in cui alcune città riversano, ma non c’è davvero altro modo se non andando a ledere la vita di altri? Creando questa barriera tra chi la città la vive distrattamente e tra chi invece la deve considerare la propria casa di cemento, si va a rendere ancora più difficile il processo di inclusione sociale di cui tanto si parla.
L’utilizzo di questo tipo di design disperde le persone “non volute” dai centri urbani, nascondendo il problema sociale agli occhi dei cittadini che hanno il permesso di vivere la città.
Questo va a diminuire l’empatia che proviamo nei confronti delle persone in difficoltà, che già possiamo definire scarsa. Le persone che cercano riparo, da una panchina snodata si sentono definire non benvenuti. Soluzioni che costringono queste persone a spingersi ancora più ai margini, in luoghi ancora più remoti e pericolosi, rendendo la loro situazione più fragile. Ma come può una struttura in cemento definire chi merita o meno di utilizzare lo spazio pubblico? Anche perchè non sono solo i senzatetto a essere nel mirino di questo design. Anziani, disabili e bambini sono tutta l’altra fetta di persone non volute da questo tipo di architettura.
Un po’ come il design minimale, anche l’architettura ostile rende meno appetibili da vivere le città, nonostante i grandi sforzi estetici che si fanno. Forse perchè le intenzioni dopotutto non giustificano i mezzi e non c’è cemento che regga.