Con la sua formula di affitti brevi, Airbnb ha conosciuto un boom sopratutto negli ultimi anni in cui si è assistito a un fenomeno di overturism e di turismo low cost. Purtroppo le conseguenze non sono solo positive e si parla di norme per limitare i danni.
Una delle ultimissime novità degli ultimi anni sono i voli low-cost e i conseguenti alloggi a buon mercato. Si riuniscono sotto il nome di “Airbnb”, forti della fama della piattaforma da cui si sono sviluppati. Il social-degli-appartamenti è sul web dal 2007 e nasce dall’esigenza, più che dall’idea, di due universitari. I due si trovano un avviso dal proprietario di casa che gli comunica l’aumento del 25% dell’affitto a partire dal mese successivo. Prima il panico e poi l’idea: decolla airbedandbreakfast.com. Sul sito i due decidono di affittare dei materassi nella sala del loro appartamento a San Francisco, così da potersi permettere il rincaro dell’affitto già molto caro.
L’idea iniziale prevedeva la creazione di una piattaforma in cui offrire agli ospiti un’intera esperienza, ben oltre al solo alloggio, per far vivere la città come i veri local.
In realtà, per quanto adesso sembri sdoganato, nel 2008 non era ben visto ospitare estranei in casa propria e la start-up fatica a trovare i fondi. Ma i due non si perdono d’animo e per permettersi la loro idea creano e vendono scatole di cereali in edizione limitata, disegnate interamente da loro. Con un costo di 40 dollari a scatola, riescono a rientrare nelle spese. La forza della piattaforma era stata immaginata nel network effect. Ossia, gli ospiti viaggiano, vengono ospitati e tornati a casa diventano host a loro volta. Ricordate però che era pensato inizialmente per dei materassi in una sala comune, non si parlava di appartamenti di design lasciati vuoti e sfitti in esclusiva per la piattaforma.
Oggi Airbnb conta oltre 260 milioni di ospiti che sono stati in più di 65.000 città. Per quasi due milioni di appartamenti presenti sul sito. La situazione ideale sarebbe che tutti questi appartamenti fossero in condivisione con il proprietario. Ma così non è. Infatti, spesso un host possiede più di una casa che prepara di tutto punto per essere più appetibile al mercato.
Oggi città come New York, Barcellona e Milano necessitano una legge anti-Airbnb.
La “Grande Mela” ha dovuto prendere delle vere e proprie precauzioni, che si sono trasformate in limitazioni agli affitti brevi. Precauzioni che a quanto pare non sembrano aver aiutato. L’obbiettivo della norma era quello di liberare gli appartamenti della città per metterli a disposizione dei residenti invece che per i turisti. Entrata in vigore a settembre, ha portato alla cancellazione immediata di circa 15mila affitti a breve termine di Airbnb. Gli stessi sono stati convertiti in soggiorni più lunghi per adeguarsi alle nuove direttive.
Dai dati raccolti però, sembrerebbe che molti degli appartamenti che prima erano sulla piattaforma non sono stati convertiti in affitto a lungo termine per i residenti della città. Complici sicuramente i 65 milioni di turisti che sono stati previsti solo per il 2024. Anche se non proibiscono del tutto gli affitti brevi, le nuove norme prevedono requisiti rigorosissimi per la gestione degli stessi.
Secondo le nuove norme di New York i proprietari devono vivere ed essere presenti nell’alloggio in affitto in cui possono soggiornare massimo due ospiti alla volta.
Così vengono escluse le possibilità di affitto di appartamenti lussuosi di proprietà di investitori immobiliari. Allo stesso tempo, però, si intralciano anche quelle persone che riuscivano a guadagnare qualcosa in più quando erano fuori città. Anche perchè molte di queste persone hanno puntato all’affitto breve per evitarsi la bega di gestire un inquilino fisso, assieme al rischio di occupazioni abusive.
La legge però non ha avuto nessun effetto sul costo degli affitti nella città, uno dei problemi dietro la mancanza di alloggi a New York. Airbnb ha contestato: “i turisti hanno dovuto affrontare i prezzi record degli hotel e gli ex host hanno visto la perdita i entrare. Non si è visto nessun miglioramento sul fronte del costo delle case”. La principale critica a questa norma è il fatto che equipari i piccoli proprietari ai grandi investitori trattando tutti i proprietari di immobili come i cattivi della storia.
Ma non solo New York ha dovuto affrontare il problema degli affitti brevi: Milano e Barcellona si trovano subito dopo.
Barcellona quest’estate ha vissuto momenti di protesta in piena stagione da parte degli stessi residenti che faticavano a gestire la situazione abitativa. Proprio per l’altissima presenza di case messe a disposizione della piattaforma per affitti brevi, escludendo chi nella città ci deve vivere o lavorare. Ahimè i toni e i modi non sono stati quelli corretti e spesso si leggevano frasi minatorie, riferite spesso ai turisti, a cui si intimava di lasciare la città.
Anche a Milano la situazione è preoccupante con ben 30mila appartamenti destinati ad affitti brevi. La problematica è di nuovo la stessa: gli affitti brevi, quasi esclusivamente pensati per il turismo, tolgono spazio alle locazioni a lungo termine che dovrebbero andare a chi nella città ci vive. La principale conseguenza è l’aumento degli affitti mensili che raggiunge cifre indecenti e incommentabili. Per intenderci: il materasso in sala al triplo del prezzo e venduto come loft open space, perchè sgabuzzino con finestre sembrava brutto.
In passato a Milano si pensava di mettere un limite massimo per gli affitti brevi, un’ipotesi mai realizzata.
Un’altra conseguenza è lo spopolamento di quartieri storici, realtà vissuta soprattutto a Venezia e a Firenze. Tutte e due sono vittime di un overtourism che toglie spazio a tutto e a tutti. E’ in questa situazione che si delinea l’ipotesi di regolamentare il turismo e gli affitti brevi, sia economicamente che a livello normativo. Così a Venezia si paga un ticket per entrare e a Firenze si vietano gli affitti brevi in centro, idea che il Tar ha respinto prontamente. Secondo i dati Eurostat, nel 2023 l’Italia è stata il paese europeo con più visite prenotate da turisti stranieri con piattaforme di “economia collaborativa”, come Airbnb.
Ma sia qui che in Europa, secondo gli studi, i risultati sono sempre gli stessi: maggiore è l’offerta di spazi in affitto su Airbnb, più diminuisce l’offerta sul mercato immobiliare e aumentano gli affitti e i prezzi degli immobili nei quartieri più esposti. A Barcellona Airbnb ha causato, nei quartieri più amati dai turisti, un aumento degli affitti del 7% e dei prezzi degli immobili del 17%. Il resto del mondo, in realtà, ha riportato delle stime più modeste.
L’effetto positivo più immediato è quello che vivono i turisti: si risparmia una media di 4,3 milioni di euro per notte. Ma 1,8 milioni risultano in perdite per gli alberghi.
Ci sono però guadagni anche sui posti di lavoro. A Madrid, per esempio, per ogni 14 camere aggiunte su Airbnb in un quartiere, si creano 11 nuovi posti di lavoro nel settore turistico. Oltre al guadagno delle produzioni locali e dei piccoli o medi negozianti che si trovano nelle città nevralgiche di questo fenomeno.
Pensare a una soluzione è difficile anche per questo. Riuscire a trovare una limitazione seria senza causare problemi alle economie locali è difficile. Pare che però esistano delle forme intermedi di regolamentazione che sono in grado di rendere la situazione sostenibile senza eliminare questo mercato in crescita. Il governo, per questo, ha creato il codice identificativo nazionale, che da solo però non basta. Alcuni pensano al divieto di affittare per brevi periodi per più di 90 giorni all’anno, almeno in quelle città che il turismo lo vivono di più. Lasciando fuori gli immobili in cui i proprietari condividono lo spazio.
La necessità è quella di limitare gli Airbnb “commerciali” e i loro conseguenti effetti su affitti e immobili disponibili, senza intaccare gli effetti positivi sui quartieri.
Di case, in conclusione, ce ne sono, ma troppe. Inoltre, in Italia, non vige una sola legge del turismo, ma le legislazioni sono regionali, diverse di posto in posto. Per cui potete immaginare quanto difficile potrebbe risultare riuscire a regolamentare in modo uniforme tutte le realtà di affitti brevi nel paese. Insomma, come ogni cosa bella, anche per Airbnb il punto di forza è la quantità. Airbnb non è il cattivo della storia, ma gli imprenditori che ristrutturano sei case per guadagnarci il triplo invece che affittarne almeno una a un residente, un po’ sì.